The Hurt Locker – Recensione

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Nel 2008 Stati Uniti ed Iraq firmano un accordo che prevede il ritiro delle truppe americane entro il 2011. Nello stesso anno, esce al cinema The Hurt Locker, film diretto da Kathryn Bigelow e scritto dal giornalista Mark Boal, che proprio nella guerra in Iraq affonda le mani per raccontarci una vicenda di guerra e di umanità. Il film fa razzia di premi, arrivando a vincere ben 6 premi Oscar: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro, oltre alle candidature al miglior attore protagonista per Jeremy Renner, alla miglior fotografia e alla miglior colonna sonora.

Nel pieno del conflitto in Iraq, una squadra di artificieri lavora incessantemente per disinnescare gli ordigni esplosivi. Durante uno di questi interventi, il sergente Thompson (Guy Pearce) rimane ucciso da una bomba. Al suo posto, a capo dell’unità formata dallo specialista Eldridge (Brian Geraghty) e dal sergente Sanborn (Anthony Mackie) viene assegnato il sergente William James (Jeremy Renner). James però è molto diverso dal suo predecessore. Sprezzante del pericolo trascina l’unità in azioni al limite del buon senso, seguendo il suo istinto più che la prassi del suo lavoro. James non sembra curarsi della morte ed i due cercano di porre un freno alla sua irruenza.

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Il film si apre con una citazione tratta dal libro “War is a force that gives us meaning”, best-seller del 2002 di Chris Hedges, corrispondente di guerra per il New York Times. “la furia della battaglia provoca dipendenza totale perché la guerra è una droga.” Da questa singola frase si deve ricercare l’intento della Bigelow. La regista non intende dirigere un film sulla guerra in Iraq, ma prende il conflitto iracheno come pretesto per parlare di uomini in guerra. La Bigelow usa il deserto e le città in rovina come sfondo di un discorso molto più ampio che coinvolge gli uomini dal profondo della loro psiche. Nel corso del film non prende alcuna posizione a proposito del conflitto, come se fosse un elemento collaterale. Quello che veramente le importa è l’uomo.

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Il sergente James, interpretato da un grande Jeremy Renner, è un personaggio che resta sopra le righe per tutto il film. Non si crea problemi a fare il suo lavoro, l’etica della guerra non lo tocca lontanamente. Eppure non rispetta mai il protocollo, avventurandosi in azioni spregiudicate che mettono in pericolo la sua vita e quella dei compagni dell’unità. La sensazione è quella di assistere ad un personaggio che sta sopra le parti: non gli interessa di servire l’America, tutto quello che fa è per sé stesso. Né eroe né antieroe, semplicemente un pazzo che trova eccitamento nel pericolo della guerra. James è completamente assuefatto dalla violenza della guerra. In una sorta di folle gioco, sfida la morte in un testa a testa costante, spingendosi sempre un poco di più oltre il limite in un mestiere già di per sé molto pericoloso. “Tirare i dadi e vedere come va a finire”, per usare un’espressione pronunciata nel film.

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La Bigelow affronta, attraverso gli altri personaggi, anche le altre possibili reazioni psicologiche a cui sono sottoposti i soldati. Gli altri due membri della squadra mostrano infatti diverse conseguenze dopo essere stati sottoposti allo stress ed alle esperienze traumatiche della guerra, ultima fra le tante la morte del loro precedente capo. Eldridge comincia a farsi delle domande sull’etica delle loro azioni, non senza il timore di tornare a casa in una bara. Sanborn reagisce attraverso il pessimismo, arrivando ad affermare “Se muoio non se ne accorge nessuno”.

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Degno di nota è anche il discorso registico che la regista intrattiene con lo spettatore. Assistiamo infatti ad una frammentazione dei punti di vista, grazie all’utilizzo di più camere Super 16mm. La macchina è spesso tenuta a mano ed il montaggio, nelle scene d’azione, è serrato. Ne risulta un ritmo sostenuto, che però non teme di prendersi le sue pause per indagare nel profondo dei personaggi. La tensione nel film si basa soprattutto su questi momenti, oltre che negli attimi critici durante le operazioni.

In conclusione, The Hurt Locker è con ogni probabilità uno dei migliori film di guerra del periodo recente (e non). È un film che non diventerà mai vecchio, almeno fino a quando esisterà la guerra. È un film che non teme di parlare di temi importanti, facendolo in modo lucido e lasciando le ideologie e le questioni politiche delle due fazioni da parte. Un film girato con fredda precisione, che lascia trasparire tutte le debolezze dell’uomo accentuate attraverso un conflitto che, oltre ad essere esteriore, è anche interiore.