Terminator Zero: la guerra contro le macchine passa per la I.A. | RECENSIONE

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La nuova serie animata su Terminator prende di petto i rapporti tra umani e intelligenza artificiale, sposando momenti action e horror a profonde riflessioni filosofiche e cercando un nuovo equilibrio per l’intera saga. Ecco la nostra recensione

Terminator Zero: il robot killer in Giappone

Terminator Zero, serie Netflix d’animazione giapponese di otto episodi sempre basati sulla saga sci-fi iniziata da James Cameron, si spinge molto più a fondo dietro alle argomentazioni esistenziali che hanno dato inizio al conflitto tra umani e macchine che sta al centro della serie, e che vede l’impiego dei famigerati robot assassini.

Anche qui, come nel primo film del 1984 e il secondo del 1991, quelli storici, un Terminator viene spedito indietro nel tempo – in Giappone, stavolta – e una soldatessa lo segue per fermarlo. La destinazione è il 1997: lo scienziato Malcolm Lee, consapevole di ciò che farà Skynet (ossia, in breve, l’apocalisse), intende costruire una nuova intelligenza artificiale, Kokoro, perché difenda l’umanità da lei.

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Azione e filosofia: sci-fi di qualità che mira in alto

Ma le cose non sono così semplici: infiniti dubbi etici e morali, nonché filosofici, si frappongono tra le intenzioni dell’inventore – che non è chi dice di essere – e la strenua razionalità della I.A.. Il tutto mentre i figli dell’uomo vengono cacciati dal Terminator e a Tokyo si consuma il caos. Non mancano azione mozzafiato come nella più fiera tradizione della saga, e contenuti grafici piuttosto espliciti.

C’è un po’ di tutto: sparatorie, viaggi nel tempo, paradossi, esplosioni, uccisioni violente, atti di eroismo, tecnologia fantascientifica, colpi di scena, ragionamenti intricati e momenti horror. Lo stile d’animazione giapponese è pregevole e di qualità, mentre la scrittura di Mattson Tomlin – che sta lavorando al sequel di The Batman assieme a Matt Reeves, tanto per dire – è attenta e ambiziosa.

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Si sente la mancanza di Schwarzy, eccome

In pratica Terminator Zero ha tutto quel che serve per coinvolgere i fan della saga, pur con la limitatezza dei suoi otto episodi da venti minuti e poco più, ma anche con un finale aperto che lascia intravedere possibili scenari per nuove stagioni. Quello che però un po’ manca è naturalmente un personaggio davvero iconico come, manco a dirlo, il Terminator di Arnold Schwarzenegger.

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Senza di lui la saga non sarebbe mai decollata e ancora oggi è impossibile pensare al franchise – pur con tutti i vari spin-off e le varie continuity – senza richiamare alla mente lui e le sue memorabili battute. In questo la serie giapponese si prende molto, forse troppo sul serio perdendosi in una drammaticità intellettuale che forse in soli otto episodi è fin troppo intricata da districare.

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Le domande rimangono: siamo degni di esistere?

Quello che rimane è il tema centrale, importante e attualissimo: il rapporto tra gli umani e l’intelligenza artificiale, che nella nostra realtà è ogni giorno un passo più vicina a quello che sono Skynet e Kororo. Il dialogo con lei, in quanto creazione umana, è un dialogo della nostra specie con sé stessa e anche alla luce dei tempi che viviamo.

Le riflessioni che ne emergono non sono inedite: siamo davvero degni, come specie, di sopravvivere? Siamo proprio sicuri che il pianeta non starebbe meglio in mano alle macchine, e senza di noi? La serie non dà una risposta (e meno male) ma propone una fragile volontà di dialogo. Niente però è deciso, perché questa è solo una delle tante linee temporali. Le domande fondamentali, insomma, rimangono.

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