Mindhunter 2, la Tv all’altezza del Cinema | Recensione

La nostra recensione della seconda stagione di Mindhunter. David Fincher e Netflix confezionano la miglior serie tv del colosso streaming statunitense

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“Un Killer che non smette mai di parlare? È un dono”

La seconda stagione di Mindhunter è un duro colpo da digerire. L’effetto che ci ha provocato è stato intenso, a tratti disturbante. Metterci faccia a faccia con la messa in scena di casi reali  —tra i tanti, nello specifico, Atlanta— ha destato in noi un malessere particolare, che non ha che fare con la semplice immedesimazione nel prodotto filmico. In poche parole: ci ha fatto chiedere, ancora una volta, nel caso ce ne fosse ancora il bisogno, in che cazzo di mondo viviamo. E non solo per i serial killer e la violenza dilagante ma soprattutto per la patina di omertà che copre il tutto. Omertà che soffoca, blocca, uccide la verità.

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Se nella prima stagione abbiamo assistito alla nascita di una scienza e alla conseguente costruzione della sua metodologia; nella seconda siamo spettatori della crisi psichica degli addetti ai lavori. Ma il fattore psicologico viene travolto dal pragmatismo e siamo testimoni di come la metodologia passi da approccio a pratica. Nonostante le numerose e feroci resistenze del mondo politico e delle forze dell’ordine, il nuovo avanza inarrestabile, piegando i detrattori dinanzi al progresso. Non fraintendete, non è il buon senso a portare all’accettazione, o almeno non solo, ma è un’ evidente “pressione di necessità”, per citare un famoso biologo. Sia la politica che la polizia saranno costrette a farsi da parte e, oltre che per i motivi citati, anche per una certa dose di narcisismo: “abbracciare l’inevitabile è un modo di avere la propria foto sul muro”.

A nostro parere, Mindhunter è una delle serie più “cinematografiche” di sempre e lo diciamo per diverse ragioni. Sicuramente la presenza di un grande autore come David Fincher, regista delle canoniche prime due puntate (in questa stagione dirige anche la terza), ha valorizzato molteplici aspetti della messa in opera: dalla regia alla scrittura. Reso tutto molto evidente dalla struttura narrativa, la cui forma arzigogolata è un chiaro marchio di fabbrica del regista di Fight Club. Innegabile che la presenza di Fincher e la voglia di portare un prodotto di altissimo livello abbiano spinto la produzione ad essere estremamente generosa, rassicurata anche dalla qualità del soggetto originale e dal successo della prima stagione. Il taglio cinematografico si nota in tutto, dalla regia alla fotografia passando per una scenografia accurata e attenta alla ricostruzione storica. Inoltre, visivamente, si può notare un rapporto d’aspetto inusuale per la Tv, parliamo di un formato 2,20:1 che è molto più vicino al “grande schermo” rispetto al classico 1,78: 1 delle serie a cui siamo abituati, vale a dire il 16:9 per gli schermi ad alta definizione, per intenderci.

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Pertanto, guardando Mindhunter non si ha affatto l’impressione di assistere ad una serie tv ma a qualcosa di più ricercato.

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Per quanto riguarda la struttura della storia, la costante principale è il cinema fincheriano. La storia è una sorta di matrioska o, se preferite, un complesso e grande mosaico. Ci sono almeno cinque livelli narrativi, tra cui, alcuni, sono destinati a fondersi tra loro. Questi sono:

  • La storia delle ricerche e delle interviste (fulcro della prima stagione)
  • Gli omicidi seriali in Kansas
  • L’omicidio del bambino in Virginia, nel quartiere di Bill (scommettiamo che vi state chiedendo della veridicità dell’accaduto, ve ne parleremo in futuro)
  • Il caso Atlanta child murders (che pian piano diventa il livello narrativo principale)
  • Il killer con i baffi, le cui vicende ci vengono mostrate sin dalla prima stagione
  • infine, si aggiungono le storie personali di alcuni dei protagonisti

Nella molteplicità dei piani narrativi troviamo la bellezza della scrittura, la sua solidità. Se si è attenti durante la visione, è quasi impossibile perdersi nella fitta rete di indagini e storie. Inoltre, la struttura dà ben l’idea della vastità del problema degli omicidi seriali negli Stati Uniti.

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Infine, menzione speciale va fatta ai protagonisti indiscussi di Mindhunter, vale a dire i serial killer. Di questi ve ne parleremo approfonditamente in un articolo dedicato, ove snoccioleremo le storie vere rappresentate. Intanto, ecco gli intervistati di questa seconda stagione:

  • David Berkowitz, soprannominato Il Figlio di Sam, killer dominato da un presunto demone (tra le interviste migliori della serie)
  • Junior Pierce, spietato assassino ignorante e con problemi di autostima
  • William Henry Hence, killer disorganizzato e titolare di una personalissima stupida logica
  • Elmer Wayne Henley , giovanissimo complice del killer di ragazzini Candyman, al secolo Dean Corll
  • Charles Manson, tra i più attesi di questa stagione e che compare solo nella quinta puntata. Caratterizzato da una interpretazione magnifica di Damon Herriman
  • Tex Watson, membro della Famiglia Manson e uno dei killer che scatenarono il caos nell’estate del 1969. Probabilmente, il vero leader della famiglia
  • Paul Bateson, il radiologo amante del sadomaso famoso per aver iniziato la sua carriera da serial killer dopo aver avuto una particina ne L’Esorcista

Tutti i personaggi sopra riporatati sono stati rappresentati perfettamente, le somiglianze con i corrispettivi reali sono impressionanti e nonostante Mindhunter non ricorra spesso ad immagini esplicite e cruente, la paura attanaglia lo spettatore per quasi tutta la durata della stagione. Da citare ancora una volta l’intervista di Tex Watson, la cui faccia da bravo ragazzo viene accompagnata in sottofondo dalle urla e dalle suppliche di Sharon Tate.

In conclusione, non ci sentiamo di aggiungere altro, rifuggiamo il rischio di rovinarvi la visione con parole superflue. Sappiate che guardando Mindhunter sarete dinanzi alla miglior opera seriale di Netflix e, sicuramente, assisterete ad una tra le migliori serie tv di sempre.

“Di notte, mentre voi dormite, io distruggo il mondo” (Charles Manson)

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