5 motivi per amare Ted Lasso

A poche settimane dalla terza attesissima stagione, ecco un vademecum sul perché amare Ted Lasso.

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Una decina di anni fa, NBC acquistò i diritti della Premier League e ideò degli sketch per invogliare gli spettatori americani, storicamente restii a guardare il calcio, a familiarizzare con questo sport. Il protagonista di questi sketch era Ted Lasso, un coach di football americano, burbero e ignorante in materia, catapultato dall’oggi al domani ad allenare una squadra di calcio senza nemmeno conoscere le regole. Gli sketch diventarono subito virali e a Jason Sudeikis, che interpretava Ted, venne in mente che forse c’erano i presupposti affinché tutto questo diventasse qualcosa di più.

Così Ted Lasso diventa una serie tv e il 14 agosto 2020 approda su Apple TV+. A scriverla è Bill Lawrence, il creatore di Scrubs, che tira dentro anche Zach Braff (J.D. di Scrubs) per dirigere alcuni episodi. Anche Jason Sudeikis entra nel team di scrittura e insieme a Lawrence tira fuori una serie in grado di dominare la scena alle due ultime edizioni degli Emmy e dei Golden Globe conquistandone complessivamente 10.

Nonostante abbia solo due stagioni all’attivo, Ted Lasso è già diventata una serie cult. In vista della season 3, in arrivo sempre su Apple TV+ il 15 marzo, vi proponiamo i 5 motivi che secondo noi la rendono una serie assolutamente imprescindibile.


1. È una serie sul calcio che non parla di calcio.


Ted Lasso inizia con una donna (Rebecca Welton, interpretata dalla bravissima Hannah Waddingham) che, nel mezzo di una milionaria battaglia per gli alimenti tra lei e il suo ex-marito, eredita una squadra di calcio di Premier League (la serie A inglese): l’AFC Richmond. Il suo ex-marito, plenipotenziario proprietario del club, tiene più al Richmond che a lei. Così, pur di fargli un dispetto, Rebecca gli strappa il club di mano pur non avendo alcuna competenza calcistica.
Il suo unico obiettivo è quello di far fallire la squadra e farla sprofondare nell’abisso della retrocessione in modo da vederlo morire di crepacuore. E allora: quale mossa migliore di ingaggiare un allenatore di football americano che non sa niente di calcio?
Così ecco spuntare dall’altro lato dell’oceano Mr. Lasso: un allenatore preso da un altro sport (in cui comunque era di livello medio basso), con un baffo importante e fuori moda e di una gentilezza irritante alla Ned Flanders.

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Con questa premessa molti spettatori che non amano il calcio potrebbero pensare: “Sì, ok, ma a me del calcio che mi frega? Perché dovrei guardare ‘sta roba qui?”.
Be’, il maggior pregio di Ted Lasso è proprio questo: è un prodotto trasversale, per certi versi universale, capace di coinvolgere proprio perché è una serie sul calcio che non parla di calcio. Non nello specifico almeno. Intendiamoci: è chiaro che ci sono i calciatori, il portiere, vedi spezzoni di partite e tutto quanto, ma quello è il setting, l’arena in cui le vicende dei personaggi si svolgono. Il fuoco della storia, invece, è da tutt’altra parte: sta nel racconto del microcosmo del Richmond una volta che i riflettori si spengono.
Che succede negli spogliatoi dopo una sconfitta? Come vivono i conflitti i personaggi; come superano le tempeste? Questo è il cuore narrativo dello show: un gruppo di persone con un obiettivo, un sogno da realizzare e un condottiero (più o meno capace) a guidarli in battaglia con mille ostacoli da superare.

2. Ted disinnesca la mascolinità tossica con un sorriso sincero.


In un ambiente pieno di testosterone come quello di una squadra di calcio professionistico maschile, ci si aspetta che a dirigere la baracca ci sia un incrocio tra Schwarzenegger e Stallone. Uno di quelli a cui proprio non la si fa. Non è solo questione di muscoli, c’entra il carisma. Del resto la storia del cinema e della televisione è piena di coach dal grande impatto scenico: gente capace di fulminare bestioni alti due metri con un semplice sguardo. Vengono subito alla mente personaggi memorabili come Al Pacino nei panni del mitico coach Tony D’Amato di Ogni maledetta domenica (Any given sunday), o lo straordinario Kyle Chandler nei panni del coach Taylor in Friday night lights.

A volte addirittura la realtà supera l’immaginazione: il mondo dello sport è pieno di coach iconici dallo charme irresistibile. Basti pensare a Mourinho o Alex Ferguson nel calcio; Phil Jackson nel basket capace di creare una dinastia a Chicago tenendo testa a sua maestà Michael Jordan o all’impareggiabile Vince Lombardi (al quale pare sia ispirato proprio il personaggio di Tony D’Amato).
Invece guardi Ted Lasso e vedi spuntare un uomo gentile e delicato e allora la prima cosa che pensi è che uno così, in un posto come quello, duri come un gatto in tangenziale. Poi ti ricordi che però lui non è proprio alla prima esperienza. In uno spogliatoio c’è stato, ha pure vinto (anche se si trattava di un campionato di II Divisione), e per farlo, ha dovuto tenere testa a giocatori di football grossi come armadi a due ante. Allora questo tipetto buffo coi baffetti alla Tom Selleck forse qualche carta da giocare deve averla. Sta a vedere che la presidentessa Welton voleva fare un torto al marito e invece gli ha fatto un favore?

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Perché Ted ha un dono che pochi hanno: l’empatia. Sa andare a fondo, sa vedere oltre. Sulle prime ti sembra un cucciolo di Labrador, ma presto ti rendi conto che dietro c’è ben altro. Sa farsi rispettare anche in uno spogliatoio pieno di badass. Sa scegliere le parole migliori, toccare le corde giuste, sa motivare, spronare, consolare. I calciatori lo mettono continuamente alla prova, soprattutto durante la prima stagione. Pensano che uno così non abbia niente da insegnargli e che anzi, possa solo danneggiarli, essere nocivo. Alla fine invece finiscono col volergli bene perché a Ted Lasso è impossibile non volere bene. I ragazzi del Richmond si rendono conto che sì, è vero, non sono davanti al Pep Guardiola americano ma coach Lasso riesce a renderli persone migliori e, di conseguenza, anche giocatori migliori: più generosi, più altruisti. Il Richmond che inizia la stagione è pieno di individualisti, mentre il Richmond che taglia il traguardo è diventato una squadra vera: l’unione di 11 persone che lavorano l’uno per l’altra all’unisono. Si aiutano e si supportano. Alla fine perdono comunque, retrocedono, ma non è questo il punto: il Richmond alla fine della stagione ha comunque vinto perché ha imparato che si vince insieme e si perde insieme. Tanto è vero che la presidentessa Welton, che in teoria con la retrocessione avrebbe raggiunto il suo obiettivo, è triste: Ted è riuscito a portare anche lei dalla sua parte. Non è un caso che lo riconfermi, anche in Championship (la serie B inglese), stavolta però, per i motivi opposti a quelli per cui lo aveva ingaggiato.

3. Le fragilità di Ted sono anche le nostre.


Ovviamente Ted non vive su una nuvola, non è un unicorno che sopravvive in un mondo di squali. I problemi li ha pure lui e sono pure belli grossi se è per questo. Ted ha famiglia: una moglie e un figlio piccolo. Solo che in Inghilterra c’è venuto da solo perché lui e sua moglie sono in pausa e a quanto pare la decisione è venuta da lei. Così il buon Ted ha deciso di rispettare fin in fondo le esigenze della signora Lasso e, appena è venuta fuori l’offerta del Richmond, è saltato su un volo intercontinentale (insieme al suo inseparabile vice coach Beard) e ha messo un oceano di mezzo fra lui e sua moglie: le ha dato il suo spazio.

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Ovviamente di questa lontananza ne soffre, ci sta male: gli manca tutto di casa. Malgrado la distanza siderale cerca di essere un padre presente: non salta mai una chiamata Skype, fa di tutto per far sentire la sua presenza. Sua moglie e suo figlio lo vanno pure a trovare per una partita di campionato, ma il weekend va malissimo: Ted sente suo figlio per la prima volta lontano da lui e capisce che con sua moglie la situazione è insanabile, non resta altro che separarsi. Scopriamo così un Ted fragile, vulnerabile, che soffre di attacchi di panico. Il coach Lasso capace di tener testa a palestrati energumeni pieni di testosterone disinnescandoli con un sorriso, cade a pezzi davanti alla frase di un bambino. Empatizziamo ancora di più con lui. Prima ci stava simpatico, certo. Volevamo che tenesse testa ai calciatori proprio come vorremmo che un nerd tenesse testa a un bullo. Adesso però siamo un gradino in su: è un nostro amico, come se lo conoscessimo da sempre. Le sue fragilità sono le nostre.

4. Il cast.


Tra i tanti meriti che Ted Lasso ha, c’è anche quello di avere indovinato una delle cast list più azzeccate degli ultimi anni. I personaggi sono scritti benissimo, sono credibili, hanno tutti un percorso e un’evoluzione interessante. Del resto se al timone metti uno come Bill Lawrence c’è poco da sorprendersi. Proprio come per Scrubs infatti, in cui intorno al protagonista J.D. ruotavano altre figure di pari valore rendendola una comedy corale e di alto livello, anche qui intorno alla figura di Ted orbitano personaggi che non si limitano a essere comprimari ma che arricchiscono e completano lo show. Non sorprende che Brett Goldstein (Roy Kent per intenderci) abbia vinto due Emmy e sia stato candidato al Golden Globe come miglior attore non protagonista. Così come non sorprende che anche altri membri del cast, come ad esempio Hannah Waddingham, Jeremy Swift, Brendan Hunt e Nick Mohammed abbiano raccolto in questi due anni diverse candidature.

Ted Lasso, ecco la cast list per intero:



Ted Lasso, interpretato da Jason Sudeikis.
Rebecca Welton, interpretata da Hannah Waddingham.
Leslie Higgins, interpretato da Jeremy Swift.
Jamie Tartt, interpretato da Phil Dunster.
Roy Kent, interpretato da Brett Goldstein.
Coach Beard, interpretato da Brendan Hunt.
Nathan “Nate” Shelley, interpretato da Nick Mohammed.
Keeley Jones, interpretata da Juno Temple.
Sharon Fieldstone, interpretata da Sarah Niles.

5. Non solo comedy.


Anche se ai Golden Globe e agli Emmy è sempre candidata tra le commedie o, peggio ancora, nella categoria “miglior serie commedia o musicale”, Ted Lasso è molto più di questo. È uno show in cui si ride molto, ma si piange anche. In questo assomiglia molto a Scrubs, la formula è quella: il tono è leggero per grande parte dell’episodio, poi arriva il finale di puntata a darti un bel cazzottone alla bocca dello stomaco. Sono passati più di dieci anni, quindi lo storytelling è diverso, più fresco, non c’è una voce pensiero come quella di J.D. con il sottofondo di una canzoncina pop-rock dal retrogusto malinconico mentre il protagonista tira le somme su quanto ha appena imparato. Ci sono però scene ad alto impatto emotivo che ti lasciano pietrificato proprio perché fino a un minuto prima hai riso di gusto per le stranezze di coach Beard o per Roy che ha fatto una delle sue sfuriate.
È interessante e divertente anche il modo in cui lo show racconta la cultura americana che incontra (e si scontra) con quella british. Fa molto ridere la riluttanza e l’intransigenza dei coach Beard e Ted verso gli usi e costumi locali. Bravi allora gli sceneggiatori a fare gli equilibristi facendo convivere nello stesso episodio scene in cui raccontano ad esempio l’astio di Ted per il tè delle 16 e scene in cui Mr. Lasso va in terapia dalla psicologa della squadra dopo essersi rannicchiato a terra in posizione fetale perché in preda a una crisi.

Che ne pensate? Amate TedLasso?

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