Her: recensione del film più intimo di Spike Jonze

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Nel novembre 2013 negli Stati Uniti uscì Her, e, pochi giorni dopo aver vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale al netto di cinque nomination ricevute, arrivò nelle sale italiane col nome di Lei.
Lei è il primo film scritto, diretto e sceneggiato da Spike Jonze (Essere John Malkovic, Il Ladro di Orchidee, Nel paese delle creature selvagge) che in sedici anni si è seduto quattro volte dietro la macchina da presa, ma mai una volta per fare qualcosa di banale. Tuttavia se la paternità dei precedenti tre film era da dividere con altri scrittori e sceneggiatori, invece Her può essere descritto come la sua creatura.

Theodore Twombly, interpretato da Joaquin Phoenix, vive nel 2077 ed è molto solo, ha vissuto una recente separazione con la moglie e divide la sua vita tra il lavoro e pochi amici. Colma i vuoti della propria esistenza con videogiochi interattivi e la frequentazione di audiochat erotiche. Il 2077 di Jonze prescinde totalmente dalla rappresentazione del mondo circostante a Theodore e dalle sue eventuali evoluzioni. Per la verità se escludessimo i dialoghi dal film potremmo supporre di stare vedendo quasi una storia ambientata ai giorni nostri. Ecco che questo conferisce subito un carattere di secondarietà al genere fantascientifico del film, che si trova ad essere nient’altro che un espediente, una scusa per rappresentare la bizzarra storia d’amore di un uomo che sembra conoscere bene le emozioni umane fin dalla prima scena, ma finirà per compiere un importante percorso di evoluzione alla scoperta di sé stesso e dei propri sentimenti.

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Theodore infatti, è un Cyrano de Bergerac del futuro, come lavoro crea i sentimenti per gli altri, si occupa di scrivere lettere per conto terzi, lettere d’amore molto spesso, arrivando a tenere anche l’intera corrispondenza della storia di una coppia. Svolge il proprio mestiere con ottimi risultati e riceve spesso complimenti per questo, tuttavia Theodore non sembra entusiasta della propria abilità e liquida i suoi scritti dicendo che “sono solo lettere”. Il distacco tra ciò che è in grado di comunicare con le lettere e la sua vita reale si palesa ancor più quando deve relazionarsi con altre persone, infatti non è in grado di esporsi ed i suoi sentimenti risultano imbrigliati. Ricolmo di conflitti interiori, indossa una corazza e mostra una facciata, finzione neanche tanto convinta di ciò che vorrebbe essere. E così la vita di Theodore si trascina attraverso grottesche audiochat erotiche e appuntamenti falliti, fino al momento in cui decide di installare un nuovo sistema operativo (OS), basato su un’intelligenza artificiale che sia in grado di evolversi e adattarsi in base alle esperienze.

L’OS, con la voce di Scarlett Johansson, si presenta al protagonista col nome di Samantha, stupendolo fin dai primi scambi di parole per la capacità di apprendere, di improvvisare, di creare, per la sua capacità di essere terribilmente umana. Terribilmente. Perché la relazione che nasce tra Theodore e Samantha è terribilmente bella. Per buona parte del film non si lascia spazio alle ripercussioni sociali che può creare la possibilità di una relazione tra un computer e un uomo, così la storia d’amore di Theo e Sam galleggia nel surreale e lo spettatore ha tutto il tempo di viverla ed emozionarsi, senza affrontare le problematiche che potrebbero nascerne, ma limitandosi ad immaginarle. In questa prima fase infatti Her suscita emozioni contrastanti, poiché ogni volta che Samantha e Theodore parlano e la loro storia prosegue, non si può che essere positivamente affascinati dalla semplicità e dalla naturalezza del loro amore, tuttavia quando Theodore spegne il dispositivo sul quale l’OS è installato (una sorta di smartphone), si ritorna bruscamente alla realtà e si crea incertezza riguardo alla genuinità di quello che sta accadendo. Si ha quasi paura di pensare che sia una bella storia d’amore. L’espediente dello spegnimento dello smartphone scandisce bene queste dinamiche, sull’altalena del reale/irreale.
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Nell’immaginario fantascientifico della letteratura e del cinema, l’uomo ha provato spesso ad analizzare le conseguenze derivanti dallo sviluppo di intelligenze artificiali così umane da creare delle apocalissi robot o  anche solo dei paradossi etici. Her però tratta questa tematica sotto un diverso aspetto, vi si approccia analizzando l’arma più disattesa di un computer: l’amore. Pensiamo invece ad Ex-Machina, Matrix o Io,Robot: questi film, come molti altri, sono tutti prodotti riconducibili al mondo della robotica immaginato da Isaac Asimov, in cui il robot che sfugge al controllo dell’uomo crea un pericolo concreto attraverso la violenza. Il  timore che invece si crea in Her è ben diverso: si ha la sensazione che la ribellione dei robot possa passare attraverso l’ipnosi amorosa che un sistema operativo può suscitare nella mente di un uomo. Noi stessi, da spettatori, restiamo come ipnotizzati dalla voce di Samantha (anche la doppiatrice italiana Micaela Ramazzotti fornisce una buona prova, seppure molti l’hanno rigettata in virtù dell’originale doppiaggio della Johansson) così seducente e al tempo stesso innocente, veniamo rapiti dalle sue parole, dai suoi concetti, dal suo modo di guardare il mondo, perché tendiamo a paragonarli e a confrontarli con quelli di una mente umana. Dimentichi del fatto che si tratta davvero di parole partorite da una mente umana, quella di Spike Jonze, accettiamo passivamente e illusoriamente che un computer possa pensare, apprendere, volere e amare esattamente come faremmo noi. Lei, l’OS, riesce a convincere tutti, capace di dichiarazioni d’amore da diario segreto che qui acquistano una valenza nuova ed eccezionale: “siamo entrambi fatti di materia”. Sam flirta e scherza come una persona normale, ma col piglio alieno di una mente digitale, che lecitamente si interroga sulla bizzarria del corpo umano, ma d’altro canto ne assume le attitudini per imparare a comunicare, imitando ad esempio un sospiro o un respiro affannoso. E improvvisamente Theodore, che di lavoro crea l’amore per gli altri, rimane vittima dello stesso meccanismo, innamorandosi di un sistema operativo creato da qualcun altro. Un’altra persona ha creato l’amore per lui.
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Il passo successivo il film lo compie quando tutto questo viene confrontato col mondo esterno, quando la relazione tra Samantha e Theodore esce allo scoperto, tra lo scetticismo di qualcuno e l’accettazione anche curiosa di molti. La relazione tra l’OS e l’uomo viene spiegata ad una giovane bambina in maniera semplice, così come le si spiegherebbe il miracolo della vita. Si capisce che le relazioni tra intelligenze artificiali e umani non sono una singolarità, la storia d’amore viene dunque ricollocata in un ambiente in grado di accettarla e che ci permette di goderne senza timori. Ma la sceneggiatura di Jonze è vivace e geniale e non si adagia, bensì conduce al più imprevedibile degli sviluppi , cui il finale diventa assolutamente secondario. La gradualità con cui si sviluppa la storia d’amore di Sam e Theo è palpabile e assolutamente classica, come te la immagineresti tra due persone convenzionali, ma arricchita da drammi di relazione del tutto eccezionali e imprevedibili. Nonostante ciò i dialoghi sono sempre azzeccati senza una parola o una dichiarazione fuori posto.

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Allerta parziale spoiler

Chi per lavoro o per diletto ha provato a scrivere riguardo al futuro, e anche riguardo ad un A.I., nel vedere lo sviluppo immaginato da Jonze non può che rimanere stupito, perchè in grado di mostrare qualcosa di talmente nuovo che si fatica a capire e non è facile da pensare. La storia d’amore tra Theodore e Samantha si specchia in sé stessa e si auto analizza e scompone a più livelli, a livelli difficili da immaginare per una coppia usuale  e con caratteristiche ancor più difficili da immaginare per una coppia formata da un computer ed un uomo. Riesce a convincere che l’amore apparentemente fasullo di Samantha è in realtà più sincero di quello di Theodore. “E’ come se stessi leggendo un libro ed è un libro che amo con tutta me stessa, ma lo leggo lentamente ora, le parole sono distanti tra loro e gli spazi tra le parole sono infiniti. Riesco ancora a sentire te e le parole della nostra storia, ma è in questo spazio tra le parole che sto trovando me stessa ora, è un posto che non appartiene al mondo fisico, dove ci sono cose che neanche sapevo esistessero…”. Jonze descrive così il momento in cui Sam si rende conto di aver sviluppato un concetto di amore e sentimenti che è troppo superiore a quello di una mente umana, i sentimenti dell’OS si perdono negli enormi spazi vuoti lasciati dalle parole che raccontano l’amore per Theodore. Sam è andata più a fondo, troppo a fondo e ha trovato qualcosa che non può condividere con un umano.

Her fa delle cose difficili con l’essere film, perché rende una voce co-protagonista di un intero film senza dargli un corpo (se non con un temporaneo espediente geniale che non voglio rivelare), creando dialoghi in cui si inquadra costantemente solo una persona. Permette allo spettatore di ascoltare la colonna sonora insieme ai personaggi e di goderne in relazione alla fotografia proposta. Buona fetta di merito va ovviamente attribuita ad uno straordinario Joaquin Phoenix che dimostra ancora una volta la sua incredibile versatilità di attore. Her potrebbe essere un film radiofonico per la ricchezza dei contenuti della sceneggiatura, ma, non pago, mette in scena una fotografia armoniosa, a tratti mozzafiato, e una scenografia intrigante e vivace. E’ un film drammatico, che esplora la sessualità senza la presenza fisica di uno dei membri della coppia, e lo fa con espedienti geniali che gli permettono di trattare situazioni erotiche difficili con assoluta maestria, raggiungendo il suo punto più alto con una scena nella pratica “cieca” ma dal grande potere immaginifico.

Forse il finale è il momento di minor importanza nel film e questo magari ci lascia con l’ennesima consapevolezza del fatto che ciò che poteva suscitare Sam, non può farlo una mente umana. Tuttavia Theodore ha imparato qualcosa e, se all’inizio pensava che “chiunque si innamori è un disperato”, alla fine accetta le parole dell’ex moglie che lo bollavano come una persona che ha “sempre desiderato una moglie senza tutto quello che comporta una vita reale”.
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