Smetto quando voglio – Recensione

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Rinascimento e Risorgimento: noi italiani siamo i protagonisti di due periodi storici in cui ci siamo socialmente evoluti, riorganizzati e riadattati. Siamo stati parte di un progresso che, tra i suoi molti aspetti, è arrivato a comprendere anche quello artistico (se per il Rinascimento è inutile far esempi, nel Risorgimento cito il Nabucco di Verdi con tanto di bandiere italiane alla fine dello spettacolo). Stagnante invece, termine che inquadra la situazione del cinema italiano, innovatore e traino del cinema occidentale durante il periodo del neorealismo, negli ultimi decenni è sprofondato in una crisi che sembrava irreversibile. Ultimamente però abbiamo riavuto speranza grazie ad una serie di pellicole che hanno tentato di distruggere quei tabù che il nostro cinema sembrava essersi autoimposto. E’ rinato il cinema di genere, scomparso praticamente insieme a Fulci e Argento, e ad esempio Sorrentino con This Must be the Place, La Grande Bellezza e  Youth- La Giovinezza ha dimostrato di essere un autore vero, tutt’altro che fuoco di paglia e regista pretenzioso e barocco. Anche la commedia è in un processo di evoluzione che, si spera, demolisca lo stereotipo di cinepanettone (prodotto che, oramai, sembra aver perso anche l’appoggio del pubblico) e commedie di qualità affine, modello che oramai risulta anacronistico, oltre che banale e artisticamente nullo. Ne è un esempio il pirandelliano Perfetti Sconosciuti in cui Genovese reinterpreta il suo modo di affrontare il genere ed esplora i limiti tra teatro e cinema. Ancor precedente alla commedia premiata alla sessantunesima edizione dei David di Donatello come “Miglior Film”, però è Smetto Quando Voglio di Sidney Sibilia, opera che trattiamo per tre motivi: è recentemente disponibile su Netflix, il sequel è uscito da poco in home video ed il principale, ossia il fatto che è una delle prime commedie che ha iniziato questa new wave di cinema italiano che, successivamente al film di Sibilia, sembra stia prendendo piede.

La pellicola nasce con la voglia di raccontare uno spaccato della società italiana, ossia quello delle menti più brillanti del paese che vengono relegate ai margini della società stessa, costretti a sopravvivere grazie a lavori santuari, quasi sempre non richiedenti nessun titolo di studio specifico, nonostante essi posseggono una preparazione non trascurabile. Non solo, seppur mostrato secondariamente, vi è anche una tendenza della società a spingere ai propri margini chi si dimostra più intelligente e acculturato della media, etichettandolo come nerd, secchione, sfigato e i soliti epiteti idioti quasi quanto chi li utilizza. Ricorda la visione simpsoniana della società, in cui, tramite il personaggio di Lisa, vediamo come l’unico stereotipo positivo di Springfield sia in realtà quello più denigrato e solo di tutta la comunità. La trama del film di Sibilla parte, infatti, dalla storia di Pietro Zinni, un brillante neurobiologo che ha sviluppato un avveniristico algoritmo in grado di sintetizzare molecole. Il nostro protagonista cerca finanziamenti per avviare questo dottorato di ricerca e trovare quella chimerica stabilità economica, che, ovviamente, non troverà. Infatti, Pietro non verrà capito neppure dalla commissione stessa che, a causa dei tagli alla ricerca e per non aver carpito il potenziale del progetto, deciderà di assegnare quei fondi ad un altro neurobiologo. Nella disperazione più totale però, dopo essere stato drogato mentre cercava di ottenere i soldi che gli spettavano dalle ripetizioni che forniva privatamente ad un gruppo di studenti, decide di prendersi con la forza ciò che, crede gli spetti di diritto dalla società, ossia una stabilità finanziaria e la possibilità di avere un progetto di vita a lungo termine, usufruendo delle notevoli conoscenze acquisite. Il “come” è molto più biasimabile. Pietro, infatti, utilizzerà il suo algoritmo allo scopo di sintetizzare delle sostanze psicotrope legali, le cosiddette “smart drugs”. Per farlo costituirà una vera e propria “gang” formata da alcune delle menti più geniali del paese, in completo disfacimento personale e finanziario, costrette anch’esse come lui d’altronde a vivere di lavori santuari che nulla hanno a che fare con la loro preparazione. La trama ricorda quella di Breaking Bad e condivide con la serie la denuncia sociale che cela. Non solo, i parallelismi tra i due prodotti sono visibili anche nel fatto che entrambi i protagonisti sono sottopagati e impossibilitati a usufruire delle loro competenze in campo lavorativo. Walt è un professore di chimica in un liceo, pur essendo una grandissima mente nel suo campo, il povero Pietro non viene compreso neanche dalla commissione che avrebbe dovuto avere il ruolo di valutare il suo lavoro.

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Un italianissimo Heisenberg in una commedia che segue lo stile americano lanciato da Una Notte da Leoni, non pedissequamente però. Smetto Quando Voglio vive del suo stile pienamente italiano fatto di equivoci ed episodi imbarazzanti sì, ma sempre con quello sporco ( quello che, ad esempio, domina la scena ne Lo Chiamavano Jeeg Robot) che si cela dietro la vita di questi poveri ragazzi. Perché sì, tornando alle analogie con l’opera di Vince Gilligan, come lo spettatore capisce e fatica a biasimare Walt, così viene difficile vedere questo gruppo di professori-spacciatori con antipatia. Sarà perché entrambi vivono la criminalità, perché abbandonati dallo Stato che dovrebbe assisterli, in quanto eccellenze dei loro rispettivi paesi. Un’altra importante tematica emerge nel finale: quando insieme si usano intelligenza e conoscenza non è impossibile risollevarsi dal fango in cui si sta naufragando. Tecnicamente la pellicola segue lo schema costruito per il comparto narrativo, senza troppi fronzoli ed inutili virtuosismi (che, peraltro, non sarebbero neanche stati possibili a causa del budget sicuramente non hollywoodiano).

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Trattare, vedere e andar fieri di un prodotto come Smetto quando voglio è importantissimo. Un primo passo per ricostruire quell’idea di nazionalità italiana che sembra sparita dalla società contemporanea. Perché il film di Sibilia, pur ispirandosi alla trama di Breaking Bad e utilizzando quel modello di commedia americana ideato dalla serie Una Notte da Leoni è un prodotto italianissimo e non solo, perché fa del suo essere italiano un punto di forza che eleva il prodotto al di sopra di una classica commedia come quella che ho citato in precedenza e i suoi cloni. Il motivo per cui questo prodotto è passato in sordina è attribuibile, a parer mio, ad una caratteristica tipicamente italiano che sottolinea un maestro del nostro cinema, Paolo Sorrentino nel film nostrano più apprezzato dal mondo intero degli ultimi quindici anni: La Grande Bellezza (per chiudere il discorso sul cinema italiano iniziato sin dalle prime battute del pezzo). “Purtroppo Jep, in questo paese per essere presi sul serio bisogna prendersi sul serio”.

Prendete sul serio Smetto quando voglio e godetevelo, (è anche disponibile, da poco, su Netflix, quindi non avete alcuna scusa) anche perché lui non si prende sul serio; altrimenti non lamentatevi dell’arte italiana in declino.