Barbie il film: ecco perchè non è affatto “anti-maschile”

La nuova commedia di Barbie è stata accusata da alcuni di "misandria", cioè di incitare all'odio verso gli uomini. In realtà il film dispiega una moltitudine di messaggi, e se è vero che ridicolizza gli elementi tossici della mascolinità, la satira è rivolta a un nemico comune a uomini e donne: il patriarcato

barbie ken
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A più di una settimana dalla sua uscita in Italia il nuovo film di Barbie, diretto da Greta Gerwig e scritto insieme al suo compagno, Noah Baumbach (Storia di un Matrimonio, Rumore Bianco), è stato visto da oltre un milione di spettatori e sta facendo parlare moltissimo di sé.

Se la critica è stata più o meno unanime nel recensirlo positivamente per la sua rappresentazione originale dell’icona pop della Mattel, il pubblico ha invece espresso pareri molto contrastanti, che sembrano rientrare nella classica logica di “o lo si ama, o lo si odia”.

Visto che a noi è decisamente piaciuto (qui la recensione completa), ci sembra doveroso aprire una parentesi rispetto a quelle che sono state le argomentazioni negative intorno al film.

La principale critica rivolta a Barbie, anche da giornaliste donne e appartenenti a testate piuttosto autorevoli, è quella di essere un film che si augura un mondo di sole donne, “senza uomini”, e governato interamente da donne. C’è qualcuno che si chiede addirittura se è auspicabile un mondo del genere, e accusa la regista di ritrarre tutti gli uomini come “cattivi”.

Eppure questa visione rischia di essere limitata e fuorviante, e di trascurare i tanti elementi espliciti che invece vanno in una direzione diversa e molto più eterogenea di quello che sembra.

Tre elementi in particolare andrebbero ri-considerati e approfonditi per comprendere appieno il valore culturale di “Barbie”: la complessità dietro personaggio di Ken, chi è, come e -soprattutto- con chi parla Greta Gerwig e l’essenza parodica del film.

L’uomo “Ken” nel film Barbie

Una delle principali polemiche nasce proprio dalla raffigurazione del personaggio di Ken che, come tutti gli uomini Ken (e non solo) del film, sono apparsi ad alcuni e alcune come esageratamente stupidi, inutili e superflui rispetto al ruolo delle Barbie, rappresentanti della femminilità e del femminismo.

Questo ha fatto pensare a un accanimento contro la figura maschile, come se il film dichiarasse guerra a tutto ciò che è l’uomo, suggerendo la supremazia femminile come unica soluzione possibile. Tutt’altro, invece.

Nel film, il personaggio di Ken, interpretato magistralmente da Ryan Gosling, è l’aitante biondone palestrato che conosciamo, con un carattere sciocco, ingenuo e facilmente influenzabile. Sembra esistere solo “se Barbie lo guarda” (come scritto su tutte le locandine del film), e appare completamente soggiogato dalla sua controparte femminile. Ricorda qualcosa?

Se inizialmente Ken è un personaggio secondario, assume invece più importanza nella storia quando viene utilizzato in maniera funzionale alla trama: da strambo “aiutante” improvvisato nel viaggio di Barbie nel mondo reale, diventa il “nemico” di turno e poi, finalmente, si redime. Nel mentre si comporta in maniera ridicola, piange tanto (verso la fine) e sfocia nel melodramma tipico – almeno così si pensa – idella femminilità.

Da notare come Gosling, sex symbol del cinema hollywoodiano, si presti a questa destrutturazione della mascolinità per come l’abbiamo sempre concepita, in nome di un obiettivo più alto. Il personaggio di Ken evolve in maniera inaspettata e del tutto caricaturale, perché in un film che caricaturale lo è moltissimo, lui è LA caricatura per antonomasia. E anche questo non avviene per caso, e se viene sicuramente da leggervi tra righe, bisogna far attenzione a non leggere male.

Proprio il fatto di essere presentato come “appendice” delle donne e – come Barbie stessa si lascia scappare– “totalmente superfluo”, sarà causa della sua successiva ribellione e crisi di identità. “Io esisto soltanto nel calore del tuo sguardo”, affermerà il personaggio di Gosling tra le lacrime in una scena tra le più cringe del film. Il ritratto è volutamente grottesco e disturbante, seppure alleggerito dal brillante umorismo del film. Se può sembrare mera umiliazione dell’uomo, è in realtà una critica più profonda di quanto sia sbagliato, per chiunque, vivere la propria vita in funzione di accessorio di qualcun altro, per via di un pregiudizio (in questo caso delle Barbie stesse) rispetto al ruolo che dovrebbe occupare nella società. Questo è il vero paradosso sottinteso del film: anche Ken è vittima di una discriminazione dai colori tutti patriarcali.

Sì, forse i Ken sono sciocchi e vengono fatti cadere negli errori tipici della società patriarcale (vedi: la sottomissione della donna, e – si potrebbe leggere – lo scontro fisico come unica grottesca soluzione alla competizione), ma sciocca appare più volte anche Barbie stessa. È sciocca ad illudersi che Barbieland sia uguale al mondo reale, ed è sciocca, come più tardi ammette, a dare per scontati i Ken e il loro ruolo in una società che, per funzionare davvero, dev’essere paritaria e non mettere nessuno nell’angolo. Se le Barbie appaiono quasi spietate con i Ken, è per scimiottare quello stesso trattamento ingiusto e ineguale che hanno subito e subiscono le donne e non perché sia corretto così, né per uno spirito vendicativo, che nel film è assente.

Agli spettatori attenti arriva, come da intenzioni della regista, l’ingiustizia nel trattare i Ken come esseri inferiori, e quando la Barbie presidente gli concede una delle commissioni di Barbieland meno importanti, che loro accettano entusiasti, ecco che la critica è di nuovo al patriarcato, e ci parla, per esempio, di quanto sia assurdo ragionare in ottica di “concessioni”. Ed ecco allora che il messaggio torna a risuonare universale: la voce fuori campo di Helen Mirren sottolinea sarcasticamente: “dopo tutto i Ken hanno ancora tanta strada da fare; e un giorno avranno (a Barbieland) la stessa influenza che le donne hanno nel mondo reale”.

Dietro al velo di ironia del film c’è una morale amara, ma meno anti-maschile che mai: le disuguaglianze sociali sono ridicole, sempre. E’ ridicolo che qualcuno che debba aspettare che arrivi il proprio momento e che altri gli facciano posto: nel comico e forse sì – un po’ malizioso- epilogo di Barbieland sono gli uomini Ken che, ingiustamente, dovranno farsi strada verso il loro cambiamento sociale. Come le donne hanno fatto e stanno ancora facendo nel mondo reale. (PROSEGUE A PAGINA 2)