Strofe | “Giovanni Telegrafista” di Enzo Jannacci

Enzo Jannacci
-Credits: Enzo Jannacci / Wikipedia /
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Giovanni Telegrafista è una delle canzoni più importanti e magnifiche della storia della musica leggera italiana. E se tutti conosciamo Enzo Jannacci per Vengo anch’io, no tu no, è singolare che questa canzone sia stata oscurata nella memoria proprio dal celeberrimo singolo. Prende infatti l’ombra sul lato B di un vinile uscito nel 1968 che contiene solo i due brani. L’ironia, lo sberleffo del versante più luminoso lasciano quindi spazio, sull’altra faccia del disco, ad un vero e proprio malinconico capolavoro.

Giovanni Telegrafista è un brano legato a doppio filo con la cultura brasiliana. Il testo è infatti la traduzione di una lirica di Cassiano Ricardo, João, o telegrafista, scritta negli anni quaranta del Novecento. Parole che raccontano con un’immediatezza senza luogo quel tempo in cui le informazioni iniziarono a viaggiare molto più veloce di un uomo che rimane soffocato dal mare di notizie.

Il Brasile rivive però anche in quella che sembra una lontana citazione della Samba De Una Nota So del maestro Antonio Carlos Jobim. In quel piri-piri-piri-piri-pipi che imita la pulsazione del telegrafo Jannacci trova un timbro vocale metallico, percussivo, capace di evocare spettralmente delle clave, dei tamburi. Tanto che la struttura ritmica del telegrafo di Jannacci non è così dissimile da quella di una samba, e ne conserva il carattere sincopato, in controtempo.

Giovanni Telegrafista e nulla più

Stazioncina povera, c’erano più alberi e uccelli che persone. Sembra una cornice quasi poetica, immersa in una natura distante dall’uomo, ma in realtà Giovanni e il suo cuore urgente sono nel centro nevralgico di un mondo sempre più connesso. Ma lui non è nulla più che un telegrafista, non l’attende nessuna promozione: il suo destino è continuare a battere su quel solo tasto.

I due poeti, Jannacci e Ricardo, continuano a descrivere il protagonista:

Ellittico, da buon telegrafista
tagliando fiori, preposizioni,
per accorciar parole, per essere più breve,
nella necessità, nella necessità.

In poche righe hanno già presentato i due caratteri essenziali di un buon telegrafista. La rapidità, l’urgenza di trasmettere una notizia e la capacità di essere sintetico, tagliando qualsiasi cosa non sia necessaria, nell’accostamento così poetico di fiori e preposizioni nella voce quasi rotta di Jannacci.

Urgenza e rapidità stilistica

Ed è proprio l’ellissi la figura retorica principale a caratterizzare lo stile di queste parole. Così, con un ellissi temporale, l’amore di Giovanni per Alba viene descritto in un incontro e in un addio. Alba, la conoscenza che cambia la vita di Giovanni, una ragazza mulatta e nient’affatto mattiniera, se ne andò via proprio una mattina. Le luci di una lontana e grande metropoli giocano in antifrasi con la radura in cui Giovanni è costretto dal suo lavoro di telegrafista. Così quegli alberi con gli uccelli dell’inizio portano con loro l’idea semantica delle radici, dell’impossibilità di muoversi ed inseguire un amore.

Conobbe Alba, un’alba poco alba
neppure mattiniera, anzi mulatta
che un giorno fuggì unico giorno in cui
fu mattutina
per andare abitare città grande, piena luci, gioielli.

Persino in quelle che potrebbero essere le memorie d’amore di Giovanni Telegrafista lo stile rimane sintetico, senza congiunzioni. Jannacci esce ed entra quindi continuamente dal personaggio di cui canta la solitaria sorte, musicando un testo in soggettiva che azzera la distanza tra l’autore e Giovanni.

Storia viva e urgente! Ah, inutilità alfabeto morse!

Quel codice attraverso cui Giovanni Telegrafista filtra il suo mondo e quello che lo circonda diventa inutile quando non riesce a trovare Alba in nessun luogo provvisto telegrafo. Continuano a cadere parole, il discorso è ridotto all’essenziale, la massima urgenza è trovare Alba. Ma nel momento più concitato, un filo di rassegnazione nella voce di Jannacci intona:

quando invecchia cum est dolorosa urgenza!

Quanto è dolorosa un’urgenza non soddisfatta mentre gli anni passano e ti invecchiano. Così Giovanni Telegrafista, e nulla più, torna a battere sul suo tasto. Torna di nuovo quel metallico piri-piri, quasi un’idea fissa di berlioziana memoria. E questi anni che passano vengono di nuovo raccontati per progressive ellissi temporali:

Per le sue mani passò mondo, mondo che lo rese urgente,
crittografico, rapido, cifrato.
Passò prezzo caffé,
passò matrimonio Edoardo VIII, oggi duca di Windsor,
passarono cavallette in Cina,
passò sensazione di una bomba volante,
passarono molte cose ma tra l’altro
passò notizia matrimonio Alba con altro.

Una modernità sempre più rapida che soffoca Giovanni Telegrafista

Anni sempre più veloci che lo rendono crittografico, rapido, cifrato. Un climax di tre aggettivi che da urgente ed ellittico trasformano Giovanni Telegrafista in cifrato. Un uomo che comunica per sigle, per cifre e simboli, massimizzando la rapidità. E gli eventi enumerati ci forniscono delle coordinate storiche ben precise. Il prezzo del caffè affondò con il crollo della borsa di Wall Street nel 1929. Il matrimonio di Edoardo VIII, uno dei matrimoni più scandalosi della storia d’Inghilterra, ci fu nel 1937. L’invasione di cavallette in Cina a cui si riferisce il testo è presumibilmente quella della grande carestia del 1942. La sensazione di una bomba volante evoca complessivamente il secondo conflitto mondiale, e in particolare le due bombe atomiche dell’agosto del 1945.

Quasi vent’anni di storia in poche sentenze: siamo al culmine della sinteticità, Giovanni Telegrafista riceve e trasmette notizie con una rapidità che ormai valica lo stile ellittico della lirica. Un amore raccontato in un incontro e un addio, anni e anni di storia raccontati in pochi eventi. Ma tra tante notizie solo una merita una punteggiatura diversa di Jannacci, che articola quasi parola per parola la notizia del matrimonio Alba con altro. Un parallelo perfetto con il matrimonio di Edoardo VIII. Un unione che all’epoca fu scandalosa, ma che realizzò un amore contro i dettami della casata reale. Il matrimonio di Alba è invece doloroso perché sancisce definitivamente l’impossibilità del loro amore.

Giovanni Telegrafista

quello dal cuore urgente,
non disse parola solo, tre rondini nere

(senza la minima intenzione simbolica)
si fermarono sul singhiozzo telegrafico: <<Alba, è urgente…
>

Con quello che è ormai un epiteto, prima della conclusione Jannacci e Ricardo ci ricordano del cuore urgente del protagonista. Nessuna parola, non viene proferito nessun commento da un uomo che ormai è più telegrafo, che uomo. Il singhiozzo del pianto non ha una cadenza umana, ma si è conformato con la metrica assillante del telegrafo. Allora il singhiozzo nella voce di Jannacci inserisce una cesura perfetta proprio tra “singhiozzo” e “telegrafico”, suggerendo un fonosimbolismo che arricchisce già le figure retoriche della strofa.

Tornano infatti gli uccelli dell’incipit, ma ora sono tre rondini nere. E anche se non c’è alcuna intenzione simbolica, quelle rondini che svolazzavano in quella natura orba di umanità ora si materializzano nel telegrafo, in quelle virgolette che introducono un messaggio per Alba, che però rimane incompiuto.

La naturale conclusione di questo brano è quindi quella martellante evocazione del telegrafo con cui Jannacci aveva aperto la canzone e con la quale, circolarmente, la chiude.

Riascoltare questa canzone in questi giorni di isolamento, di distanza, in cui l’unico collegamento tra le persone è assicurato dalla tecnologia, ha un valore molto particolare. Ed è urgente riascoltare questa canzone così piena di saudade, di presenza dell’assenza, proprio nel giorno in cui ricordiamo la morte di questo artista straordinario. Viene un po’ di più il magone nel piangere questo cantore senza tempo dell’uomo della modernità.

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