I 10 film più filosofici di sempre

Un viaggio metafisico, che ci condurrà all'interno delle menti dei più grandi registi del secolo. Ecco i film più filosofici di sempre

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5. 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, 1968.
Film più Filosofici

Che Stanley Kubrick fosse un regista molto criptico è noto. Per quanto riguarda Odissea nello Spazio Kubrick incontrò una persona in lui simile a ciò, ovvero Arthur C. Clarke. Entrambi volevano infatti che il film fosse totalmente aperto a diverse interpretazioni, tanto che è probabile che il fotogramma finale del bambino in versione embrionale fosse già stato fissato all’inizio, quando ancora la trama non era stata decisa. Probabilmente, nel profondo, 2001 parla di una innata ricerca di un Dio simbolico che può anche essere ritrovato nella scienza. Del resto Kubrick stesso dichiarò:

Non credo in nessuna religione monoteistica della Terra, ma credo che qualcuno possa costruire un’intrigante definizione scientifica di Dio […]”. 

Tra le teorie più affermate vi è tuttavia quella che associa il film a Nietzsche, e il regista stesso diede largo appoggio a questa teoria. Infatti il filosofo teorizzava su come l’uomo fosse un ponte fra le scimmie e l’Oltreuomo, e di come il bambino fosse l’ultimo passaggio prima dell’avvento dell’Oltreuomo. Inoltre a favore di Nietzsche si associa la scena delle scimmie di inizio film, che assumono atteggiamenti dionisiaci, di HAL e del viaggio, che hanno aspetti invece apollinei, caratterizzati da scientificità, razionalità, fermezza, privazione di gioia. (Nella Nascita della tragedia Nietzsche teorizza la sua teoria del conflitto umano fra modi apollinei e dionisiaci). A concepire questa teoria è stato Donald McGregor, che ha anche aggiunto come il viaggio di David Bowman sia una migrazione da apollineo a dionisiaco.

Tuttavia moltissime sono le teorie, fra cui quella che suppone l’intero film come parafrasi dell’atto del concepimento (con il bambino nudo e indifeso alla fine),  con la navicella a testa di bulbo come impronta maschile e Giove come luogo di arrivo per l’impronta femminile, e il bambino stellare come frutto di questo incontro. Allo stesso tempo si richiama L’odissea, sia nel titolo che in molti altri particolari: ad esempio HAL che con un solo occhio, potrebbe rappresentare Il Ciclope che, attenzione, viene “ucciso” da Bowman proprio inserendo una chiave in esso (Odisseo acceca Ciclope con un palo).

Innumerevoli, inoltre, le teorie che ruotano attorno al monolite ed anche ad HAL. Certo è che l’interpretazione corretta resta al pubblico pressoché sconosciuta: probabilmente era lo stesso Kubrick a voler dare questa sensazione allo spettatore cercando quasi di raggiungere il suo subconscio. E a questo c’è da aggiungere che la soluzione che fornisce il libro è differente da quella del film e soprattutto non è certa, è aperta a ogni possibile interpretazione che lo scibile umano ne può trarre.

Fu proprio il regista stesso a incitare la mente e l’apertura filosofica delle persone con queste parole:

Siete liberi di speculare sul significato filosofico e allegorico del film – e tale speculazione è indice che esso ha fatto presa sul pubblico a un livello profondo – ma io non voglio precisare una chiave di interpretazione di 2001 che ogni spettatore si sentirà obbligato a seguire, altrimenti lui (lo spettatore) penserà di non aver colto il punto.”

A cura di: Dafne Vicario

6. The addiction by Abel Ferrara, 1997.

“Sproul ha detto che non siamo peccatori perché pecchiamo, ma pecchiamo perché siamo peccatori. In termini più accessibili, non siamo malvagi perché facciamo del male, ma facciamo del male perché siamo malvagi. Ora, che scelte hanno persone come noi? Non sembra che ne abbiamo.”

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Questa citazione di Sproul è la sintesi perfetta di ciò che The Addiction vuole essere. Ovvero un trattato metafisico sul bene e il male, che abbraccia temi come il libero arbitrio, la redenzione e  la dipendenza (come il titolo stesso suggerisce) e per questo entra di diritto nella nostra top sui film più filosofici. A tale scopo, Abel Ferrara decide di utilizzare il vampirisimo come metafora del lato oscuro di una umanità decadente e corrotta. Il male viene rappresentato come una realtà ineluttabile che si nasconde al di sotto di una apparenza buonista e sofisticata. Ferrara ci racconta tutto questo tramite il doloroso percorso della protagonista, una giovane studentessa di filosofia che viene morsa da un vampiro e dovrà assecondare la sua sete di sangue. La ragazza, interpretata da una eccezionale Lili Taylor troverà presto aiuto da parte di un emancipato vampiro Newyorkese (Christopher Walken) che la assisterà in questa difficile fase di transizione tra dipendenza fisica ed interrogativi morali.

Il risultato è una pellicola profondamente intrisa di filosofia esistenzialista e nichilista che fa della dialettica e dell’ introspezione la sua caratteristica principale. Nota positiva anche la fotografia in un bianco e nero allucinato ed espressionista che contribuisce a rendere il film una vera perla rara all’interno di un genere, quello del cinema sui vampiri, che manca generalmente del benché minimo approfondimento intellettuale (tranne forse il solo “Solo gli amanti sopravvivono di Jim Jarmusch). The addiction è sicuramente un film complesso, un riuscitissimo mix di decadentismo, nichilismo e vampirisimo che stimola l’introspezione e che lascia nello spettatore un senso di malessere interrogativo. Ma anche una consapevolezza innegabile, ovvero che:

“L’autoconoscenza è la distruzione del sé”.

A cura di: Luca Valentini