Braid, la recensione dell’esordio di Mitzi Peirone

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Tilda e Petula, due giovani criminali, sono costrette a fuggire dalla polizia, perdendo così un grande quantitativo di droga che avrebbero dovuto vendere.
Per recuperare il guadagno perduto, decidono di tornare nella loro città d’origine, per sottrarre l’eredità a una vecchia amica d’infanzia: Daphne.
Quest’ultima, però, è affetta da gravi disturbi psichiatrici.
Inizierà così un inquietante gioco di identità, dove il confine tra realtà e fantasia è molto sottile.
Continuare a descrivere la trama di Braid, sarebbe un delitto per tutti quelli che non hanno avuto la fortuna di vederlo. E anche se non c’è ancora una data di distribuzione in Italia, è giusto fermarsi qui, sperando che qualcuno porti questa chicca nelle nostre sale.

Presentato in anteprima nazionale al FIPILI Horror Festival di Livorno, Braid aveva già fatto molto parlare di sé al Tribeca Film Festival di New York e ha ottenuto interessanti recensioni come già vi avevamo raccontato in questo articolo. Diretto dalla una giovanissima regista e modella italiana, residente negli States, Mitzi Peirone, Braid si presenta da subito come un’opera esteticamente potente: l’utilizzo ossessivo del grandangolo, i colori saturi, i movimenti di macchina estremi e mai banali.

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La messa in scena può somigliare ad un piacevole incrocio tra la regia di Nicolas Winding Refn e quella di Yorgos Lanthimos e la sceneggiatura lascia spazio all’interpretazione dello spettatore.

L’inquietante storia di Tilda, Petula e Daphne, rivela una certa cultura letteraria e cinematografica della giovane sceneggiatrice e regista.
Le influenze sono innumerevoli, ma il modo in cui Peirone disegna questa storia folle sui corpi delle sue attrici, ricorda certamente il migliore cinema di David Lynch e di David Cronenberg.
E se fino ad un certo punto il film mantiene comunque una sua logica narrativa, sul finale viene lasciato totale spazio al delirio onirico di una ragazza di 26 anni che, alla sua opera prima, sembra aver già trovato il suo modo di fare Cinema.
Peirone si interroga su questioni profondamente pirandelliane. Cosa è reale e cosa non lo è? Quale delle mille maschere che indossiamo ogni giorno ci rappresenta veramente? Vale davvero la pena uscire dalle illusioni che ci costruiamo per sopravvivere al mondo esterno?
Probabilmente, affrontare una sceneggiatura così impegnativa, non deve essere stato facile, soprattutto per una giovane autrice alla prima esperienza. Molti registi affermati avrebbero certamente paura a confrontarsi con un film così contorto, che si può odiare o amare, ma che non può lasciare indifferenti.

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Il lavoro di Mitzi Peirone brilla per aggressività nell’estetica e per coraggio nella scrittura, ma non sono di certo da meno le interpreti che danno voce e volto alle protagoniste.
Tra le tre eccellenti attrici spicca la prova di Madeline Brewer (Daphne), che avevamo già avuto il piacere di vedere in un episodio di Black Mirror e in Orange Is The New Black.
Braid conferma (anche se non ce ne era alcun bisogno) che le donne dietro alla macchina da presa non hanno niente da invidiare ai colleghi maschi, anzi, è evidente che le loro opere riescono a brillare per un’aggressività nella scrittura e nella messa in scena che sempre più raramente si vede nelle sale.
Sarà superfluo, ma è giusto ricordare l’impegno dimostrato da grandi autrici, come Sofia Coppola, Jennifer Kent, Susanne Bier e soprattutto Kathryn Bigelow, unica regista a vincere l’Oscar nel 2008 con The Hurt Locker.

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Un’opera cruenta ed elegante che non può lasciare indifferenti, un film ambizioso e dirompente che dimostra, ancora una volta, che il Cinema è donna.
Distributori italiani, fatevi avanti, perché Braid non è solo un film riuscitissimo, ma è anche e soprattutto un cult che aspetta solo di vedere la luce nelle nostre sale.

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