Musica e film – I Love Radio Rock

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I Love Radio Rock: quando il rock è grossolana idealizzazione di un’epoca.

Cominciamo subito col dire che I Love Radio Rock (orribile titolo italiano di The Boat That Rocked, Richard Curtis, 2009) è uno dei peggiori film mai realizzati sulla musica. Intendiamoci: se volete passare la serata bevendo birra, mangiando pizza e facendovi quattro risate con gli amici, questo film va più che bene. Ma non si va oltre.

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Cos’ha che non va? Un po’ tutto, in realtà. Il film racconta la storia di una delle radio pirata che negli anni ’60 trasmettevano da navi al largo della costa britannica la musica “ribelle”, cioè il rock and roll. E già qui non ci siamo. Perché è vero che all’epoca poche radio inglesi passavano la musica dei rumorosi “capelloni”, ma la situazione che qui viene prospettata è del tutto assurda. Si disegna un contesto nel quale il rock è proibito, e viene ascoltato in segreto dagli adolescenti eccitati contro il consenso dei genitori.

Sappiamo che la realtà non era questa: il rock era diffusissimo, si suonava e ascoltava tranquillamente nei locali, si ballava ovunque ed era già il genere di maggior consumo commerciale. La società “bacchettona” e repressa dei “matusa”, in verità, da un lato certo guardava con scetticismo a questa nuova forma d’arte; ma dall’altra la incoraggiava. Dobbiamo ricordare che la Regina Elisabetta in persona incoronò baronetti i Beatles, principali rappresentanti di questo genere? O che un regista di altissimi livelli come Michelangelo Antonioni accolse gli Yardbirds nel suo film Blow-Up (anche se per ragioni particolari)?

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Insomma, no, il rock non era proibito, e raramente portava ad un’effettiva ribellione contro l’autorità, ammesso pure che essa fosse giustificata. Ma non è questo il problema principale del film. Il punto è che in I Love Radio Rock la musica, e gli anni ’60, vengono mitizzati in un’epoca mitica di libertà e ribellione, in cui finalmente le persone potevano essere libere di esprimersi. Sarebbe a dire, di fare sesso. Perchè il sesso, elemento portante di qualunque film commerciale, è il vero collante di I Love Radio Rock.

Donne mezze nude, dissolute, quando non direttamente oggettivate, fanno da specchio culturale ai “fichi” che lavorano per la radio pirata. Figure semi-leggendarie, sex symbol per natura, perché ovviamente non c’è niente di più seducente di un ribelle. Tolto naturalmente lo sfigato di turno, Simon, il “lagnoso”, che ha la colpa di non essere fico come tutti gli altri. Tutto questo mentre un ministro cattivo, rappresentante dei matusa e quindi odiatore della libertà, cerca in tutti i modi di far chiudere la radio pirata. E purtroppo, neanche la bravura del compianto Philip Seymour Hoffman riesce a salvare questa “barca” dall’affondamento.

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E la musica, in tutto questo? Siamo sui classici, inseriti per accontentare qualunque appassionato di rock. The Who, The Kinks, Cream, Jimi Hendrix, Procol Harum, Beach Boys, tanto per citare i più scontati. Non ci si sforza neppure di utilizzare canzoni meno note di questi gruppi: Procol Harum uguale A Wither Shade of Pale, The Who uguale My Generation, e così via. A chiudere in bellezza la Let’s Dance di David Bowie, che essendo un pezzo del 1983 con l’epoca non c’entra assolutamente niente.

Non ci sarebbe niente di male in queste scelte, beninteso, se non facessero da sfondo ad un film tanto grossolano. Un film che pretende di ricostruire un’epoca mentre ciò che fa è affidarsi a cliché, stereotipi e frasi fatte per attirare quel pubblico che del rock ha un’idea altrettanto superficiale. Un’idea che si può riassumere nella frase “facciamo casino“, frase che potrebbe anche essere tranquillamente la tag-line stessa del film.

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