Garbage – No Gods No Masters | Recensione

Garbage No Gods No Masters
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No Gods No Masters si mostra, nella sua interezza, come un album estremamente altalenante, dotato di momenti estremamente elevati ed altri assolutamente meno memorabili.

Con un inno ai diritti civili e contro la prevaricazione di etnia e genere tornano più agguerriti che mai i Garbage. Con No Gods No Masters l’ormai veterana band alt rock fa capolino sulle scene con un album dalle tematiche incisive tanto quanto le “nuove” vesti sonore indossate.

E’ la carismatica frontman Shirley Manson ad imprimere nel cemento l’impronta concettuale di un album che si assume la responsabilità di impostare una narrativa che trova il suo fulcro nelle diverse grandi lotte sociali del ventunesimo secolo.

Con No Gods No Masters i Garbage si impegnano così ad esprimere la tensione umana nelle lotte al sessismo e al patriarcato. E al razzismo e all’intolleranza in senso più generale. O, ancora, al prevaricante strapotere dei pochi sui molti.

Un manifesto programmatico, quello della band statunitense, che raccoglie in se gli “highlight” del ventunesimo secolo. Lo fa mostrando ancora una volta la capacità dell’arte musicale di divenire cronistoria dell’umanità e dei suoi tempi, della società e dei suoi tumulti interiori e non.

Una narrazione che in No Gods No Masters si veste di colori cupi e violenti al tempo stesso. Di elettroniche a tinte fosche ed improvvise pennellate di rosso sanguineo a definire un album portatore di quei Garbage in una veste più elettronica, incisiva, industrial e cinematica.

Un abito intarsiato di diversi richiami ai giganti della storia della musica alt/elettronica (su tutti artisti del calibro di Depeche Mode o Gary Numan) le cui soluzioni vengono assorbite, digerite e ripresentate in una veste più fresca. Una veste personalizzata quanto basta da non suonare unicamente freddo citazionismo.

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Tra fresche elettroniche minimali e “vecchi sound” rinnovati

Con l’apertura affidata a The Men Who Rule the World i Garbage mostrano un chiaro biglietto da visita all’ascoltatore presentando un pezzo dal sound ironico e dissacrante. Un sound ben studiato nell’arrangiamento e trainato da una Manson “caricata a pallettoni” in totale botta carismatica.

La miscela di maleducazioni funk/rock ed elettroniche industriali della opener stupisce brillantemente. Invece, The Creep abbassa immediatamente gli standard mettendoci di fronte ad un pezzo dalle idee consumate, grossolane e dal sound decisamente poco lavorato.

Un episodio dimenticabile con dei Garbage che trovano subito redenzione con la fascinosa ed intima Uncomfortably Me, delicata ballata electro/pop dolcemente tormentata e orecchiabile. Se con The Wolves Manson and co. ripetono i medesimi errori di The Creep, inciampando in un pezzo grezzo e assolutamente trascurabile, con Waiting for God la band sembra prendere definitivamente fiducia con il suo “nuovo” sound.

Pseudo ballata dalla veste delicatamente electro/dark, con la loro quinta traccia i Garbage esplorano le toccanti possibilità di un minimalismo estremamente curato donandoci una traccia intensa, toccante e memorabile.

Un’opera, se non memorabile, senza di dubbio dotata di enorme fascino

Con Godhead prosegue l’onda verde di un No Gods No Masters ormai ben avviato e con idee che iniziano ad assumere una certa solidità. Pezzo vicino alla sponda più industriale dei Depeche Mode di Playing The Angel, spicca per cura nel sound e bontà delle idee, alternando avvolgenti elettroniche ad e improvvise carismatiche bordate chitarristiche. Il tutto impreziosito da un ritornello catchy e radiofonico.  

Dopo l’elegante e suadente Anonymus XXX, pezzo in equilibrio tra innesti elettronici e “spagnoleggianti” sound acustici, con A Woman Destroyed va nuovamente alla scoperta di vesti minimali e dal tono angoscioso e dark, garantendo un pezzo ricercato e di impatto.

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Flipping the Bird ci riporta sull’onda di uno spensierato e luminoso pop anni novanta, scuotendo l’oscurità generale dell’album con una breve boccata d’aria che trova coerente prosecuzione con la title track No Gods No Masters.

Il finale è affidato alla delicatissima ed intima This City Will Kill You. Una elegante ballata dal sound a metà tra il leggiadro e il malinconico; che, ancora una volta, mostra dei Garbage estremamente a loro agio nel districarsi in sound più minimali, sintetici e sensibili.

No Gods No Masters: un album diviso tra incertezze ed idee brillanti

No Gods No Masters si mostra, nella sua interezza, come un album estremamente altalenante, dotato di momenti estremamente elevati ed altri assolutamente meno memorabili. Un lavoro che ci mostra dei Garbage dal doppio volto.

Divisi marcatamente tra un sound più elettronico, intimo e cinematico (capace di regalarci pezzi dall’indubbia qualità) e produzioni, invece, più ancorate al “passato” sound della band, risultando così in opere poco ispirate, sbiadite ed incapaci di lasciare il segno.

Il coraggio e la forza delle tematiche portanti dell’album non sempre sono riuscite a trovare riscontro anche in una composizione che, probabilmente, avrebbe necessitato di maggiore voglia di osare e di portare avanti le buonissime nuove idee messe in mostra.

Nonostante ciò con No Gods No Masters ci ritroviamo di fronte ad un’opera, se non memorabile, senza di dubbio dotata di enorme fascino. Una piccola fessura sulle scalpitanti idee di una band che, forse, dopo quasi trent’anni potrebbe trovare il coraggio di rinnovarsi ed osare ancora di più.