Pugili Fragili, Piero Pelù e l’importanza del rispetto

Pelù torna in veste solista per un album che ha un senso ben specifico

Litfiba - Piero Pelù
- Credits: Piero Pelù / Litfiba / Wikipedia / Mamertino81
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Pugili Fragili, arrangiato e prodotto con Luca Chiaravalli, è il nuovo lavoro firmato Piero Pelù uscito il 21 febbraio.

Quando si decide di parlare di mostri sacri come Piero Pelù, ci si incammina sempre verso un sentiero impervio. Per alcuni si tratta di miti intoccabili, che in 30 o 40 anni di onorata carriera pare abbiano già dimostrato più di quel che avrebbero dovuto. Altri invece credono che una volta raggiunta la vetta più alta del mondo, si possa solo riscendere, quindi perché non ritirarsi dignitosamente prima di diventare la caricatura di sé stessi?

Noi, nel nostro piccolo, siamo convinti che certi artisti abbiano ancora qualcosa da dire.

Nonostante gli anni, nonostante la carriera, nonostante i successi già raggiunti. Ed è il caso di Piero Pelù, che resta sempre un “un pugile fragile nella vita e nella musica“. Il disco si apre con Picnic all’Inferno, singolo che porta in grembo un enorme tributo alla rivoluzionaria Greta Thunberg. La canzone infatti vanta un eccezionalissimo duetto: quello di Greta – con il famoso discorso fatto all’Onu – con Piero Pelù, che descrive uno scenario anche più nefasto di quello prospettato dalla giovane svedese. La melodia incalzante lo rende un buon singolo da radio, e possiamo capire perché sia stato scelto come singolo per il lancio dell’album.

Si prosegue con Gigante, la canzone che Pelù ha deciso di schierare per il festival di Sanremo e che gli ha permesso di piazzarsi ad un quinto dignitoso posto. La canzone è di uno sbiadito rock pop con qualche incursione di synth sul bridge di coda. In poche parole, non si riesce a capire dove vada a parare, nella sua indefinitezza. Non riusciamo proprio a capire cosa l’abbia portato a sceglierlo come pezzo per Sanremo: decisamente scialbo e poco convincente.

Video di Gigante, brano presentato al Festival di Sanremo:

Con Ferro Caldo, Pelù va alla ricerca di un glorioso ritorno al passato. Non solo per la sua personalissima introduzione in apertura, ma anche perché è il primo pezzo che più si avvicina al poter essere definito “rock”. L’inflessione poppettara è sempre presente, ma in misura minore rispetto ad altri punti dell’album. Il problema è che dopo 2 minuti di ascolto, questo Lunapark ripetuto all’infinito – già fin troppo abusato dalla collega Bertè – comincia a fare lo stesso effetto di un piatto di carbonara dopo un hangover. Troppo ripetitivo.

Finalmente con Pugili Fragili, title track del disco, il progetto di Pelù comincia ad avere un senso. Il buon fiorentino dà un schiaffo morale a tutti quelli che, fino a questo momento, stavano storcendo il naso durante l’ascolto (noi compresi). Qui dimostra di essere ancora particolarmente capace nelle ballad più lente sulla falsa riga di Amore Immaginato. Certo, nulla di particolarmente originale, ma è obbiettivamente un bel pezzo che – non ci vergogniamo di dirlo – abbiamo riascoltato più volte in rewind.

Nuove influenze e collaborazioni.

Si prosegue con Luna Nuda, che già dai primi secondi suona troppo discotecaro per un animo così rock come quello di Piero Pelù. Questo perché c’è lo zampino di Francesco Sarcina (Le Vibrazioni) che mette la sua firma su un buon pezzo ballabile e disimpegnato che si lascia ascoltare con molta facilità.

Cuore Matto segna l’esatta metà del disco. Leggendo la title track avevamo un po’ paura di quello che potesse uscire dalla cover della canzone più inflazionata del fu Little Tony, pur avendoci già preparati con la terza serata di Sanremo. Il timore era quello di ascoltare una trashata figlia dei nostri tempi. E invece, sorpresa! Si tratta di un bell’omaggio calibrato tutto made in Italy. Certo, se qualcuno 20 anni ci avesse detto che uno dei pilastri del rock italiano avrebbe reso omaggio a Little Tony in uno di suoi album, probabilmente gli avremmo riso in faccia. Ma per questa volta ci siamo concessi il lusso di sorprenderci positivamente.

Siam ora arrivati a Nata Libera, senza ombra di dubbio il punto più alto di tutto Pugili Fragili. Pelù dà evidenza due volte nello stesso disco, di come i brani più impegnati e profondi siano il suo vero cavallo di battaglia. Il timbro più basso e controllato, la melodia più dark rispetto al resto la rendono Nata Libera una vera perla. E’ un brano ponderato e si sente, e tratta un argomento tanto delicato quanto attuale, quello del femminicidio, nel modo migliore in cui un artista avrebbe potuto farlo.

Verso al fine del disco, ecco che la bandiera toscana viene sventolata con fierezza attraverso le parole del poeta Cecco Angiolieri: Se Fossi Foco arderei il mondo, diceva quest’ultimo, esprimendo in modo ironico il suo desiderio di dominare la realtà. Pelù tronca poco prima il titolo originale e rielabora l’opera in chiave moderna, utilizzandola come arma nella lunga lotta contro l’odio e la diversità. Il tutto condito con la partecipazione di Andrea Appino (Zen Circus).

Chiusura vecchio stile.

Finalmente sul finale del disco, abbiamo il piacere di riascoltare il “vero” – o meglio, vecchio – Pierò Pelù. Guidato dallo spirito del Litfiba, Pelù confeziona un paio di brani capaci di mettere d’accordo i nuovi fans con i vecchi patiti: Stereo Santo e Canicola. C’è tutto: Parolacce, schitarrate e ritmo adrenalinico. Era ora!

E’ difficile riuscire ad esprimere un giudizio senza essere influenzati dal suo personalissimo trascorso musicale, ma possiamo affermare senza timore di smentita che Pugili Fragili sia un disco senza infamie e senza lodi. Certo, parte in maniera poco convincente, ma recupera bene già da prima della sua metà.

Probabilmente i vecchi fan dei Liftiba saranno poco contenti di quest’ultimo lavoro, meno incisivo rispetto ad altre produzioni e completamente diverso da quanto già fatto in passato. Ma sarebbe anche ora che questa vecchia guardia si spogli di tanta grettezza e cominci a comprendere che la musica, fortunatamente, non è un cerchio, ma una linea. E aspettarsi, nel 2020, un ritorno a quel che fu, non è solo stupido e insensato, ma praticamente impossibile. La musica è un riflesso della società, come l’arte in generale: come si può pensare di replicare qualcosa che, per ovvi motivi, non può e non si ripeterà mai allo stesso modo?

Per il resto, Piero Pelù fa in modo che il perno del suo lavoro sia il rispetto: per l’ambiente, per le persone, per il diverso e, perché no, per la musica stessa. Certo, un po’ da paraculo, ma perfettamente coerente con il suo personaggio, considerato l’impegno profuso da sempre nel sociale. E fin quando la musica si fa vettore di certi messaggi, non possiamo che esserne felici.

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