Ico | Recensione dell’oscuro puzzle game di Japan Studio

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Ico: un ragazzo, una maledizione, una fortezza labirintica e una prigioniera da salvare

Pochi giochi dei primi anni ‘00 sono rimasti iconici quanto Ico, titolo mitico e per certi versi unico. Realizzato come ambizioso connubio tra arte, gameplay e costruzione di atmosfere pietrificanti, il gioco unisce tradizione giapponese, motivi survival horror e temi fiabeschi.

Il gioco viene progettato da Fumito Ueda a partire dal 1997, con l’idea di un concept semplice ed essenziale legato alla comunicazione “silenziosa” tra un ragazzo e una ragazza, che è infatti quel che avviene nel gameplay.

Ico è un ragazzo che, considerato “maledetto” perché nato con in testa un paio di corna. Viene rinchiuso in una gigantesca fortezza, dove è lasciato a morire dentro una bara sigillata. Grazie ad una inattesa scossa di terremoto si ritrova libero, ma isolato e in trappola.

Il suo scopo, solo e unico: uscire. Nell’inoltrarsi tra i vari ambienti dell’immensa struttura, Ico si imbatte in Yorda, a sua volta tenuta prigioniera. È la figlia della regina del castello, una strega, che intende sfruttarla per esterndere magicamente la durata della propria vita.

I due devono quindi fuggire tra stanzoni immensi, meccanismi complessi e trappole inaspettate. Ico deve trovare le soluzioni ad una serie di puzzle per consentire passaggi, aprire porte o trovare percorsi nascosti. Nel mentre, Yorda viene insidiata da misteriose creature fatte d’ombra.

Un gameplay del gioco

Ico, un gioco atipico e leggendario

La difficoltà del gioco, come tutti ricorderanno, sta proprio in quest’ultima trovata. Yorda non può proseguire senza Ico e lui non può andarsene senza di lei. La accompagna tenendola per mano, dovendola però abbandonare per arrampacarsi in luoghi inaccessibili e risolvere enigmi.

Quando lo fa, quasi matematicamente le creature d’ombra arrivano e cercando di trascinare Yorda nell’oblio. Ico deve accorrere a salvarla, difendendola dalle creature sempre diverse e sempre più pericolose.

Se quindi la maggior parte del gioco si prefigura come un puzzle-game che prende parecchio da Tomb Raider, non si fanno mancare ampi elementi adventure e horror, culminanti nello scontro finale con la regina, villain tanto grottesco quanto oscuro.

Per il 2001, anno della sua uscita, Ico è a dire poco un gioco atipico. Contenente pochissimi dialoghi, prevede un gameplay che in ogni momento è studiato per far sentire il giocatore perduto, ma allo stesso tempo completamente responsabile dell’esito dei suoi tentativi di uscire dalla fortezza.

L’atmosfera dell’ambiente, emergente da ogni elemento architettonico ma anche dall’essenzialità delle musiche e dagli echi di suoni e rumori, sovrasta tutto quanto e si impone, solenne e minacciosa, su ogni secondo di gioco.

Ciò rende tanto più memorabile, anche a distanza di tanti anni, un gioco leggendario: un esperimento riuscito, un tentativo coraggioso di allontanarsi dalle logiche mainstream e un exploit artistico di come pochi, nel mondo videoludico, se ne vedono.

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ICO | Testato su PlayStation 4 – via PlayStation Now –

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RECENSIONE
VOTO
9.6
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Avatar di Andrea Campana
Scrivo di musica, cultura, arte, spettacolo e cinema. Ho pubblicato su SentireAscoltare, OndaRock, Cinergie, Digressioni, Radio Càos, Rock and Metal in My Blood.
ico-recensione-gioco-japan-studioIn un panorama videoludico in cui si faceva la guerra al fotorealismo (come tutt'oggi) e ai gameplay frenetici, Japan Studio partoriva ICO, un gioco tanto poetico quanto calcolato. Una storia grottesca che trascina il giocatore in un mondo cupo e tetro dandogli, in modo perfetto, la responsabilità delle proprie azioni di gioco.