Top 50: i migliori album del 2020 secondo la Scimmia

Ecco quelli che per noi sono i migliori 50 album del 2020

Top 50 - I migliori album del 2020
Top 50 - I migliori album del 2020
Condividi l'articolo

Stilare una classifica di fine anno non è per niente semplice. Primo problema tra tutti è che la musica ha al suo interno una miriade di generi e sottogeneri e risulta difficile confrontare alcuni album che tra loro, a parità di qualità generale, hanno poco in comune. Abbiamo quindi cercato di estrapolare quelli che per noi sono i migliori album del 2020 in base a diversi fattori: composizione musicale, innovazione, qualità sonora e impatto sulla società.

Il 2020 ha confermato alcune band che stavano da tempo sgomitando per ritagliarsi un proprio posto nell’Olimpo della musica oltre che vedere il ritorno di alcune rockstar con qualche anno sulle spalle, mostrare al mondo il loro lato più intimo e umano. Dopo che la trap ha destabilizzato i generi che la facevano da padrone per almeno un decennio, e portato nuove sonorità alla portata di tutti, quest’anno si torna ad album più ibridi e innovativi rispetto agli anni precedenti. Torna anche il rock, grande assente da ormai troppo tempo, in veste nuova e più intima rispetto al passato.

Un anno sorprendentemente pieno di musica

La crescita ormai innegabile di generi precedentemente accessori come l’emo rap e il dark pop caratterizza, contaminandole, diverse produzioni fondamentali dell’anno. Subisce un fortissimo arresto l’indie pop, uno dei generi che a fine decennio scorso sembravano più promettenti, mentre il corrispettivo commerciale, il temuto “pop”, mostra volontà di crescita in tutte le sue accezioni. Le artiste femminili in questo campo, in particolare, si dimostrano particolarmente intenzionate a mostrare tutte le possibilità nascoste di una musica che sia commerciale ma eclettica al tempo stesso.

In definitiva, virus o non virus, si può dire che il 2020 sia stato un anno musicalmente pieno, ricco di spunti interessanti. Molti artisti avevano già previsto i loro nuovi lavori, mentre altri li hanno prodotti in casa e pubblicati a sorpresa, con qualità intimiste e lo-fi. Ma non si può parlare di “pandemic pop” in toto: quello che ci troviamo di fronte è ancora e sempre un caleidoscopio di generi e tendenze che, in effetti, non fa affatto apparire il 2020 per quello che è stato. Per sentire l’elaborazione in musica della pandemia, dovremo aspettare come minimo il prossimo anno.

Ecco quali sono per noi i 50 album che hanno formato il 2020 a livello internazionale.

50. IDONTKNOWHOWBUTTHEYFOUNDME – Razzmatazz

Il mainstream mondiale del ventunesimo secolo nelle sue classifiche vuole anche l’indie, punto. Il disco del duo statunitense composto dal bassista dei Panic! At the Disco e dal batterista dei Falling In Reverse, al netto di alcuni filler sorridenti, è una spallata sensata a tutti gli album-copia degli Arctic Monkeys che si trovano in giro. Assumendo il piglio dance come substrato imprescindibile, lo sforzo dei due si concentra su cos’altro può dare l’indie nel 2020: il lo-fi hip hop, finalmente considerato con serietà (non troppa, eh), la trap, la synthwave. Il “razzmatazz” è il clamore, la teatralità chiassosa intorno ad un prodotto; in questo caso, il prodotto è il clamore intorno a sé stesso.

A cura di Francesco Di Perna.

49. Taylor Swift – Folklore

Lontano anni da luce da colei che scrisse haters gonna hate hate hate hate hate, Taylor Swift ci regala in questo Folklore delle notevoli ballate che ci accompagnano per più di un’ora. In altre parole, la cantante statunitense ha chiaramente raggiunto una maturità artistica tale da potersi permettere l’uscita di un disco del genere, come tante sue illustri colleghe prima di lei. Perciò dove le melodie della voce si presterebbero ad uno scontato producing, la cantante preferisce ridurre tutto all’osso, risultando anche più godibile. Come nei drammi-paesaggio del drammaturgo Robert Wilson, la lunghezza del disco ci permette di inserirci in qualunque momento di esso riuscendo comunque a godere dell’insieme. Scelta che però potrebbe farvi perdere le tracce migliori, come Invisibile String o Betty. Da recuperare (per intero).

A cura di Tiziano Altieri.

48. Selena Gomez – Rare

Nel 2020 il nuovo disco di Selena Gomez, Rare, non è stato ascoltato quasi da nessuno. Questo perché tutti avranno pensato di sentire la solita banalità pop commerciale. Invece, l’album è ricco di sorprese: influenze che vanno dalla dance al pop più tradizionale, dalla musica etnica all’EDM, mostrando poi il quasi obbligatorio volto dark pop, riflessivo, introspettivo e calcolatore. Selena, da ex-star Disney, ha compiuto un percorso evolutivo quasi miracoloso, riuscendo a mantenersi sulla scena in maniera sempre influente, restando ai margini ma sempre attenta ad ogni tendenza e ad ogni suono. Il suo pop è un trionfo di eclettismo e lo specchio di quanto davvero la musica da classifica possa essere oggi interessante e sorprendente.

A cura di Andrea Campana.

47. HAIM – Women in Music, Pt. III

Le tre sorelle Haim ritornano dopo il parziale fallimento del loro secondo album con un’opera convinta, matura e perfettamente coinvogente, nella quale finalmente riescono a dischiudere tutte le loro capacità. Le Fleetwood Mac dell’indie pop si esprimono in una collezione di canzoni che presentano uno stile disinvoltamente capace, in bilico verso il soft rock, l’indie rock e il folk cantautorale. Si coglie l’influenza dei Vampire Weekend, con i quali Danielle Haim ha collaborato estensivamente l’anno scorso, ma c’è anche molto, molto di più. Women in Music, Pt. III non è solo un’opera di emancipazione artistica al femminile: è un trionfo musicale, al di là di qualunque intenzione ideologica.

A cura di Andrea Campana.

46. Lil Uzi Vert – Eternal Atake

LUV, tre anni dopo il suo incredibile 2017, non è cambiato per niente. Piuttosto si è separato l’anima in tre parti. Eternal Atake dà la voce prima a Baby Pluto, l’astronauta perso nello spazio dell’hype, poi ad (O)Renji, l’incarnazione della forza creativa e catartica, e alla fine all’unico Lil Uzi Vert che possiamo vedere, distrutto dai problemi di salute mentale. Stavolta ha anche provato ad alleviare il suo dolore portandolo via dagli altri nel secondo terzo del disco e a coprirlo di diamanti nel primo, ma non gli è bastato. Il casino nella testa di Uzi si è diviso in diciotto pezzi che restituiscono credibilità all’emo rap e sono la porta per tre dimensioni diverse.

A cura di Francesco Di Perna.

45. Perfume Genius – Set My Heart on Fire Immediately

Dopo tre anni da No Shape, Michael Alden Hadreas torna a sfoggiare i suoi suoni barocchi ed originali, sfruttando pad ambient – qui ancora più pieni e densi – chitarre distorte e archi. La splendida e pulitissima voce del cantautore riesce a danzare perfettamente sia su tempi da slowcore, sia quando i ritmi si movimentano, grazie alle sue notevoli capacità canore. Un Perfume Genius in forma smagliante in questo disco di 50 minuti (il più lungo finora) in cui mette a nudo tutte le sue fragilità – disco che include, secondo noi, alcune tra le tracce migliori dell’artista – guadagnandosi un posto di diritto in questa classifica.

A cura di Ivan Arena.

44. Arca – KiCk i

Curioso come quest’anno i geniacci della musica abbiano scoperto i generi “pop”. Arca ci regala un nuovo reggaeton/neoflamenco. Recupera tutte le briciole di musica tradizionale spagnola che già si era lasciato dietro, chiamando a raccolta anche Rosalìa e Bjork, star della sperimentazione easy-listening. Facendo un bilancio, anche le sviste di elettronica molto pesante non sono più indecifrabili: questo album “standard” (12 brani per 38 minuti) non è saturo come i predecessori, strapieno di masse enormi di suono. Utilizza in maniera più accurata la voce, la musica da classifica, fa un’inversione a U sull’autostrada del futuro e inizia un nuovo viaggio contromano, sempre più vicino alla “facilità di ascolto” che forse è il vero orizzonte della musica.

A cura di Francesco Di Perna.

43. Phoebe Bridgers – Punisher

Con il suo secondo disco, la cantautrice californiana Phoebe Bridgers dà conferma delle sue capacità, co-producendolo e portando produzioni più interessanti, con un aspetto low-end decisamente lavorato, campioni che si rifanno all’elettronica ed espedienti armonici a supporto della traccia vocale principale. Rimane, comunque, il classico “mood” malinconico/emo che l’ha contraddistinta sin da Stranger in the Alps (eccezione fatta per alcuni brani). Punisher, infatti – rivela l’artista – è stato un album scritto in “momenti emozionali” diversi, perciò, oltre alle paure e alla rabbia, comprende anche gli ottimismi per la carriera futura e l’orgoglio per i traguardi già raggiunti, seppur apparentemente poco significativi.

A cura di Ivan Arena.

42. Joji – Nectar

Nectar, uscito il 25 settembre, mostra come Joji questa volta abbia voluto fare le cose come si deve: tra featuring, co-autori e produttori. La prima parte dell’album ha un’impronta decisamente pop, composta quasi esclusivamente da singoli, mentre la seconda compone quasi un racconto dall’impatto non immediato, in cui Joji si fa più sperimentale, senza mai perdere il gusto per la musicalità e la scrittura. In Nectar emerge tutta la personalità di Joji, che esprime attraverso un’impostazione vocale pulita, capace di adattarsi ai vari stati d’animo presenti nell’album. Nectar procedere come una sorta di flusso, e colpisce per la classe e l’eclettismo musicale esibito da Joji.

A cura di Aurelio Fattorusso.

41. Ozzy Osbourne – Ordinary Man

Ozzy. Il solo, unico ed irreprensibile Ozzy. Ordinary Man non è solo il titolo del suo undicesimo lavoro. È una vera e propria confessione. Il celebre volto dei Black Sabbath si spoglia della sua maschera da principe delle tenebre e decide di mostrarsi, per la prima volta, solo per quello che è: un uomo ordinario. Con tutta la sua saggezza, le sue difficoltà, le sue battaglie. Il risultato non può che essere un testamento musicale eccellente, moderno e antico allo stesso tempo. Tra i punti più alti di quest’anno.

A cura di Marika Lucciola.