Red Hot Chili Peppers: tutti gli album, dal peggiore al migliore [LISTA]

Red Hot Chili Peppers
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La discografia dei Red Hot Chili Peppers, diciamocelo, ha alti e bassi. Qual è il loro miglior album, e quale il peggiore? Ecco cosa ne pensiamo noi

Red Hot Chili Peppers: una valanga di album fin da quello d’esordio, uscito nel 1984. Alcuni classici di ogni tempo, altri a malapena ricordati e altri ancora molto poco apprezzati dai fan, a volte ingiustamente a volte meno. Cambi di formazione, influenze differenti e l’evoluzione di un progetto musicale da sempre unico ci hanno regalato una discografia variegata e avventurosa come poche altre.

Dagli esordi funk rap al periodo alternative anni ’90, dalle deviazioni pop rock e le collaborazioni extra-Frusciante con esperimenti diretti a motivi acustici, hard rock, punk rock e persino alt metal (come in Coffee Shop, per esempio), i Red Hot Chili Peppers hanno davvero fatto di tutto e anche per questo catalogare e mettere in classifica i loro album è un’impresa. Noi però ci proviamo. Ecco l’elenco, dal loro peggior lavoro al migliore.

The Getaway, 2016

La scelta infelice di questo disco: affidarsi non allo storico produttore Rick Rubin ma a Danger Mouse, uno che nei dischi mette sempre del suo influenzandone il suono con elementi soul. Un intervento che unito qui a un songwriting poco convinto si risolve in una tracklist tiepida, sbiadita e dai colori incerti: un album davvero dimenticabile che porterà infine, per fortuna, al ritorno (per la seconda volta) di Frusciante in formazione.

The Red Hot Chili Peppers, 1984

Si dice spesso che il primo album del gruppo non sia in realtà il loro esordio “ufficiale” perché registrato con una formazione a metà, senza Jack Irons e Hillel Slovak, e arricchito da una produzione nella quale i quattro in realtà hanno ben poca voce in capitolo. Anche per questo non viene accolto bene, nonostante la presenza di perle come Get Up and Jump, Police Helicopter e ovviamente True Men Don’t Kill Coyotes. In ogni caso, un esordio perlomeno interessante.

Unlimited Love, 2022

Un ritorno, quello con Frusciante all’alba degli anni ’20, da molti visto come blando e appena sufficiente rispetto ai loro classici; anche se si manca spesso di considerare che all’uscita di questo disco tre componenti su quattro hanno praticamente 60 anni. Pensatela come volete: in Unlimited Love si trovano tutti i tratti dei Red Hot Chili Peppers più tipici, dal funk al pop e dal rap al rock passando per pezzi comunque splendidi come Poster Child, un’autentica gemma.

Freaky Styley, 1985

Il secondo album della band viene prodotto da George Clinton, leggenda dei Parliament Funkadelic; e si sente. Il suono è molto più funk che qualunque altra cosa, anche se non manca un brano puramente punk come la famosa Catholic School Girls Rule. Un disco forse sottovalutato nella discografia del quartetto, ma è significativo che i brani veramente memorabili siano in effetti più che altro due: Jungle Man e la cover di If You Want Me to Stay.

The Return of the Dream Canteen, 2022

Il secondo (e questa volta doppio) album pubblicato dai quattro con Frusciante di nuovo in formazione nel 2022. Per opinione comune, un po’ meglio del primo (Unlimited Love) e comunque sempre molto eclettico: un disco che presenta uno stile rodato, solido, non necessariamente originale (perlomeno, non più) ma molto variegato e strumentalmente soddisfacente, specie nelle intuizioni stilistiche del basso di Flea.

The Uplift Mofo Party Plan, 1987

L’ultimo album con Hillel Slovak e l’unico nel quale forse il primo storico chitarrista della band ha modo di esprimere veramente tutto il suo talento, nella tecnica di chitarra peculiare che fonde stili funk, rock e punk. Viene qui fotografata una band in crescita, casinista in brani come la famosa Me and My Friends ma anche più filosofica e matura nella splendida Behind the Sun o nell’intrigante e quasi prog Love Trilogy. Uno degli album decisamente da riscoprire.

I’m with You, 2011

Il primo album dopo la seconda uscita dal gruppo di Frusciante e con lo storico collaboratore Josh Klinghoffer, che sulle prime prende tutti in contropiede perché il nuovo chitarrista suona più come Thurston Moore: non suoni pieni e riff decisi ma ma momenti di rumorismo (si sente bene in Monarchy of Roses) e contorni chitarristici spesso astratti. In compenso, è decisamente uno degli album in cui Chad Smith dà il suo meglio alla batteria e non mancano vere perle come Ethiopia.

Mother’s Milk, 1989

L’arrivo di Frusciante in formazione segna l’arrivo di un suono compatto e convinto, di qualcuno che la chitarra la studia e la brandisce in più direzioni, completando adeguatamente e anzi fornendo spunti di evoluzione che sicuramente altrimenti non sarebbero mai giunti. Il risultato: i primi Chili Peppers veramente “importanti” e in grado di competere con i grandi nomi della scena, con canzoni di alto livello quali Taste the Pain e Pretty Little Ditty.

One Hot Minute, 1995

Disco spesso avversato quando non odiato dai fan, l’unico registrato con il chitarrista dei Jane’s Addiction, Dave Navarro. Quindi tendenzialmente (ma non è troppo vero) meno funk e molto più rock, con decise deviazioni alternative e forse alcuni dei tratti musicalmente più “oscuri” nella discografia del gruppo. Ciononostante, insistiamo su come One Hot Minute sia un album assolutamente da riscoprire, non tanto nei singoli ma in gemme nascoste come Transcending o Falling into Grace.

By the Way, 2002

Lo sappiamo, un album spartiacque. Per tanti fan, la fine del periodo d’oro della band e la loro conversione al “pop”. Per altri un lavoro colmo di splendide melodie e introspezioni, straordinariamente vulnerabile e che vede Frusciante per la prima volta assumere una prominenza creativa con una chiara impronta personale. Un tipo di onestà forse a distanza di tanti anni più premiata e meno malvista, anche se c’è chi ancora considera By the Way colmo di fin troppi riempitivi.

Stadium Arcadium, 2006

Un altro doppio album, il primo nella carriera del gruppo, che vede a sua volta Frusciante come protagonista e che spazia davvero in ogni direzione, con momenti memorabili e altri da riscoprire in un trionfo di eclettismo: ci sono il funk rap (Hump de Bump); il folk rock (Desecration Smile); il pop rock (Tell Me Baby); l’hard rock (Readymade); l’alt rock (She’s Only 18); il rock psichedelico (la title track) e un capolavoro assoluto come Wet Sand. Per molti versi, un vero e proprio dizionario della musica dei Red Hot Chili Peppers.

Californication, 1999

Che dire: titolo intoccabile e questo nonostante gli orridi alti volumi decisi in produzione; il che è tutto dire. Il primo e più celebrato ritorno di Frusciante e la maturazione di una band sopravvissuta all’esplosione della propria fama e alla maledizione di sesso, droga e rock and roll che si riprende il suo posto con convinzione e rinnovata ispirazione là dove in molti avrebbero scommesso in direzione opposta. Un classico, se mai ce n’è stato uno.

Blood Sugar Sex Magik, 1991

“Il” disco funk rock, punto. I Red Hot Chili Peppers al massimo della loro capacità di fondere rock, rap e funk con deviazioni di altissimo livello come Breaking the Girl, la leggendaria ballad Under the Bridge o l’alt folk acustico di I Could Have Lied. Non per niente, il disco del successo internazionale per la band e ancora oggi quello da ascoltare in definitiva per chi intende capirli davvero. Un lavoro invecchiato benissimo e, senza giri di parole, uno dei migliori album degli anni ’90 e della storia del rock in toto.

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