Musicult – Outkast: Hey Ya!

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Una delle più famose canzoni degli anni ’00: e come dimenticarla? Hey Ya! degli Outkast fa parte della nostra memoria collettiva

Ancora oggi forse in molti non lo sanno, ma il duo Outkast (André 3000 e Big Boi) non è soltanto la band di Hey Ya!, la super-hit che nel 2003 conquistò le classifiche di tutto il mondo. Trattasi infatti di uno dei più acclamati progetti rap di sempre, lodati dalla critica e amati dal pubblico in una decina di anni di attività con lavori estremamente influenti.

Non solo rap, non solo R&B ma una mistura di generi che esplorano davvero i più differenti meandri e che pienamente trova forma in Speakerboxxx/The Love Below, il loro doppio album del 2003: un magniloquente viaggio concettuale sull’amore e le relazioni, la sessualità e la sensualità, i rapporti e la loro fine.

Al fianco di Hey Ya!, singolo di punta della tracklist, trovano posto motivi elettronici, soul, rap, R&B, funk e jazz in un’esplosione di idee e stile che porta molti, ancora oggi, a considerare il disco come uno dei migliori di quella decade. Questo per dire, tanto per cominciare, che la canzone di cui parliamo non è una genialata a sé stante, ma trova posto in un concept.

Nello specifico, nella metà più sensuale e tradizionale affacciata sulla black music anni ’70 (difficile, a più riprese, non pensare a Stevie Wonder ma anche a Marvin Gaye e Isaac Hayes) di The Love Below, una grande e amara parabola composta da André Benjamin e con interventi di ospiti come Norah Jones, Kelis e Rosario Dawson.

Hey Ya! occupa il momento nella narrazione in cui la sicurezza dell’amore comincia a crollare e i dubbi iniziano ad accumularsi l’uno sull’altro, portando alla fine della relazione. Il narratore/cantante/rapper (André 3000, anche unico autore e produttore del brano) così si esprime: “You think you’ve got it / Oh, you think you’ve got it / But got it just don’t get it ‘til there’s nothin’ at all“.

E: “If what they say is nothing is forever / Then what makes love the exception?” Esprime insomma tutte le sue paturnie e le sue remore in un pezzo quasi stupidamente allegro, costruito per non guardare in faccia la realtà. E la genialità sta anche nell’insicurezza espressa in sede di composizione, con una progressione di accordi atipica e passaggi da due a quattro quarti che rendono il brano “instabile”.

Completa il tutto il videoclip, un’aperta parodia degli anni ’60 e dei Beatles (ma anche del video Coming Up di Paul McCartney da solista, dove lui interpreta vari ruoli). Qui è André 3000 stesso a dare il volto a tutti i musicisti, come varie sfumature della sua stessa personalità oppure, più ambiziosamente, versioni differenti della complessità maschile e umana.

In generale il brano chiosa la fine della relazione con la riapetura dello status da single e, quindi, l’appeal nei confronti di un marasma di donne apparentemente disponibili che seguendo il carisma dell’MC “lo scuotono come una polaroid”, famoso verso del brano. Chiaro che anche in questo emerge un retrogusto amaro, cinico e quasi nichilista: “Voglio solo farti venire / Sono semplicemente onesto“.

Il brano cita anche Independent Women Part I, canzone delle Destiny’s Child colonna sonora del film Charlie’s Angels del 2000. Il name-dropping chiama infatti in causa Beyoncé Knowles e Lucy Liu e sembra essere sia un omaggio che un espressione di rancore nei confronti delle “donne indipendenti”, che cioè poco si trovano a loro agio in relazioni durature.

In generale il senso della canzone degli Outkast sembra demolire ogni ambizione di amore romantico, incentrandosi infine sulla ricerca di godimento e di uno sfogo anche puramente fisico perché il contrario, cioè l’affetto platonico e ideale, non è realizzabile. Questo, ovviamente, dal punto di vista del narratore che si trova a lasciarsi con la sua amata.

Il suono del brano rimane quanto di più particolare si può ascoltare negli anni ’00: tra i critici c’è chi ha giustamente chiamato in causa Prince, chi un po’ meno acutamente gli arrangiamenti confusi e discontinui della suite di Abbey Road dei Beatles. Altri hanno parlato di un “Little Richard indie rock” e di Ike Turner mischiato con i Devo.

Un po’ tutto un po’ niente, insomma. Che è forse anche ciò che rende questa canzone perfetta per rappresentare la musica degli anni ’00: un’era nichilista, vuota di senso e di ideologie (specie dopo l’9/11) e che anche in musica compie un lento percorso di riscoperta di suoni e valori. Ecco perché ancora oggi quell’Hey Ya! ci suona in fondo più come un grido d’aiuto che come un’espressione di giubilo.

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