Emily in Paris 3, Recensione della terza stagione

Ecco la nostra recensione della terza stagione di Emily in Paris che ci ha davvero molto delusi.

Condividi l'articolo

Lo scorso 21 dicembre è approdata su Netflix la terza e attesissima stagione di Emily in Paris, la serie creata da Darren Star e interpretata da Lily Collins. 10 episodi da circa mezz’ora l’uno. Una serie fortemente divisiva che vanta una fan base molto nutrita (come testimonia la sua assidua permanenza nella #topten del player californiano) ma anche una folta schiera di detrattori. Forte delle due nomination ai Golden Globe targati 2021, lo show ha già ottenuto un rinnovo per una quarta stagione che dovrebbe arrivare il prossimo inverno.

Emily in Paris 3, la trama.

È passato ormai un anno dall’arrivo di Emily a Parigi. Il suo profilo Instagram ha sempre più follower e sia la carriera sia la vita sentimentale sono a un bivio. Sul fronte lavorativo Emily è contesa tra Madeline (Kate Walsh: 13 Reasons why, Grey’s Anatomy, Private Practice), grazie alla quale è venuta a Parigi, e Sylvie; mentre su quello sentimentale tra Gabriel e Alfie. Emily dovrà fare delle scelte e capire cosa può lasciare andare e cosa no.

Emily in Paris, il trailer

Emily in Paris 3, il cast.


Lily Collins nel ruolo di Emily Cooper
Philippine Leroy-Beaulieu nel ruolo di Sylvie Grateau
Ashley Park nel ruolo di Mindy Chen
Lucas Bravo nel ruolo di Gabriel
Camille Razat nel ruolo di Camille
Samuel Arnold nel ruolo di Julien
Bruno Gouery nel ruolo di Luc
William Abadie nel ruolo di Antoine Lamber
Kate Walsh nel ruolo di Madeline Wheeler
Lucien Laviscount nel ruolo di Alfie

Emily in paris 3, la recensione.

Emily in Paris ha il pregio di mettere le carte in tavola fin dal primo minuto dell’episodio pilota: siamo di fronte a una serie leggera e spensierata, rivolta a un pubblico prettamente femminile. Del resto Darren Star, suo creatore e showrunner, vanta un curriculum invidiabile e al netto di qualche recente passo falso, resta comunque il creatore di due show iconici e generazionali come Beverly Hills 90210 e Sex and the city. Emily in Paris, sulla carta, sembra essere la combinazione perfetta di queste due serie perché aggiunge dinamiche proprie del teen drama (in questo caso young adult: Emily è alla soglia dei trent’anni) a quelle tipicamente alla Sex and the city.

Eppure questa terza stagione convince ancor meno delle due precedenti. È vero che, come accennato in precedenza, la serie di Darren Star non ha grandi ambizioni: è dichiaratamente uno di quei prodotti da guardare anche in sottofondo, magari mentre fai altre cose. Ma questo non vuol dire che allora tutto le sia concesso. I cliché su Parigi e i parigini, ad esempio, dopo tre stagioni iniziano a essere veramente difficili da sostenere. C’è questa continua narrazione di Emily che si ammazza di lavoro perché gli americani sono così: focalizzati sull’obiettivo mentre gli europei hanno tre mesi di ferie e procrastinano ove possono. Dopo tre stagioni è ancora tremendamente vero quello che Luc (Bruno Gouery, l’attore migliore insieme a Lily Collins e a Kate Walsh) dice a Emily nell’episodio pilota: “Voi americani vivete per lavorare, noi europei lavoriamo per vivere”. Questo perché i personaggi sono monodimensionali, hanno una sola peculiarità, una sola caratteristica: quella è in partenza e quella resta fino alla fine, senza alcun arco di cambiamento (se non banale e scolastico) con buona pace di Christopher Vogler.

In Emily in Paris, inoltre, è sempre tutto molto facile. Vuoi una stella Michelin? Nessun problema: l’ex di Luc fa proprio questo di mestiere. E di esempi di questo tipo ne potremmo fare tanti, ma ve li risparmiamo: il senso è che i protagonisti non hanno mai un vero ostacolo da superare, quasi come se gli sceneggiatori avessero il timore di mettere i bastoni fra le ruote alle loro stesse creature. I problemi di integrazione, lavorativi, sentimentali di Emily sono problemi normalissimi superabili facilmente con mosse semplici (soprattutto per una come lei) quali imparare la lingua del Paese che ti ospita; smussare qua e là dei lati del tuo carattere universalmente riconosciuti come insopportabili in entrambi gli emisferi; non farti la guerra con la tua amica per il ragazzo che piace a entrambe. Niente di trascendentale, insomma.

Più che l’erede designata di Sex and the city di cui, in tutta onestà, ha veramente poco. I continui tira e molla, i triangoli amorosi, le paturnie, la rendono una soap da pomeriggio di LA5. Emily non raccoglie il testimone di Carrie Bradshaw, non ci va nemmeno vicina perché quella era una serie che attraverso le vite delle sue protagoniste raccontava la New York City dell’epoca, con le sue contraddizioni e i suoi cambiamenti.

Il personaggio di Lily Collins, invece, è poco credibile: a volte forte e a volte fragile a seconda delle esigenze di sceneggiatura. Un genio del marketing, che riesce laddove falliscono sue colleghe con vent’anni di esperienza in più nel settore, che al tempo stesso è incapace di capire che il suo account EmilyinParis ha del potenziale e può essere sfruttato (nelle dirette fa 10.000 persone). Insomma, questa terza stagione è del tutto in linea con le due stagioni precedenti, è coerente. Come per le prime due, però, il livello sembra essere sotto la media.


Che ne pensate di questa terza stagione? L’avete vista?

Seguiteci su LaScimmiPensa

LEGGI ANCHE:  Steven Spielberg vuole escludere Netflix dai prossimi Oscar