The Prodigy – Il figlio del male: la recensione dell’horror di Nicolas McCarthy

The Prodigy - Il figlio del male
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Dopo L’esorcismo di Emily Rose e Il rito, Tripp Vinson e la sua casa di produzione Vinson Films tornano all’attacco con un nuovo horror-thriller: The Prodigy – Il figlio del male, inquietante parabola sull’amore di una madre, disposta a tutto pur di salvare il suo bambino da una strana forma di possessione.

Quello di The Prodigy – Il figlio del male non è il classico caso di possessione demoniaca. Il piccolo Miles Blume (Jackson Robert Scott), fin dalle prime settimane di vita presenta i segni di un’intelligenza fuori dal comune. In compenso, il bambino sembra totalmente incapace di interagire con i compagni di scuola: sua madre Sarah (Taylor Schilling) è apparentemente l’unico essere umano capace di suscitare in Miles una qualche forma di empatia.

Mentre il bambino cresce, Sarah assiste a comportamenti sempre più preoccupanti. E quando l’inclinazione di Miles verso la crudeltà e la violenza diventano innegabili, la donna sarà contattata dal Professor Jacobson (Colm Feore): esperto in reminiscenze di vite passate. Per lui, Miles è la reincarnazione del serial killer Edward Scarka (Paul Fateau), che userebbe il bambino per chiudere una questione in sospeso.

The Prodigy - Il figlio del male

Dopo The Pact e Oltre il male, il terzo lungometraggio del giovane Nicholas McCarthy resta nel più classico tracciato dell’horror-thriller. L’esorcista di William Friedkin e soprattutto Rosemary’s baby di Roman Polanski sono riferimenti dichiarati. In particolare, The prodigy – Il figlio del male si concentra sul disperato desiderio di maternità di Sarah: una donna che ha cercato per anni una gravidanza, e una volta raggiunto il suo scopo, ha fatto di Miles il centro della sua intera esistenza. Peccato che, a parte questa inquietante visione della condizione femminile, il film di McCarthy abbia davvero poco da offrire.

Il regista di The Prodigy – Il figlio del male gioca tutto sulla tensione, il silenzio, l’attesa. Effettivamente, il film garantisce almeno un jumpscare da infarto. Ma per il resto, resta un’opera estremamente didascalica, prevedibile, che cerca di nascondere l’assenza di idee e sostanza nella facile coltre di una regia minimalista.

Ironia della sorte, il piccolo Miles di The Prodigy – Il figlio del male ha un’insana passione per le costruzioni, l’architettura e i cric per auto. Se contiamo anche la totale assenza di empatia, ha davvero qualcosa in comune col feroce protagonista de La casa di Jack di Lars Von Trier: film di tutt’altra pasta, al cui cospetto The Prodigy sembra al massimo un’innocente passeggiata di salute.