Una lunga dichiarazione d’amore al cinema, che ha salvato la sua vita. Ma anche un dramma struggente, che esorcizza la più grande paura del regista: non essere più in grado di affrontare il set. Questo il cuore di Dolor Y Gloria: il nuovo folgorante film firmato Pedro Almodovar.
ConDolor Y Gloria Almodovar chiude una trilogia che attraversa 32 anni del suo cinema, iniziata nel 1987 con La legge del desiderio, quindi ripresa nel 2004 con La mala educación. Ma non si tratta di un semplice viaggio a ritroso nel tempo. La scoperta del desiderio omosessuale, il potere del cinema, salvifico e incantatore, l’infanzia in provincia e poi la vita, la passione e il successo che esplodono nella Madrid degli anni ’80: tutti i grandi temi del cinema di Almodovar si incontrano in forma di un malinconico sogno ad occhi aperti.
Certo, Dolor Y Gloria è un film di impianto autobiografico, costruito tra presente e ricordo. Eppure, chi si aspettava un’opera autoreferenziale, manierista, tipica di un maestro sul viale del tramonto, troverà invece un film di rinascita. Almodovar resta un rabdomante, capace di confondere i piani del racconto, destrutturare la materia narrativa e condurre lo spettatore in una bolla iper-realista. Un’esperienza che arriva ai recessi più profondi del disagio del protagonista: un uomo ridotto quasi a un sonnambulo, intossicato da un mix di analgesici, eroina e ansiolitici.
Salvador Mallo (Antonio Banderas) è stato un regista di fama internazionale. La sua casa è praticamente una galleria d’arte contemporanea, dedicata solo alla gloriosa Madrid degli anni ’80. Ma ora Salvador è un uomo malato, tormentato dal dolore cronico, incapace di sostenere lo stress del set. Da quando ha smesso di girare film, ha praticamente smesso di vivere. La proiezione della copia restaurata di un vecchio successo, Sabor, spinge Salvador a ricontattare Alberto Crespo (Asier EtxeandÃa). Il regista e l’attore non si parlavano da trent’anni. E per la prima volta, Salvador decide di provare quella sostanza sempre disprezzata, che ha devastato il suo primo, indimenticato amore: l’eroina. Nei giorni sospesi tra il sonno e la veglia, rivedrà il film della sua vita.
Desiderio, sofferenza, caduta e rinascita: anzitutto, Dolor Y Gloria è uno dei più intensi film sulla depressione che siano mai stati girati. Merito di un maestro del cinema, capace di restituire la sensazione autentica del “male oscuro”. Ma anche di Antonio Banderas, per quella che probabilmente è la più grande interpretazione della sua carriera. Lo spagnolo che ha conquistato Hollywood, simbolo del maschio latino, in Dolor Y Gloria appare praticamente trasfigurato. Spogliato di ogni aura, lento, dolente, schiavo della malinconia.
Se Banderas come alter-ego di Almodovar regala una prova drammatica monumentale, Penelope Cruz resta una splendida musa, che il regista plasma come sua personale Sophia Loren: “madre di tutte le madri”. Non a caso, la parte di Jacinta è divisa equamente tra due attrici feticcio di Almodovar: la Cruz e Julieta Serrano, protagonista del suo primo lungometraggio, Pepi Lucy Bom e le altre ragazze del mucchio (1980).
Per altro, la casa-mausoleo di Dolor Y Gloria è una fedele riproduzione dell’appartamento di Pedro Almodovar: memoria vivente della Madrid post-moderna. Il regista ha dichiarato che quasi tutti gli eventi narrati nel film non sono mai accaduti, eppure avrebbero potuto accadere. E nello scarto tra realtà e immaginazione, affabulazione e sogno, Almodovar scrive un nuovo capolavoro imperfetto, che sa come prenderci al cuore.