GTA V: vivere e morire a Los Santos | RECENSIONE 

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Il GTA definitivo è anche il passaggio al crime action realistico per eccellenza: GTA V è il videogioco autentico e il suo contrario

Il dibattito è sempre aperto: GTA V rappresenta davvero l’eccellenza completa nella premiatissima saga Rockstar Games? Vero è che il videogioco di per sé non si può separare né dalla lore complessiva rappresentata dall’unione degli altri titoli; né, dall’etica ultra-realistica che ne guida le intricate trame.

Le premesse sono ovviamente quelle tese a rappresentare, fin da subito, non tanto l’esasperato realismo quanto le infinite possibilità del mondo di gioco in anticipazione del servizio GTA Online e della fabbrica continua di soldi del Game as a Service. In questo senso, più che nelle limitate espressioni delle storie narrate, si ritrova la ricerca di un’esperienza autentica e simile alla vita vera.

Una vita vera che, si intende, assomiglia più a tutti i classici film crime/action, che siano quelli di John Woo, di Brian De Palma o di Richard Donner. Dal cinema vengono infatti ripresi tutti i cliché possibili; un cinema che del resto è fisicamente presente nella narrazione e che gioca un ruolo nello studio più complesso di un panorama mediatico in trasformazione.

Dall’ascesa dei social al tramonto dei reality show con uno spazio per la pornografia a basso costo, ogni dimensione della rappresentazione (e mediazione) del reale trova spazio in una città Los Santos, che è del resto la traduzione della realtà che “fabbrica” la finzione per eccellenza, IRL: Los Angeles, ossia Hollywood.

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Naturale quindi che le gesta dei tre eroi/anti-eroi vengano rappresentate seguendo i più folli estremi di ogni possibile sceneggiatura, tra inseguimenti, sparatorie, operazioni impossibili e azioni rompicollo che il più esagitato dei registi (Michael Bay, per esempio) neanche si sognerebbe di provare a mettere in scena.

E in questo, punto forte che certamente sorpassa gli altri, il gioco non si risparmia. Nulla viene lasciato di intentato, ogni filo narrativo si incontra prima o poi con una sfaccettatura diversa della realtà urbana e cinematografica, di quella criminale e di quella quotidiana, di quella privata e di quella pubblica.

Nel mezzo, i tre volti di tre diverse sfumature non solo della città, ma della società e della cultura americane nelle loro versioni più esasperate. Michael: mobster di mezz’età in crisi d’identità che rimpiange i vecchi tempi in cui il crimine era semplice e serio. Franklin: ragazzo di colore ansioso di emanciparsi, di uscire dal ghetto e di mostrare quanto vale.

E… Trevor. Completamente fuori di testa: difficile trovare altre parole per descriverlo. Le vicende dei tre si intrecciano in modi imprevedibili e, tra agenzie governative corrotte e altre organizzazioni criminali, in situazioni assurde si ritrovano per le mani il destino dell’intera Los Santos e di una miriade di persone.

Alla fine tutto si risolve in uno scontro di differenti etiche, in una mira reciproca di supremazia che, in un mondo cinico e spietato come quello di GTA, vorrebbe ritrovare un equilibrio impossibile che renda tutti soddisfatti. A farne le spese, ovviamente, una pletora di cadaveri sotterrati, esplosi, annegati o abbandonati dentro qualche banca e crivellati di proiettili.

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Ma ovviamente (e per fortuna?) c’è molto più di questo. Esaurita la modalità storia, facilmente percorribile e in effetti gestita più all’insegna della goliardia che altro, comincia il “vero” gioco. Volete lanciarvi da un aeroplano? Andare a fotografare le marmotte sulle colline? Customizzare la vostra auto in stile super-lusso? Oppure (ebbene sì) andare letteralmente a prostitute? Qui potete farlo.

Al di là della quasi impossibilità di platinare il gioco (impresa incredibile e moumentale), Los Santos diventa a main quest terminata una specie di enorme parco giochi nel quale si può fare davvero di tutto senza conseguenze, ai limiti del proponibile, del decente, del legale e persino dell’immorale.

Ma è davvero questo ciò che rende GTA V memorabile e degno di essere annoverato tra i capolavori videoludici di ogni tempo? Non vogliamo parlare, per esempio, della scena della tortura in cui controllando Trevor il player deve realisticamente infliggere dolore, trovandosi faccia a faccia con la propria fermezza di principi e ripetendosi di continuo: “È solo un gioco, è solo un gioco”?

Non vanno poi dimenticati anche gli accenti più peculiari, superflui ma per ciò tanto più pregevoli, come il volo psichedelico di Michael, le selvagge paparazzate, gli incontri grotteschi con gli alieni. Siamo proprio sicuri che un’esperienza multiplayer ultra-realistica possa, sulla lunga distanza, battere un open world story-driven dagli accenti tanto peculiari e accurati? Ai posteri l’ardua sentenza.

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GTA V | Testato su PlayStation 4

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RECENSIONE
VOTO
8.9
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Andrea Campana
Scrivo di musica, cultura, arte, spettacolo e cinema. Ho pubblicato su SentireAscoltare, OndaRock, Cinergie, Digressioni, Radio Càos, Rock and Metal in My Blood.
gta-v-recensione-videogioco-videoNon ci si può aspettare di meno dai ragazzi di Rockstar. La divisione in tre protagonisti divide un po' l'idea di empatia che si poteva avere verso personaggi come CJ o Tommy Vercetti ma alza l'asticella della narrativa. Una Los Santos piena di cose da fare per un gioco che resterà impresso negli annali.