Smooth Big Cat: lo psichedelico mantra del Dope Lemon

La nostra recensione del terzo album di Angus Stone

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Il nuovo LP di Dope Lemon non è solo un disco, è uno stile di vita

Dopo il debutto da solista Broken Brights e l’interessante Honey Bones, Angus Stone si firma ancora una volta Dope Lemon con Smooth Big Cat.
Smooth Big Cat, lo dice lui stesso, è la “mistica e oziosa creatura della notte che fuma e beve whiskey e non è minimamente disturbato dai problemi della vita“.
Questa figura, con la realizzazione del disco che ne prende il nome, diventa una sorta di spirito guida, un esempio da seguire per Stone e, in qualche modo, ne influenza la musica, traducendosi in un album viaggiante e dalle atmosfere imperturbabili.

Angus Stone dà quindi vita ad un mantra anche musicale, oltre che spirituale, che rassomiglia quello del Drugo (ndr protagonista de’ Il Grande Lebowski dei fratelli Coen) e ne riprende sicuramente i caratteri epicurei di otium, riferito all’attività musicale e al processo compositivo, ed atarassia, l’assenza di pene e agitazione, la tranquillità della vita da eremita nell’arcadica Australia, dove il disco del Dope Lemon è stato concepito.

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Angus Stone con la sorella Julia

“Cause all she wanna do is lift our feet from the ground for a little while”

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Nonostante vi sia un’evoluzione da parte del musicista, sia lirica che musicale, Smooth Big Cat perde tutte (o quasi) le sfumature e i colori che avevano reso interessante il precedente Honey Bones.

Le sezioni ritmiche mancano di fantasia e il disco di varietà: cercando di seguire il concept-mantra dello Smooth Big Cat, Stone ha perso di vista la sperimentazione realizzando un disco sì, omogeneo, ma forse abbastanza da renderlo lineare, o peggio, piatto.
La produzione è sicuramente migliorata, ma non è reso così evidente dai suoni ricorrenti e “riciclati” dai precedenti lavori di Stone, che, come abbiamo già detto, sacrificano il brio e l’eterogeneità di tali lavori in favore di una maggiore consistenza sonora e lirica, che però penalizza le capacità del musicista.

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Tuttavia, non viene di certo a mancare l’atmosfera rilassante che aveva contraddistinto anch’essa Honey Bones, scandita anche dai testi che non parlano di altro che di sesso, droga, alcool e sballo. E anche qui troviamo qualche picco interessante come Lonely Boys Paradise e la conclusiva e “fatta in casa” Hey Man, Don’t Look At Me Like That, che colpiscono addirittura più dei singoli richiamando le influenze dylaniane e youngiane.

Speriamo che il nostro Dope Lemon si renda conto di aver forzato un po’ troppo la mano su questo disco e che la prossima volta si lasci un po’ più guidare dallo spirito dello Smooth Big Cat, prendendosi tutte le libertà del caso nella composizione.

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