Intervista a Fabio Bonifacci, scrittore di Metti la nonna in freezer

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Fabio Bonifacci è tra le figure di sceneggiatore più prolifiche ed apprezzate dal pubblico in Italia. Ha cominciato come autore televisivo e poi è passato al mondo del cinema, collaborando con tanti grandi del mondo dello spettacolo. Dal duo comico Luca & Paolo a Claudio Bisio. Un inviato de la redazione de Lascimmiapensa lo ha incontrato per un’intervista in occasione dell’uscita del suo ultimo film: “Metti la nonna in freezer”.

La prima domanda che nasce spontanea è: da dove nasce l’interesse per il cinema e successivamente per la sceneggiatura? Come si è avvicinato a questo mondo? 

Io ho sempre amato il cinema, come spettatore, visceralmente. Appartengo ad una generazione per la quale era anche una cosa un po’ proibita. Quando ero bambino, in tv c’era solo un film il lunedì su rai1, io insistevo per andare a trovare una mia zia perché lei aveva Capodistria e Montecarlo e si vedevano film anche le altre sere. Il film per è sempre stato un oggetto di libidine, poi mi piaceva molto scrivere. Ho iniziato a fare degli esperimenti intorno ai 20 anni, ma scrivevo soprattutto romanzi, e mi venivano male; non c’era una buona trama, era tutti un po’ a zig zag.

A quel punto ho scoperto che in America c’erano manuali in cui si spiegava come costruire una storia ed erano soprattutto manuali di sceneggiatura, ho iniziato a studiare quelli. Mi sono appassionato, e poi un giorno un amico aspirante regista mi ha chiesto se volevo scrivere una sceneggiatura con lui. Ci ho provato, abbiamo scritto un film che non si è mai fatto, ed è giusto così perché non era abbastanza buona, come spesso accade per i primi tentativi. Mi sono definitivamente appassionato, ho capito che volevo fare lo sceneggiatore. Poi ci ho messo 10 anni, ma alla fine ce l’ho fatta.

Lei ha esordito in televisione, cominciando a scrivere come autore televisivo. In che modo quell’esperienza l’ha trasformata, rendendola quello che è? 

Il lavoro in televisione, è uno dei tanti lavori fatti nel periodo in cui scrivevo sceneggiature ma non le vendevo e in qualche modo dovevo mantenermi. Prima mi occupavo di piccoli uffici stampa, testi pubblicitari; poi ho trovato lavoro come autore ed era meglio pagato. Per me era sempre un passaggio, un modo per mantenermi mentre cercavo di diventare sceneggiatore.

Il legame tra questo mondo e la sceneggiatura è molto labile, dal punto di vista dei contenuti non ho imparato tanto. Ma ho conosciuto persone che poi mi hanno aiutato a fare il primo film, in particolare Beppe Caschetto che era il mio agente televisivo. Gli ho dato un copione, anche se non si occupava di cinema, chiedendogli, di aiutarmi a venderlo. Lui dopo 3 giorni è tornato dicendomi che l’avrebbe prodotto lui stesso. Credevo scherzasse e invece l’ha fatto veramente. Dopo 10 anni di tentativi è stato il mio primo film che ho fatto “E allora mambo”.

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Lei durante la sua carriera ha lavorato con interpreti ricorrenti, tra cui il duo comico Luca e Paolo e Claudio Bisio, o anche Alessandro Siani. Trattandosi principalmente di comici, come si è svolto il lavoro di realizzazione del film? Possono interferire magare con tentativi di improvvisazione? 

Diciamo che Luca e Paolo come Bisio, hanno una caratteristica, fanno ridere ma non li definirei propriamente comici. Al cinema fanno gli attori, con loro in tutti i casi è nato prima il copione, poi si è cominciato a pensare chi potesse interpretarlo. Sono stati scelti come attori, perché erano adatti a quel copione. Diverso è il discorso con Siani, in cui si inizia a lavorare fin dall’inizio con lui e si scrivere addosso a lui, diventa anche un modo per permettere al comico di tirar fuori le sue corde.  Invece con Luca e Paolo e Bisio, si è lavorato come si lavora con attori normali, che vengono chiamati dopo quando c’è già un testo. Poi ovviamente loro come ogni attore, suggeriscono le loro idee, arricchiscono il copione, si discutono le battute, si modificano. Ma è un lavoro normale, che si fa con ogni attore.

Lei durante la sua carriera ha trovato ostacoli posti dagli interessi economici dell’industria cinematografica italiana? Limitando, se è il caso, il suo lavoro. 

Questo contrasto rispetto agli interessi economici dei produttori io non l’ho mai vissuto tanto, anche perché io stesso mi sono sempre dato come proposito quello di fare film che potessero mantenersi da soli, raggiungendo almeno un pareggio di conti. Anche io mi sono sempre posto il problema, che dev’esserci un pubblico per un particolare film, questo discorso non mi è mai stato imposto, me lo sono posto sempre prima io. Per cui non ho mai avuto grandi conflitti.

Nei suoi film si può percepire una sorta di volontà critica sociale alla base dello sviluppo dell’idea, attraverso una visione tragicomica. 

Si, non è una cosa che io cerchi. Ma sono una persona curiosa, che legge molto quello che succede e quando scrivo un film, non è che cerco di trasmettere un messaggio, ma più o meno tante cose che noto, che vedo, che mi infastidiscono o che mi disturbano finiscono nelle scene dei film. Per cui si, i miei sono molto legati alla realtà attuale. Poi per me la commedia non è mai stato un modo solo di far ridere. Per me la commedia è uno sguardo sul mondo che serve a raccontare delle cose. Per cui il mio obiettivo è sempre raccontare delle cose, e inevitabilmente l’intento si incrocia con il racconto della realtà.

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Ad un certo punto lei è passato anche dietro la macchina da presa, esordendo alla direzione della regia di un film scritto da lei “Loro chi?”. Com’è stata quell’esperienza? 

È stato un esordio che ho rimandato tanti anni. Ero curioso perché molti miei colleghi sceneggiatori, passando alla regia mi dicevano che era bellissimo, e che non si sarebbe tornati indietro. Io non ne avevo tanta voglia perché andando sul set dei film che avevo scritto, non mi sembrava proprio la mia aria. Però una volta ho voluto provare. Non essendo un bravo regista ho scelto come compagni di giochi Francesco Maccichè, uno che già lo sapeva fare. E devo dire che l’esperienza ha confermato quello che pensavo, cioè che fare il regista è bello ma non è il mio mestiere, io preferisco scrivere. Mi diverto di più, mi piace di più. Quindi ho fatto due film in uno, il primo e l’ultimo. Non penso di tornare dietro la macchina da presa, se non come gioco da anziano, quando vado in pensione.

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Parlando del suo ultimo film, uscito da poco nelle sale italiane, “Metti la nonna in freezer”. Come nasce l’idea e come si sviluppa la realizzazione? 

L’idea è originata dal produttore Nicola Giuliano, che si è presentato con un articolo di giornale. In cui veniva riportato che alcune famiglie avevano nascosto un morto, per continuare a prendere la pensione. Erano state scoperte 21 famiglia in provincia di Cuneo. Anche io in passato avevo letto notizie del genere. A lui piaceva molto questo spunto, poi io mi fido di Nicola Giuliano che è un ottimo produttore e dopo un po’ ho iniziato a scrivere la storia, che comprendere mote altre cose. Quell’idea di per sé, ha un respiro troppo corto, per cui la storia contiene molto altro. Il lavoro di realizzazione è andato a scoprire una storia d’amore, un racconto della società di oggi e tanto altro.

Per i giovani aspiranti sceneggiatori, che leggono in questo momento, ha qualche consiglio o suggerimento che si sente di dare? 

Io consiglio 3 cose: tenersi molto informati sul mondo del cinema, tutto. Leggere tutto, capire cosa funziona e cosa non funziona. Secondo consiglio scrivere molto, perché questo mestiere si impara facendo molte ore di volo. Terzo scrivere quello che vi piace, io ho cominciato a scrivere commedia all’inizio degli anni ’90 e un certo tipo di commedia non si faceva più. Per anni non sono riuscito a vendere, dopo un po’ è cominciata la grande stagione della commedia, ed io ero lì. Fortuna, però probabilmente seguendo quello che ci piace può essere che siamo in sintonia con gusti che ancora non si sono manifestati.