I 16 film con la miglior regia del 21° secolo secondo la Scimmia (in ordine di gradimento)

Emma Stone
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La redazione di un sito internet che tratta di cinema nasconde ogni genere più svariato di cinefilo e la redazione della Scimmia non fa eccezione, tuttavia un discreto numero di nostri redattori è apparso convinto riguardo l’incoronazione del film con la miglior regia del 21° secolo. Stilare una classifica che sia fedele specchio dell’ampio ventaglio di opinioni interne al nostro gruppo non è semplice, ma pensiamo che sia un genere di articolo intrigante e al contempo interessante, capace di stimolare il dialogo e la discussione oltre che la visione di determinati film che condividano un genere, una caratteristica o una particolare virtù, come appunto è la regia, che spesso è summa di tutte gli altri aspetti tecnici del film. Vi parleremo di 16 film, all’interno di una classifica da 10 posizioni, nella quale, inevitabilmente troveremo dei pari merito.

10 – Partiamo però dal decimo posto, dove invece troviamo due film molto diversi:

Mad Max: Fury Road, di George Miller (2015)

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Con Mad Max: Fury Road, il regista e creatore George Miller è riuscito a fondere diversi elementi tecnici in modo perfetto, così da sviluppare un’opera in grado di regalare agli spettatori un impatto visivo incredibile. Il film è stato più volte criticato per la trama, sia dalla critica che sul set, ma è lampante che l’elemento che lega ogni sequenza del film è senza alcun dubbio il susseguirsi di scene action magistralmente girate per dar senso alla storia e a ciò che l’universo creato dal regista poteva raccontare attorno ai protagonisti. La maggior parte degli oggetti presenti a video sono reali, dalle auto alle varie esplosioni, così da lasciare all’arte digitale soltanto il compito di rifinitura. Il risultato è, paradossalmente, sorprendente e dona a schermo un’incredibile senso di realtà e palpabilità. La fotografia, con i blu e gli aranci molto saturati, lascia sì che ogni fotogramma del film sia una vera opera a sé stante. George Miller riesce poi a tenere alta l’attenzione sulle varie scene mantenendo l’azione di ognuna di esse al centro delle riprese. Esaminando il film possiamo notare che ogni scontro o primo piano si trovi esattamente al centro dell’inquadratura. Questo ottimo espediente offre la possibilità di cambiare bruscamente scena senza far mai perdere l’attenzione allo spettatore. Tramite l’ottima regia, Mad Max: Fury Road riesce a mantenere un ritmo decisamente frenetico dall’inizio alla fine.

(a cura di Claudio Faccendi)

L’uomo che non c’era, dei Coen (2001)

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La sfortunata storia del barbiere Ed Crane travolto dal beffardo corso degli eventi, tra moglie fedifraga, sfortunati ricatti e loschi affaristi, è forse la quintessenza del cinema dei fratelli Coen. Non solo perché rappresenta al meglio la filosofia di vita intrinseca in ogni loro opera, quel senso di impotenza di fronte al caos che annichilisce ogni loro personaggio, ma anche per quel gusto estetico ed iperrealistico che mai come in questo film il duo si era spinto a ricercare.
La contrastata fotografia in bianco e nero del grande Roger Deakins, loro storico collaboratore, e la straordinaria recitazione in sottrazione di Billy Bob Thornton d’ispirazione bogartiana, permettono infatti a Joel ed Ethan di ricreare magicamente l’inconfondibile atmosfera del noir anni ‘40.
Un’accuratezza stilistica che non si ferma mai, però, al mero omaggio, ma che riesce a plasmare un’atmosfera unica, sospesa tra il post-modernismo e il classico, tra la religiosa aderenza agli stilemi del genere (si pensi al magistrale utilizzo della canonica voice-over del protagonista) e l’irriverenza più totale nei suoi eccessi ironici e grotteschi (da esempio per tutti la tragicomica scena in auto della tentata fellatio “per riconoscenza”).
Senza dubbio una delle prime e già più alte vette del nuovo millennio, subito consacrata, in una competizione da urlo, dal prix de la mise en scène a Cannes nel 2001; ex aequo un certo Mulholland drive.

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(a cura di Alberto Bajardi)

9 – Il nono posto invece è condiviso da tre pellicole:

Melancholia, di Lars Von Trier (2011)

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Forse uno dei film più intimi e personali di Von Trier, Melancholia regala picchi di altissima regia con parallelismi pittorici degni di nota e diretti con somma maestria. Un episodio di depressione che mostra la totale anaffettività verso il mondo che ci circonda e verso una catastrofe annunciata ed imminente, complice l’ottima interpretazione di Kirsten Dunst.
La struttura narrativa è sostanzialmente divisa in due parti più un prologo iniziale molto corale e simbolico che anticipa la catastrofica fine del film. Scelta legata al fatto che Von Trier non voleva che lo spettatore venisse distratto dalla crescente suspense del film e che si soffermasse ad osservare la psicologia dei personaggi e la sua disamina della psiche umana di fronte ad una catastrofe naturale.
In poche parole, “Melancholia” è un film corale, evocativo ed indubbiamente tanto fascinoso quanto conturbante. Von Trier colpisce ancora, come sempre.

(a cura di Lorenzo Pietroletti)

 

Drive, di Nicolas Winding Refn (2011)

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Il film si apre con una sequenza iniziale pazzesca sulle note di Nightcall, di Kavinski presentato con dei di testa al neon, molto pop, di videoludica memoria, ma anche omaggio a “Risky Business”. Refn racconta una storia gestendo in maniera egregia la suspence col suo linguaggio estremamente visivo. I pochissimi dialoghi (il film conta in tutto poco più di 800 parole) hanno una potenza e un’intensità capaci di trapassare lo schermo e arrivare con forza allo spettatore. La gestione dei silenzi è fondamentale e lascia alla camera lo spazio per esaltare il potere emotivo della recitazione degli attori. La violenza di Drive si rinnova ad ogni morte, sempre diversa dalla precedente. Nessuna inquadratura va sprecata, con ogni quadrante della fotografia che sembra avere vita propria, celando un sottotesto fondamentale. Quello che Refn usa è puro linguaggio visivo e la sua opera può essere veramente apprezzata soltanto nella sua interezza e dedicando una meticolosa e non passiva osservazione a tutti i suoi lavori.

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(a cura di Lapo Maranghi)

 

I Tenenbaums, di Wes Anderson (2001)

TenenbaumIn un modo o nell’altro la famiglia risulta sempre essere un elemento centrale dei film di Wes Anderson. Ma il suo film sulla famiglia per eccellenza rimane I Tenenbaum, terzo film di Wes Anderson di cui è anche sceneggiatore. Una storia dove la mancanza di affetto paterno e di modelli da seguire porta i figli a crescere da soli, commettendo gli stessi errori dei genitori. Il padre alla fine riuscirà però a redimersi rimediando agli errori commessi. La regia è ottima non solo nella direzione degli attori e nella caratterizzazione dei personaggi, inventati dallo stesso regista ispirandosi a quelli delle strisce dei Peanuts, ma anche nel rimarcare i classici elementi della cinematografia di Anderson. Una cinematografia fatta di spunti presi dalla nouvelle vague, da registi come Waris Hussein e da classici del cinema americano. Un’ottima e soppesata combinazione di stili, atta a crearne uno personale ed inconfondibile. A partire dalla simmetria con cui compone le sue immagini e la loro fatata piattezza.
Se la maggior parte dei registi vogliono farci dimenticare di stare guardando un flim Wes continua a ricordarci che è proprio quello che stiamo vedendo, facendolo spesso assomigliare ad un libro illustrato da sfogliare; inserendo ad esempio il titolo nel film stesso. Tratti caratteristici che inevitabilmente ci fanno capire di stare guardando un film di Anderson, come lo slow motion, i rapidi movimenti di camera del panning, l’inclinamento verticale della camera, lo zoom e soprattutto la carrellata a seguire il soggetto in un piano sequenza. I Tenenbaum non solo incarna al meglio le caratteristiche tecniche del regista ma racconta la sua storia in una New York fuori dal tempo e dallo spazio, capendo quando sia necessario puntualizzare qualcosa e quando lasciarlo aperto all’interpretazione. Un film che illustra al meglio le caratteristiche di uno dei registi più abili del 21esimo secolo ed una messa in scena a dir poco spettacolare. Curato in ogni suo aspetto e diretto magistralmente da Wes Anderson la pellicola diviene un classico del cinema indipendente americano e un grandissimo film.

(Per i più interessati qui trovate un’intervista completa a Wes Anderson sulla creazione del film).

(a cura di Vanni Moretti)