SZA – SOS: tra il bedroom e l’R&B sorge una nuova regina | RECENSIONE

SZA
Condividi l'articolo

SOS, il secondo album di SZA, è il blockbuster R&B che ci si aspettava da lei. Ma c’è molto, molto di più

Forse è prematuro e anche un po’ incorretto definire Solána Rowe, classe 1989 e nota come SZA, la nuova Beyoncé. Ma il tipo di musicalità affrontate dalla cantante sembra mirare in una direzione molto simile, evitando le produzioni chiassose e potenti di altre artisti come Cardi B, Nicki Minaj e Megan Thee Stallion e posandosi un musiche pacatamente pure, profonde e complesse.

SZA intende andare oltre la classica immagine della popstar emancipata e la sua missione di re-interpretazione e re-invenzione dell’R&B negli anni ’20 la prende sul serio. Costruendo sull’esperimento di Ctrl (2017), disco fondativo di quello che potremmo definire bedroom R&B (proposto, tra i nomi eclatanti, anche dall’inglese Arlo Parks), in questo secondo lavoro la cantante va ancora più in là.

Nel suo disco argina componenti rap, “tamarraggine” di qualunque tipo e ritornelli facili da classifica per dedicarsi invece ad una tracklist molto atmosferica, seducente, sottile ed insinuante che pure non fa mancare molti momenti eclettici. F2F, per esempio (scritta anche da Lizzo) sembra una canzone di Olivia Rodrigo, un pop rock quasi da teenager.

Nobody Gets Me è invece una ballad acustica e chitarristica, simile a molte cose della Taylor Swift del 2020 e 2021, molto lontana dalle solite basi 808 e dall’autotune. Tra gli ospiti compare poi un certo Travis Scott, cantante praticamente semi-cancellato dopo l’incidente al festival Astroworld e che qui si fa risentire con il suo classico stile produttivo per la prima volta in ambito mainstream.

Certo, la maggior parte delle canzoni si presentano con uno stile R&B elettronico più classico e moderato, a tratti un po’ dark pop e in certi momenti sempre bedroom, con arrangiamenti asciutti quando non lo-fi e completamente subordinati alla tecnica vocale della Rowe, eccelsa e più vicina in effetti ai primi album di Ariana Grande che a quelli di Beyoncé.

Vero, il disco è molto lungo e corposo, la lista tracce regala una serie di ascolti leggeri ma che inanellati possono mostrare una certa pesantezza; ed è vero che diversi dei brani sembrano un po’ sviluppati a metà, quasi dei riempitivi che forse avrebbero più trovato posto in un mixtape che in un album.

Ma non bisogna scambiare la qualità di questo disco per un lavoro amatoriale: il sound è studiato e se sembra che tutto sia molto semplice ed essenziale è perché SZA ha questo modo di fare musica, lo ricorda bene chi sentì all’epoca Ctrl: canzoni dirette che comunicano tanto apparentemente facendo poco.

E in questo senso la cantante sembra intuire la direzione della musica R&B / soul meglio di molte altre sue colleghe coetanee o più giovani, ostinate a creare album stratosferici infarciti di iper-produzioni chiassose e rimbombanti. Qui, nonostante la presenza di una enorme quantità di produttori (tra cui Jeff Bhasker, Darkchild, Babyface e Benny Blanco), si va in direzione completamente opposta.

Morale: molta più sostanza che forma, ossia proprio quel che ci vuole per ridare freschezza e spessore ad un genere come l’R&B che si ritrova fin troppo spesso piegato verso le richieste delle classifiche e del pubblico dei club o da festa. Quindi: SZA la nuova Beyoncé? Per ora basti dire che lei è SZA; e già questa come definizione, dopo un album come questo, dice tutto quello che c’è da dire.

Continuate a seguirci su LaScimmiaSente