L’uomo più odiato di internet, Recensione della docuserie Netflix

Una docuserie dolorosa e difficile da guardare, che segue l'ascesa e la caduta di colui che è stato definito il re del Revenge Porn

Hunter Moore è l'uomo più odiato di internet, protagonista della nuova serie Netflix
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L’uomo più odiato di internet (The most hated man on the internet, in lingua originale) è la nuova miniserie documentaristica appena arrivata su Netflix che sta già facendo parlare molto di sé.

Realizzata dagli stessi produttori de Il truffatore di Tinder, L’uomo più odiato di internet è una serie che, proprio come la precedente, punta a raccontare gli imbrogli che la rete ha spesso contribuito non solo a realizzare, ma anche a diffondere, spesso e volentieri ai danni delle donne.

La nuova miniserie – composta da tre episodi da circa 60 minuti ciascuno – affronta uno dei primissimi casi di revenge porn online, e quindi può rappresentare un trigger warning per coloro che sono sensibili a questo argomento tanto infame quanto criminale.

Di cosa parla l’uomo più odiato di internet?

The most hated man on the Internet segue l’ascesa e la caduta di Hunter Moore, un ragazzo poco più che ventenne che con il suo sito IsAnyoneUp.com ha promosso e diffuso il revenge porn, con centinaia di foto di ragazze prese senza consenso e gettate agli odiatori della rete.

Autodefinitosi con un certo vanto un “rovinatore di vite professionista” Hunter Moore ha contribuito a svendere l’intimità ed informazioni sensibili di numerose persone, senza distinzione di sesso e genere, per fare soldi.

Bullo e arrogante convinto, Hunter Moore si sentiva pressoché intoccabile, finché la madre di una delle vittime del sito ha deciso di rispondere al fuoco con il fuoco, seguendo le tracce di Moore fino ad ottenere non solo la rimozione delle foto della figlia, ma anche giustizia per tutte le vittime che erano state irrise da Hunter Moore e dalla sua schiera di seguaci, che si chiamavano The Family, in un rimando agghiacciante alla setta di Charles Manson.

L’uomo più odiato di internet: Recensione

Ascesa e caduta di un bullo

Sebbene possa sembrare un accesso di cautela sottolineare ancora una volta i trigger warning contenuti nella serie appena approdata su Netflix, non si potrebbe cominciare la recensione senza sottolineare che le persone sensibili al tema del revenge porn nell’avvicinarsi a questa serie devono essere consapevole di avvicinarsi a un prodotto doloroso, che fa rabbia e può far star male.

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La prima caratteristica, infatti, che salta all’occhio guardando L’uomo più odiato di internet è il fatto che il regista Rob Miller non lesina su nulla e anzi affonda nella parte più nascosta ed emotiva dello spettatore, affogando in quella parte oscura degli istinti primordiali e selvaggi, che spingono a reagire alla storia con rabbia e dolore.

Hunter Moore è un personaggio emerso nel 2010, quando i social network erano ancora all’inizio della loro crescita e non erano dilaganti quanto oggi. Un’epoca in cui Internet era un vero e proprio far west più di quanto lo sia nel 2022. Hunter Moore è apparso con il suo sito e ha cominciato a presentarsi come un bad guy, un uomo tutto eccessi e dichiarazioni discutibili, che a un certo punto ha sentito di essere intoccabile e invincibile.

Tutto quello che di questo “personaggio” si vede nella serie Netflix è disgustoso, abietto, criminale. Sentendosi l’eroe di un qualche gangster movie di serie B, Hunter Moore viene mostrato immediatamente come un ragazzino con manie di grandezza, capace di fare la voce grossa solo con chi era in una posizione di inferiorità: un bullo, per dirla in poche parole.

Il suo sito – che poneva foto intime di persone (per lo più donne) insieme ai profili social delle vittime – veniva utilizzato soprattutto per invitare utenti molto spesso frustrati a vomitare odio e umiliazioni contro le vittime. E questo è un aspetto che la serie indaga molto bene, su cui insiste: un po’ per giocare un facile ricatto emotivo, ma soprattutto per costruire alla perfezione il personaggio di Hunter Moore, che si è ritirato dalla scelta di partecipare alla docuserie.

Questo è anche l’aspetto che fa più male, perché lo spettatore si trova davanti a persone e ragazze che si vedono privati della propria intimità e del controllo di disporre non solo del proprio corpo, ma anche della propria vita, dei propri rapporti personali e professionali. Donne che supplicavano affinché le loro foto venissero tolte dal sito, che pregavano per non essere umiliate ulteriormente davanti all’orecchio di un uomo che non solo non le ascoltava, ma usava quelle suppliche per deriderle ancora di più. Ecco, L’uomo più odiato di internet è un documentario che fa male.

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È difficile da guardare senza avere la voglia di piangere e/o vomitare e, forse, proprio per questo, è una docuserie perfettamente riuscita, che permette di entrare in empatia con la vittima e che non si “accontenta” di una nuda ricostruzione dei fatti.

A questo si aggiungere anche un lato più “Thriller”, nella storyline della caccia che Charlotte Laws, madre di una delle vittime, ha fatto partire contro Hunter Moore, scrivendo ai suoi avvocati, contattando la madre, arrivando a ripagare Hunter con la stessa moneta, pubblicando il suo indirizzo di casa.

Con testimonianze di vittime e forze dell’ordine, L’uomo più odiato di internet è anche una serie che spinge a riflettere sui molti pericoli che la rete internet ancora trascina con sé e, soprattutto, pone l’accento sull’emulazione, sul numero esorbitante di persone che non si sono rese conto di quanto orribile fosse Hunter Moore e il suo sito e lo hanno elevato a suo eroe, al punto di fare tutto quello che chiedeva pur di avere un po’ della sua attenzione.

A questo punto ci si potrebbe soffermare a pensare se sia giusto e/o morale dare nuovo afflato a personaggi così abietti o se fosse il caso di lasciarli nell’oblio in cui la giustizia li ha gettati. In questo senso Netflix potrebbe essere percepita come il proverbiale gatto che si morde la coda, che mentre denuncia dei reati allo stesso tempo gli da una nuova eco.

Questa però è una riflessione etica e morale che non va a intaccare la buona realizzazione della docuserie dedicata a quella che, senza dubbio, si può definire l’ascesa e la caduta di un bullo.