I peggiori album musicali di sempre, Parte 1 [ASCOLTA]

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Credits: Guns N' Roses / YouTube
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Scopriamo alcuni tra quelli che vengono considerati gli album musicali più inascoltabili e meno riusciti della storia

Molti sono gli album musicali che spesso vengono citati come punti particolarmente bassi occasionalmente raggiunti dalla discografia mondiale. Chiaramente, i criteri adottati sono differenti di volta in volta. C’è considera poco riuscito un album “commerciale”, oppure un lavoro particolarmente sperimentale o alternativo ma eccessivamente criptico.

Per le epoche e i generi differenti, quindi, capita spesso che opinioni contrastanti si soffermino su una varietà piuttosto ampia di titoli. Ci sono alcuni lavori, tuttavia, che vengono citati più di frequente, anche se per ragioni variegate. Magari non sono stati capiti all’era della loro pubblicazione; forse, rivisti oggi, suonano un po’ “patetici” o superficiali, o eccessivamente ingenui.

Nella lista che iniziamo a stilare qui cercheremo di elencare non gli album di fatto più “brutti” (sempre ammesso che si possa stabilire in via definitiva una cosa del genere) ma quelli considerati tali, negli anni, da ascoltatori e critici. Ascolti magari da rivalutare, o da seppellire definitivamente nell’oblio, chissà? Cominciamo subito con i primi cinque di questa rubrica, che proseguirà ogni settimana.

The Beatles – Yellow Submarine OST, 1969

Il problema principale, nell’album che racchiude la colonna sonora (incompleta) del film d’animazione dei Beatles, non sta stanto (chiaramente) nella qualità delle composizioni presenti, ma nella confusione con cui si presentano. Brani già editi (All You Need Is Love e Yellow Submarine) si associano ad inediti straordinari ed inspiegabilmente “relegati” a questa tracklist.

Brani come Hey Bulldog e It’s All Too Much rimangono quindi per anni esclusiva dei possessori di questo LP, assieme ad un lato b dedicato alle orchestrazioni composte per il film da George Martin. Un’operazione un po’ sconclusionata, che porta questo Yellow Submarine a restare un caso a parte nella discografia dei Beatles.

Bob Dylan – Self Portrait, 1970

Famose sono le prime parole della recensione che, al tempo, Greil Marcus fece di questo disco: “Cos’è questa merda?” Il che, detto di un gigante come Bob Dylan, è tutto dire. Il punto è che all’epoca il futuro premio Nobel è già talmente “avanti” da trovarsi in difficoltà nel dare una forma concreta alle sue esigenze espressive, preferendo mettere a disposizione del pubblico una sorta di “bozza” del suo lavoro.

Risultato: un disco con un misto confuso e anarchico di cover, versioni live (finte) di canzoni già edite, demo che sembrano lasciati a metà e rivisitazioni di vecchi brani. Insomma, un bailamme indescrivibile che nel 1970 viene interpretato come l’esplosione senza controllo dell’ego mastodontico del cantante, nonché il suo (preventivato) crollo. La storia poi, per fortuna, andrà diversamente.

Lou Reed – Metal Machine Music, 1975

Di questo disco, realizzato dallo storico cantante puramente come dispetto nei confronti dei discografici, s’è detto e s’è scritto un po’ di tutto. Per alcuni, un lavoro completamente geniale, fuori dagli schemi ed imprevedibile. Per altri, un gigantesco dito medio alzato contro chiunque, critica e pubblico, fatto di puro rumorismo e suoni elettronici abrasivi senza volto.

Se pure è vero che oggi Metal Machine Music viene considerato come un classico della musica sperimentale, è anche vero che lo scopo di questo disco non è chiaramente quello di essere “ascoltato”. Un concetto che di certo potrà fare felici Karlheinz Stockhausen o John Cage, ma che negli anni ’70 lascia spaesata gran parte della comunità musicale.

Lou Reed feat. Metallica – Lulu, 2011

Lou Reed compare per la seconda volta in questa lista come nome portante di questo progetto, realizzato nel 2011 con… i Metallica. Difficile, per l’epoca, pensare a due nomi meno improbabili da associare. Eppure, l’album sperimentale realizzato dallo storico artista con la band metal californiana, basato in gran parte su poesie recitate sopra basi dal carattere post-metal, viene alla luce comunque.

Peccato che, nonostante il coraggioso tentativo di uscita dalla comfort zone per entrambi gli artisti, il risultato non convinca pressoché nessuno. La fanbase dei Metallica, specie quella già disillusa da un ventennio, dopo l’uscita del Black Album, rimane completamente alienata. Quella di Lou Reed bé, forse è l’unica a riuscire un minimo a capire la natura del tentativo, e spingendosi comunque poco oltre.

Guns N’ Roses – Chinese Democracy, 2008

La prima cosa da dire del tanto vituperato Chinese Democracy è questa: non è un brutto disco “rock”. Pur essendo ben lontano da quello che a fine anni ’00 molti ancora considerano come lo stile “classico” dei GNR, la cosa che il disco di per sé sbaglia maggiormente (per colpa della band, si intende) è farsi attendere troppo.

Dopo quindici anni o giù di lì i fan della mitica band si aspettano un ritorno grandioso, per ritrovarsi invece tra le mani un lavoro impreciso, poco ispirato e non particolarmente coinvolgente. I tempi di Paradise City e Welcome to the Jungle sembrano eclissati e il successo del gruppo inizia a declinare definitivamente, presso i fan, proprio a partire da questo lavoro.

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