I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965)
Una decadente famiglia borghese della provincia piacentina, incomincia a sgretolarsi agli occhi di una madre impotente. A destare più preoccupazioni è il figlio epilettico (Lou Castel).
Primo film di uno dei più sottovalutati registi italiani, Marco Bellocchio, che difficilmente riuscirà a ritornare su questi livelli (anche se con L’ora di religione ci si avvicina). Film storicamente importantissimo, folle e tragico, simbolo pre-sessantottino (involontario, secondo Bellocchio) di una borghesia con pulsioni auto-distruttive. Il nucleo familiare, sito protettivo per eccellenza, diviene il luogo dove si consumano e si alimentano le pulsioni più morbose.
Stratosferica l’interpretazione di Lou Castel.
Wenders era già Wenders sin dal suo primo lungometraggio. Più che la trama (quasi inesistente) o i personaggi (appena abbozzati), contano l’atmosfera sospesa, la relazione tra corpi e spazi (coi primi in perenne fuga dai secondi), la colonna sonora rock e la necessità del girovagare/ viaggiare tipica di tutto il suo cinema. Discontinuo e ridondante, ma personalissimo e ricco di spunti.

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