Berlusconi, la prima repubblica e il cinema

Il 1994 rappresenta una cesura fondamentale per la storia politica e culturale dell'Italia, tra il fallimento della Prima Repubblica e l'arrivo di Silvio Berlusconi

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Trent’anni fa, nel 1994, cadeva la Prima Repubblica: poco dopo Silvio Berlusconi avrebbe travolto la politica italiana. Come hanno raccontato tutto questo il cinema e la tv?

La storia, prima di tutto: da Giulio a Silvio

Era il 1994 quando cadeva la Prima Repubblica in Italia.

Purtroppo (o per fortuna?) riusciamo a leggere meglio le note storiche solo una volta che tutto è accaduto, con quella giusta distanza che serve a mettere in prospettiva e a raccontare con più obiettività gli avvenimenti così da inserirli nella giusta prospettiva.

L’ultimo decennio del Novecento portava come eredità per la sinistra la necessità di fronteggiare il passato: la caduta del Muro di Berlino era uno spartiacque, definendo politicamente e socialmente la fine del comunismo dei Paesi dell’Est. A cascata, in Italia prendeva vita il nuovo Partito di Rifondazione Comunista mentre un’implosione interna determinava la crisi dei vecchi partiti.

Gli elettori chiedevano a gran voce un profondo rinnovamento, ma la miccia che fece deflagrare tutto fu l’inchiesta denominata Mani Pulite e Tangentopoli. L’intreccio indissolubile dei poteri forti con intrighi di palazzo e affari sporchi condusse non senza traumi nel 1993 all’autorizzazione a procedere contro Giulio Andreotti, che indipendentemente con il suo prosieguo giudiziario mise in discussione una volta per tutte la credibilità dell’intero pantheon politico.

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Nel 1994, lo scossone definitivo che fece crollare tutto in vista di una nuova ricostruzione: alle elezioni vinse Forza Italia, partito fondato da Silvio Berlusconi, giovane sovrano incontrastato di un vero e proprio impero mediatico che riuscì, con intelligenza e charme non da pochi, a riempire il vuoto politico che si era aperto al centro, intercettando molti voti raccogliendo la maggiorparte degli ex DC e PSI.

Forza Italia, inevitabilmente quanto prevedibilmente, creò una sorta di blocco sociale cercando una rappresentanza politica e temendo la sinistra al governo: era insomma una specie di partito-azienda basato ad immagine e somiglianza del suo fondatore (Berlusconi) nel momento in cui impostava la fase della politica italiana basata sulla personalizzazione.

Personaggio ambiguo, anzi dalle molteplici facce: ha lanciato molte sfide e prospettato cambiamenti senza realizzarli, ha rimodellato e rifondato il sistema televisivo italiano e il concetto stesso di fare politica, mito positivo da un lato e sintesi dei mali dell’Italia di oggi dall’altro. Per trent’anni è stata una sorta di Araba fenice, che ciclicamente cade e risorge, protagonista assoluto della Seconda Repubblica -che lui stesso ha plasmato-, portatore in Italia di quel neoconservatorismo ideologico che ha attraversato l’Occidente dai primi anni Ottanta ma innervato con componenti (almeno all’inizio) autenticamente liberali sul pino economico, poi via via con richiami sempre più forti al tradizionalismo.

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Un vero e proprio Giano bifronte, da una parte radici anti-statali dell’Italia profonda, dall’altro proiettato nella post-modernità dell’immateriale e dell’immaginifico, versione glamour dell’anti-politica avvinta all’arretratezza e ad un conservatorismo piccino e gretto, dall’altra rivoluzionario non passatista.

Se allora il cinema americano ha da sempre attinto a piene mani dalla sua storia politica (basterebbe solo la Guerra Civile per enumerare un numero impressionante di film e telefilm), l’audiovisivo italiano poteva essere da meno nei confronti di questo scorcio di fine/inizio secolo così affascinante?

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La risposta, purtroppo, è sì: perché storicamente il cinema dello Stivale ha sempre rifiutato di guardare, men che meno attingere con interesse, al nostro passato (basterebbe pensare a quanto poco sia stato sfruttato il Risorgimento: Noi Credevamo di Martone e I Leoni di Sicilia di Genovese sono gli unici due esempi recenti, bisogna poi tornare molto indietro per trovare Il Gattopardo e In Nome del Papa Re…).

La Prima Repubblica non è mai stata allora una vera protagonista del cinema italiano, vendo ispirato pochi film e pochissimi telefilm (anzi, solo uno); Berlusconi, con le debite proporzioni, ha avuto un successo leggermente migliore su grande schermo. Vediamo le opere che hanno provato a raccontarci quest’ultimo trentennio.

Moretti e la crisi della sinistra

Se, come abbiamo visto, tutto parte dalla crisi del partito comunista, facciamo partire la nostra modesta enciclopedia politica da due film che hanno provato a descrivere la crisi della sinistra in Italia: le prime crepe, viste in maniera fatidica e preveggente, e la conseguente dissoluzione. E non poteva che essere lui, Nanni Moretti, ad averle immaginate su schermo.

Tutto parte da qui: la crisi dei valori in una sinistra che non si riconosce più in sé stessa. E Palombella Rossa (1989), uno dei capolavori assoluti del cinema italiano dagli anni Ottanta ad oggi, usa il rettangolo d’acqua di una piscina come non-luogo per mettere a fuoco quarant’anni della politica comunista, e di come inevitabilmente, inesorabilmente, il pubblico si rifletta nel privato.

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Un film dialogico e tragico come pochi altri nella filmografia breve ma intensissima di Moretti, Palombella Rossa mette in scena la mancanza di prospettive come la mancanza di una propria posizione politica, soprattutto dal punto di vista concettuale: e si fa viaggio doloroso nella psiche di un uomo che incarna un dolore collettivo.

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Subito dopo, con il suo La Cosa, del 1990, il buon Nanni osserva con insolita discrezione i mutamenti del PCI: la fine del partito con il discorso di Achille Occhetto il 12 novembre 1989 nella sezione della Bolognina, uno sguardo nelle diverse sezioni sparse per l’Italia, i ricordi della guerra partigiana e la difficoltà di lasciare andare quei valori: come spesso ha saputo fare, Moretti è testimone e profeta di un rito di passaggio destinato a mutare profondamente la geopolitica italiana attraverso il sentire profondo di uomini e donne.

Il primo affondo

Occorre però attendere altri vent’anni, e l’appropinquarsi della fine, per vedere al cinema una prima, vera, devastante e imponente ricostruzione della Prima Repubblica vista da dentro, attraverso il personaggio cardine di Giulio Andreotti.

Secondo Presidente del Consiglio per numero di giorni in carica, superato solo da Berlusconi (…), imputato in un processo per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e assolto in primo grado, uno dei maggiori esponenti della Democrazia Cristiana, partito protagonista della vita politica italiana della seconda metà del XX secolo, Andreotti è infatti protagonista de Il Divo di Paolo Sorrentino (2008), sorta di horror politico in cui la Storia d’Italia diventa una danse macabre, nel quale il regista manipola i personaggi a suo piacimento rendendoli protagonisti di un teatro dei manichini oscuro e molesto.

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Il Divo non è però resoconto politico, almeno non nella misura in cui si cerchi la cronaca: ma in Andreotti Sorrentino (e Toni Servillo, interprete principale) racchiude tutto l’immobilismo di una politica che “tirava a campare invece che tirare le cuoia