Tár, Recensione del film con Cate Blanchett [Venezia 79]

Una straordinaria Cate Blanchett presta il volto e l'anima a una direttrice d'orchestra ossessionata dal proprio talento

Condividi l'articolo

Tra i film più attesi della 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia Tár di Todd Field ricopriva un ruolo d’onore. Non solo – e comunque non tanto – per la storia in sé, quanto per la presenza di una Cate Blanchett che già dal trailer si notava essere in stato di grazia e che, proprio con questa interpretazione ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia (qui tutti i vincitori della kermesse).

Film sull’arte e la sua natura spesso autodistruttiva, Tár è una pellicola che dalla sua ha la costruzione di un ritmo e di un dinamismo davvero magistrale, che non fa pesare sulle spalle dello spettatore un minutaggio che, sulla carta, potrebbe apparire quantomeno proibitivo.

Tár, la trama

Lydia Tár (Cate Blanchett, ça va sans dire) non è una donna comune: e tra le donne straordinarie sembra primeggiare comunque, come destinata alla grandezza e all’unicità dettata dal suo talento, che l’ha portata ad essere Maestro dell’orchestra di Berlino.

Capace di vedere le note e di comprendere le intenzioni dei compositori dietro di essere, Lydia Tár è un genio senza uguali, capace di rinnovare anche ciò che è classico e in grado di diventare un tutt’uno con la sua bacchetta da direttrice d’orchestra, manovrando la musica come se fosse fatta di qualche pasta malleabile.

Ma Lydia è anche una donna complicata, piena di contraddizioni, che si getta a capofitto nella carriera e dimentica la vita reale, spesso trasformandola nel teatro di una tragedia greca che porta alla distruzione e all’annientamento di ogni cosa che non abbia a che fare con la musica. Tuttavia quando il passato torna a bussare alla porta della donna, sotto forma di una ex assistente, Lydia Tár rischia di perdere l’unica cosa che da davvero senso alla sua vita.

LEGGI ANCHE:  Rashomon - Il cinema giapponese conquista il mondo

Tár: Recensione

Il dio della musica

Il film di Todd Field si apre con una sorta di monologo che altro non è se non la lettura di un’ipotetica pagina di Wikipedia dedicata a Lydia Tár, questa creatura umana ma già avvinta nella Leggenda grazie al suo talento sconfinato per la musica.

Bastano poche sequenze iniziali, in un talk show dalle luci della ribalta ben accese, affinché il pubblico abbia immediatamente un ritratto fedele della protagonista: una donna di cui non si sa nulla sul piano umano, ma che si offre senza peli sulla lingua per quanto riguarda la sua professione.

Il personaggio di Cate Blanchett è soprattutto questo, una professionista. Ed è quello che Todd Field cerca di rendere immediatamente palese, con l’utilizzo di abiti di alta sartoria, eleganti ma sobri, scambi di battute che non hanno mai nulla di emotivo o fuori controllo, ma che si basano soprattutto su una forte razionalità, come se Lydia avesse in testa un metronomo che le suggerisse il tempo delle battute anche al di fuori di uno spartito.

Ma nonostante questo la protagonista di questo piccolo gioiello cinematografico non appare mai freddo o troppo distaccato e nonostante le sue innumerevoli quanto evidenti mancanze dal punto di vista umano non riesce mai a farsi odiare dal pubblico, che invece subisce una sorta di fascinazione perversa.

LEGGI ANCHE:  Manifesto a Roma: un trionfo di arte e idee con il volto di Cate Blanchett

Lydia Tár si presenta davanti alla macchina da presa come un vero e proprio dio della musica, una donna incapace di sbagliare quando si tratta di tenere in mano una bacchetta; dall’altro lato, però, c’è una sorta di buco nero, una dimensione aliena in cui Lydia si sente quasi fuori luogo e da qui deriva il suo bisogno di infrangere altre regole, di commettere errori che sono palesi ma che forse le danno la sensazione di vivere al di fuori del palco che si è conquistata.

Creatura a metà, piena di contraddizioni e di fascino, che accantona persino ogni possibile riflessione sul gender con una manciata di batture, Lydia Tár deve molto del suo fascino all’interpretazione straordinaria di una Cate Blanchett che è già orientata verso i prossimi premi Oscar.

La sua bellezza algida e in qualche modo incorruttibile – che già era apparsa perfetta nella trilogia de Il signore degli anelli dove interpretava Galadriel – si sposa perfettamente all’immagine di Lydia, alla sua distanza dal mondo terreno.

Ma al di là del mero aspetto visivo, Cate Blanchett riesce perfettamente a scendere nelle spire infernali di un talento musicale che si dà all’autodistruzione: ogni parte del suo corpo, dei suoi occhi, delle sue capacità motorie è al servizio di un film che brilla proprio grazie alla sua interprete principale. Imperdibile.