Sufjan Stevens – Convocations | RECENSIONE

Credits: Cabrit / YouTube
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L’ultimo, mastodontico sforzo di Sufjan Stevens è un capolavoro ambient colmo di nostalgia e rimpianto

Che Sufjan Stevens fosse tra gli artisti più singolari del panorama “indipendente” internazionale vi era già la sua ventennale carriera a dimostrarlo. Con Convocations, però, l’artista di Detroit si tuffa in un percorso “estremo” alla ricerca di una musica dal taglio quasi mistico.

Sufjan Stevens ci proietta così un viaggio a cinque tappe alla scoperta del microscopico dell’animo umano. Una dimensione, questa, snocciolata in modo intimo fino ad aprire porte verso una conoscenza “universale”, un lavoro dal taglio profondamente spirituale. Un misticismo, quello di Convocations, che vede nella morte del padre dell’artista il detonatore principale.

Detonatore capace poi di dare il via ad un percorso musicale minimale ed immersivo, criptico e allo stesso tempo immaginifico. Quella proposta da Sufjan Stevens è un’opera dall’aspetto quasi grezzo, un fluire di idee che vengono distribuite in cinque diversi lunghi movimenti. Un totale di due ore e mezza di scoperta di scape sonore che vagano nella storia della musica sintetica ed elettronica.

Un lavoro, quello di Convocations, scevro di tutti quei paletti e punti di riferimento che tendenzialmente vanno a definire l’esperienza musicale dell’età contemporanea. Si dà vita ad un lavoro enigmatico, ove perdere il senso dell’orientamento alla ricerca di un filo conduttore sonoro ed emotivo diviene estremamente facile.

Privo di riferimenti ritmici e percussivi, ripulito dall’intervento umano della voce e dal calore della musica acustica, Sufjan Stevens si proietta in un percorso sintetico. Percorso che, in tutto simile ai cinque stadi del lutto, porta con sé una narrazione che verte ad uno ed un solo scopo: la comprensione.

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La comprensione ed accettazione di una perdita; la gioia per la vita in nostro possesso; la conoscenza del mondo circostante, delle sue bellezze e dei suoi misteri. Obiettivo unico di un percorso tortuoso e che richiede, nell’ascoltatore, la massima attenzione ed immedesimazione.

Quella di Convocations è musica che può essere apprezzata solo lasciandosi totalmente andare all’esperienza proposta. Un album da bere tutto di un sorso senza badare a tempi, confini, limiti musicali e non. Un’enorme e spaesante suite dai lembi labili ed indistinti.

Un album da bere tutto di un sorso senza badare a tempi, confini, limiti musicali e non

Così, i cinque movimenti in cui si divide l’opera di Sufjan Stevens si manifestano con differenti nature tutte coerenti con le fasi del percorso. Partendo dalle sonorità solenni, distese e più accessibili del primo movimento, Meditation, continuando poi nell’ermetica landa di glitch e noise del più angusto e malinconico Lamentation.

Dalle luci improvvise di Revelation e Celebration, mediane tra i due precedenti capitoli e divise in attimi di follia sintetica e distensioni sonore, ai numerosi colori del finale, affidato ad Incantation. Ciascun movimento, diviso a sua volta in dieci più piccole sezioni, offre così un viaggio in parte coerente ed in parte dal percorso “poco chiaro”.

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Se di fatto i primi due capitoli sembrano perfettamente in linea con un percorso sonoro preciso e perfettamente legato ad un significato, negli ultimi tre episodi le sonorità si miscelano rendendo più ardua la distinzione tra messaggi e intenzioni, tra differenti fasi del percorso e le sue narrazioni.

Con Convocations Sufjan Stevens ci propone una vera e propria “piece” di arte contemporanea, un prodotto distante dalla musica di ampia fruizione e rivolto a chi vuole, invece, andare alla scoperta di un nuovo modo di “ascoltare narrazioni”.

Un prodotto dalla natura grezza, quasi composto di impeto e poi, privo di labor limae, tagli o altri artificiosi meccanismi, gettato in pasto all’ascoltatore. Un meccanismo, questo, che con i suoi pregi, difetti e rischi calcolati dà vita ad un prodotto che rappresenta in modo brutale e sincero il cosmo di sensazioni che l’autore aveva bisogno di rappresentare ed esternare.

Un pezzo d’arte che sembra concepito più per la necessità personale di dare sfogo a delle sensazioni che con il pensiero di compiacere chi poi quel viaggio lo avrebbe affrontato, com’è anche giusto che sia. Nei suoi limiti e nei suoi splendori, Convocations è un criptico e per pochi pezzo di arte dalla natura sincera e distante dalle dimensioni “artefatte” dell’operato artistico contemporaneo.

Sufjan Stevens – Convocations / Anno di pubblicazione: 2021 / Genere: Ambient