Se succede qualcosa, vi voglio bene – Recensione del corto su Netflix

If something happens i love you
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Se succede qualcosa, vi voglio bene è un cortometraggio animato ideato da Michael Govier e Will McCormack, già sceneggiatore per Toy Story 4, che racconta della morte di una ragazzina e l’accettazione del lutto da parte dei suoi genitori.

Un film originale Netflix, arrivato sulla piattaforma in questi ultimi giorni di Novembre, che in pochi minuti riesce a raccontare di un dolore insuperabile e senza ricorrere mai ai dialoghi. Una scelta insolita per quanto riguarda il genere, almeno per i prodotti più mainstream, che però dà modo all’immagine di rivendicare la sua importanza all’interno del medium.

Se succede qualcosa, vi voglio bene è un melodramma che va ad indagare il dolore che la tragica cronaca spesso nasconde. Un film che non solo evidenzia la capacità dell’animazione di raccontare egregiamente traumi di natura socio-politica, ma anche come essa sia capace di delineare un resoconto esaustivo e compatto grazie alla sua componente immaginifica.

Ciò che ne fuoriesce è un viaggio fatto di ricordi e di emozioni, in grado di trascendere la fisicità e la razionalità dell’ordinario, in cui delle figure guida accompagnano lo spettatore verso il senso ultimo dell’opera: la rielaborazione e la commemorazione dei massacri scolastici statunitensi.

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Non è un caso infatti che il film si apra con una panoramica dall’alto di una cittadina, focalizzata su uno dei tanti quartieri di cui è composta, per poi andarsi a concentrare su di un singolo nucleo abitativo. Sarà proprio quest’ultimo, a fine racconto, a restituire alla collettività la consapevolezza acquisita attraverso il proprio percorso.

Quella di Se succede qualcosa, vi voglio bene è quindi una delle molte storie americane, finite ancor prima di poter iniziare, con cui si tenta di sensibilizzare il pubblico sul tema, ma soprattutto nei confronti della recente legge sui background checks.

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Il film, per mezzo di uno stile grafico minimale, originatosi da una commistione di tecniche, delinea uno spazio grafico in cui l’essenza stessa del dolore è realtà ultima, che si materializza anche attraverso la stasi indotta dal lutto.

Un dramma costruito interamente su di un problema americano, ormai identitario, che evita di ragionare sulle cause, in questo caso superflue, soffermandosi esclusivamente sugli effetti generati su chi ha perso tutto.

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Ciò che salta colpisce maggiormente non sono però i ricordi dei due genitori, qui volutamente tratteggiati in maniera generica, ma come questi vadano a dichiararsi esclusivamente attraverso l’utilizzo d’immagini. L’assenza di dialoghi non si limitano a delineare un rispettoso silenzio nei confronti di una ferita aperta che affligge un’intera nazione.

I silenzi riescono a incentivare la già devastante potenza comunicativa di quelle ombre, frutto di corpi inermi, che idealizzano quel “non detto” che il cinema può e deve saper illustrare.

Se succede qualcosa, vi voglio bene è quindi un’opera fatta di fantasmi, di rimasugli e di sofferenze che mutano di forma, distorcendosi e dilaniandosi, preservando però quell’impossibilità di estinguersi.

Il cinema d’animazione abbandona gli sfarzi della tridimensionalità per acquisire una dimensione più grezza ed abbozzata, in cui le linee tremolanti ed i pochi dettagli, riconducono inevitabilmente al fanciullesco, proprio come se fosse quella bambina, volto universale di una tragedia, a delineare e dipingere quel cosmo fatto di dolore e ricordi.

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