20 anni fa la rivoluzione del “nuovo rock”: White Stripes, Strokes, Interpol; com’è finita poi?

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A inizio millennio, circa tra 2001 e 2003, i critici parlavano a gran voce della “New Rock Revolution”: una marea di nuove band dall’impostazione revival arrivate al salvataggio del rock and roll. E oggi, vent’anni dopo, dove sono finite quelle band?

Sì: anche nel 2003, vent’anni fa, si sosteneva che il rock era “morto”; e si cercava con impazienza un nome, o più di uno, che potesse resuscitarlo. Anche oggi c’è chi continua a ripetere questa tiritera, accusando i Maneskin di inautenticità e nel frattempo ignorando beatamente l’esistenza di, per esempio, Nothing But Thieves, Wolf Alice, Royal Blood, Black Honey o della scena neo-grunge.

Allora era forse meno peggio di adesso: non c’erano i social e quindi se i nuovi gruppi rock salvatori del genere venivano ignorati non c’erano scuse per non conoscerli. Il problema ai tempi era principalmente MTV, che promuoveva generi rock considerati troppo melensi (il post-grunge o il post-britpop) o troppo “gimmick” e legati spesso a dimensioni più visive che sonore (il nu metal).

E dopo l’9/11 l’esigenza di avere di nuovo da ascoltare un rock and roll autentico, semplice, diretto e privo di fronzoli s’era fatta molto più forte. Ora che sono passati più di due decenni è sicuro dire che il fenomeno fu più che altro inventato dalle solite testate musicali che non menzioniamo (ma sapete quali sono); ma il quadro è anche quello in effetti di un grande e innegabile fermento.

Da un lato infatti le band di cui parliamo non avrebbero avuto il successo che ebbero senza l’aiuto della stessa MTV e dei magazine di musica che le osannarono promuovendole in ogni modo; dall’altro è vero che il clima di tensione e vacuità del nuovo millennio favoriva comunque la riscoperta di suoni diversi da quelli “mainstream” (in quegli anni il termine aveva ancora senso).

Questi suoni furono ricercati nelle vecchie tendenze cult underground del post-punk e del garage rock: un po’ mischiati insieme tra le corde di quei gruppi di inizio millennio iniziarono a rispuntare Stooges, MC5, Modern Lovers, Television, Gang of Four, Talking Heads, The Clash, Joy Division, Wire, Ramones.

Un nuovo alternative che sapeva di punk, di proto-punk e di post-punk, che ai generi commerciali di MTV opponeva band vestite casual con chitarre e capelli lunghi, come negli anni ’70. Una nuova musica alternativa che si sostituiva a quella già “alternativa” anni ’90 che nel frattempo s’era venduta e aveva perduto ogni forza. Un nuovo suono che sarebbe presto stato definito (impropriamente) indie.

Tra il 2001 e il 2003 successe tutto quanto e i nomi vennero uno dopo l’altro gettati nel calderone della New Rock Revolution: The Strokes, White Stripes, Interpol, LCD Soundsystem, Yeah Yeah Yeahs, The Vines, The Hives, Electric Six; e poi Kings of Leon, The Killers, i primi Arcade Fire; e il revival più hard rock che passò per Jet, The Darkness e Wolfmother.

La tendenza generale era quella di un ritorno al rock di decadi prima, antecedente ad MTV e ai suoni artificiosi della produzione digitale; un suono più album-oriented, organico, fatto di pura tecnica esecutiva ma con l’aggressività del punk. Un rock non solipsistico, fatto per le masse e per le persone comuni ma volto alla riscoperta della musica come espressione d’arte pura e non solo merce da vendere.

Quanto ci fosse di vero e quanto queste band furono coinvolte da questo nuovo “verbo”, difficile dirlo. Forse non erano tutti “in it for the money“, come direbbe Frank Zappa; ma certamente in tanti godettero di un successo inatteso e forse in alcuni casi in fondo immeritato, più che altro con la fortuna di essersi trovati nel posto giusto al momento giusto.

Il 2003 segnò forse l’anno della fine della “prima ondata” di questo nuovo rock, ma comunque un anno importante: uscirono Elephant dei White Stripes (sì, il disco con quella canzone lì), Room on Fire degli Strokes, Fever to Tell degli Yeah Yeah Yeahs e Youth and Young Manhood dei Kings of Leon, tanto per dirne alcuni.

Ovviamente non era tutto lì: il nu metal era ancora prominente (i Linkin Park, ma anche i SOAD) e per il post-britpop i Coldplay stavano già conquistando tutte le classifiche. Presto il suono post-punk revival / garage rock revival trovò una ulteriore spinta nella seconda ondata, quella inglese, di metà decennio: Arctic Monkeys, Franz Ferdinand, Kaiser Chiefs, Bloc Party.

E poi? Poi si iniziò, nella seconda metà degli anni ’00, a parlare di indie rock: la matrice era sempre quella ma i suoni erano più morbidi, più aperti, tesi spesso all’esplorazione della new wave. Nei primi dischi di Foals o Two Door Cinema Club si possono cogliere queste sfumature, improntate ad un’evoluzione di quel suono ormai non più nichilista e anzi molto introspettivo ed emotivo.

La vacuità e il cinismo di quel primo indie e l’intento rivoluzionario di quei nuovi gruppi sono tutti elementi andati perduti con la fine degli anni ’00. Alcuni hanno continuato indefessamente a dedicarsi a produzioni sempre fedeli a sé stesse, come gli Interpol. Altri, come gli Arctic Monkeys, hanno invece completamente voltato pagina e sono oggi, a livello di suono, irriconoscibili.

Certe band sono diventate istituzioni a tutti gli effetti, come gli Strokes; altre, come i Kings of Leon, un po’ meno. Altre ancora rimangono ingiustamente ignorate e dimenticate, come gli Yeah Yeah Yeahs o i primi Gossip; mentre alcune che forse lo avrebbero meritato di più, come Modest Mouse o Spoon, non sono mai veramente state riconosciute come parte di quel grande cambiamento.

Concludendo: una rivoluzione c’è stata? Si può dire di sì, ma non certo come movimento “popolare” né in quanto ribellione dell’underground contro il mainstram. Più che altro fu un felice incrocio di coincidenze e circostanze favorevoli, che permisero ad artisti validi e capaci (come un Jack White) di esprimersi appieno.

E di queste rivoluzioni, ce ne potranno essere altre? In realtà, notizia flash, avviene ad ogni cambio di generazione: i giovani vogliono distinguersi dai fratelli maggiori e dai genitori e accorrono in massa a fare qualcosa che a loro pare originale e che, in ogni caso, crea una frattura con quel che c’era prima; è successo con il punk, è successo con il grunge, è successo con l’indie. Aprite le orecchie: sta succedendo di nuovo.

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