L’Uomo nel Buio: Man in the Dark, Recensione del film con Stephen Lang

L'Uomo nel Buio: Man in the Dark, rappresenta il ritorno del temibile uomo cieco interpretato da Stephen Lang. Ecco la nostra recensione

L'Uomo nel Buio Man in the Dark
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L’Uomo nel Buio: Man in the Dark diretto da Rodo Sayagues, sequel dell’acclamato film del 2016, rappresenta il secondo ed ultimo capitolo della saga con protagonista Norman Nordstrom, ex navy seal non vedente con un terribile segreto da nascondere. Si tratta di un uomo burbero, furioso col mondo e che mal sopporta le altre persone. Ritenuto, nel primo film, una semplice vittima da derubare da 3 impreparati giovani, ben presto si trasformerà nel loro carnefice. Ecco dunque il suo ritorno in grande stile.

Trama

Ritroviamo Norman a vivere con sua figlia, Phoenix. Intento ad insegnarle l’arte della sopravvivenza, oramai assolutamente paranoico nei confronti del mondo, il nostro protagonista tiene segregata la piccola per paura che le possa accadere qualcosa. Tuttavia in una rara occasione nella quale esce per recarsi alla sua vecchia casa andata a fuoco anni addietro in una tragedia che le ha portato via sua madre, la bambina verrà presa di mira da una banda criminale specializzata nel mercato di organi. La casa di Norman sarà dunque nuovamente assaltata e lui dovrà difendere sè stesso e la sua piccola.

Cast

  • Stephen Lang: Norman Nordstrom / L’uomo cieco
  • Brendan Sexton III: Raylan
  • Madelyn Grace: Phoenix
  • Adam Young: come Jim Bob 
  • Bobby Schofield: Jared
  • Rocci Williams: come Duke
  • Christian Zagia: Raul 
  • Steffan Rhodri: Il Chirurgo
  • Stephanie Arcila: Hernandez,
  • Diana Babnicova: Billy 
  • Fiona O’Shaughnessy: Josephine

Trailer

L’Uomo nel Buio: Man in the Dark – Recensione [NO Spoiler]

In L’Uomo nel Buio: Man in the Dark è evidente il cambio di mano dietro alla macchina da presa. Fede Alvarez, autore del primo film e produttore di questo secondo, lascia il posto a Rodo Sayagues, regista alla sua opera prima che aveva collaborato con il collega nella stesura della sceneggiatura del precedente capitolo oltre che ad altri lavori della sua carriera.

Sebbene le premesse dei due film siano abbastanza simili, con la casa di Norman presa di mira da persone che evidentemente non hanno idea di chi abbiano di fronte, con l’andare avanti dei minuti questo secondo capitolo abbandona i sentieri tracciati da Alvarez e si avventura in un revenge movie con alcuni momenti (notevoli peraltro) smaccatamente horror aiutati nella loro riuscita da un ottimo lavoro di make up e inquadrature che, seppur basilari e scolastiche, fanno il loro dovere.

Ovviamente non vi faremo spoiler di alcun tipo ma sappiate solamente che vedrete almeno un paio di scene abbastanza dure dal punto di vista visivo alle quali, se siete freschi di visione del primo film, non siete del tutto preparati. Anche la scelta degli “invasori” è propedeutica a questa volontà registica.

Se infatti nell’opera di Alvarez ad assaltare la casa di Norman erano tre ragazzi sprovveduti che si trovavano di fronte ad un rancoroso ex soldato non vedente, in L’Uomo nel Buio: Man in the Dark a complicare la vita del veterano è una banda di criminali armati e pericolosissimi. Base sceneggiatoriale che permette al tasso di violenza di poter crescere in maniera importante.

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In modo furbo e intelligente, Sayagues decide di creare un climax che parte da momenti violenti ma non esagerati all’inizio per arrivare all’esplosione finale al quale lo spettatore è condotto per mano durante l’arco del film. Quando difatti dopo non molto assistiamo alla morte di un cane, scelta spesso evitata in altre pellicole simili, capiamo subito che il film non ci farà sconti. E cosi sarà.

Buona anche la tensione creata. Come detto, è Phoenix la protagonista, lei viene presa di mira e dunque è lei quella ad essere in pericolo. In diversi momenti la vedremo fuggire e rischiare la vita. Le scene nelle quali dunque la piccola si trova in maggiore difficoltà, l’ansia cresce in modo curato e intelligente. Certo, parliamo sempre di un regista emergente, che sceglie spesso la via più scontata e “furba” per avere il massimo risultato possibile in termini di tensione. Tuttavia almeno 2 scene vi terranno col fiato sospeso in maniera genuina.

Il tutto grazie soprattutto al lavoro della piccola Madelyn Grace, interprete della figlia di Norman, che molte volte si trova al centro della scena e riesce a tenere sulle sue spalle il peso dell’intero film. Come anticipato, l’ex navy seal ha infatti addestrato la bambina nell’arte della sopravvivenza. In diverse scene la vediamo sicura e concentrata nel cercare di utilizzare i dettami che il padre le ha insegnato per portare a casa la pelle. Quando però la situazione si fa pericolosa, la paura e la disperazione fanno capolino sul viso dell’attrice che riesce in ogni momento ad essere credibile.

Dal punto di vista prettamente registico, l’avvicendamento dietro la macchina da presa è evidente quasi in ogni momento concitato del film. Sayagues, diversamente da Alvarez, punta allo shock visivo mostrando, con primi piani intensi e movimenti calibrati, la violenza in modo decisamente più esplicito rispetto al collega.

Se nel primo Man in The dark il nodo focale attorno al quale ruotava tutta la messa in scena era la cecità del nostro protagonista e la sua capacità di trarre vantaggio da questo handicap, in questo secondo la forza alle scene viene da elementi più classici del cinema di genere. Un corpo carbonizzato, un arto staccato di netto con un machete, occhi cavati. Tutto viene mostrato in modo nitido, senza filtri di sorta nè abbellimenti. Il gioco luce-ombra del primo film viene meno man mano che la storia prosegue e sempre più il regista cerca di toccare corde decisamente più primordiali.

La fotografia gioca su questi elementi, dando una linea di continuità rispetto al primo film. I colori freddi e le tonalità grigie la fanno da padrone, esattamente come nel precedente capitolo. Tuttavia è lo scopo di questi colori che cambia. Se infatti nella pellicola del 2016 servivano per portarci dentro alla vita da non vedente di Norman, in questo servono a mostrarci il putrido mondo nel quale la piccola Phoenix finisce suo malgrado. Esattamente come per la regia, la fotografia è usata Sayagues per mostrare quello che vuole far vedere in modo più diretto e meno metaforico. In ogni caso si vede che la mano dietro alla fotografia è la stessa del primo film, ovvero sia quella di Pedro Luque.

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Non mancano ovviamente i lati negativi. Il fatto che non si faccia menzione di quanto accaduto nel primo film non rendendo chiaro se Norman abbia pagato per le atrocità commesse o lo abbia fatta franca, da un certo punto di vista destabilizza. Non sappiamo neanche bene quanto tempo sia intercorso tra le due opere. Ci viene lanciato infatti un rimando temporale all’inizio ma senza punto di riferimento in tal senso. Da un certo punto di vista sembra che il primo Man in the Dark non sia mai accaduto e questo non può che infastidire una persona che, apprezzandolo, voleva sapere quali conseguenza avrebbero avuto le gesta che Norman ha compiuto nel capitolo precedente.

L’inesperienza del regista Rodo Sayagues inoltre è tremendamente visibile in diverse sequenze dove tenta di passare da una direzione semplice e scolastica che contraddistingue gran parte del film, a momenti complessi e articolati che in molti casi finiscono per creare confusione richiedendo allo spettatore una notevole sospensione dell’incredulità.

Sebbene la storia sia interessante e alcuni colpi di scena ben articolati, la volontà di rimarcare e forzare alcuni sentimenti negli spettatori in determinate sequenza appare fin troppo evidente dando vita a dialoghi di bassa lega. Tuttavia queste sono fortunatamente la minor parte delle scene del film. Nel resto il regista tiene saldamente in mano la situazione portando a casa un’opera che nel complesso risulta riuscita, divertente e godibile.

Menzione per il trattamento riservato al protagonista Norman. Come sappiamo è un ex navy seal non vedente. Un uomo tosto, pericoloso e paranoico, ma pur sempre una persona che si è macchiata di crimini indicibili con un grave handicap. Il rischio nel quale il regista poteva cadere era quello di dimenticarsene e rendere il personaggio di Stephen Lang una sorta di Daredevil.

Invece anche nelle scene più concitate, nelle quali a Norman è richiesto uno sforzo notevole per portare a casa la pelle sua e di Phoenix, questo particolare non passa mai in secondo piano. La sua cecità è un fattore, in ogni caso. Inoltre non diventa mai un eroe positivo. Sebbene tenti di difendere la sua piccola, l’ex soldato mantiene la sua indole e il suo carattere che lo hanno reso così spaventoso nel primo film. E questo non può che essere un punto a favore del film.

Che ne pensate? Avete già visto L’Uomo nel Buio: Man in the Dark? Diteci la vostra!