David Lynch: tutti i film dal “peggiore” al migliore

David Lynch è senza dubbio uno dei registi più visionari della storia. Nel giorno del suo compleanno lo omaggiamo stilando la nostra personale classifica

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Una storia vera (The Straight Story, 1999)

the straight story

Il film che non ci si aspetta da un regista come David Lynch. Per la prima volta, l’autore di Twin Peaks abbandona le dimensioni oniriche, visionarie e claustrofobiche, i suoi personaggi grotteschi e le domande senza risposta a favore di una storia apparentemente “normale” e lineare, arrivando a creare così il road-movie più lento della storia del cinema.

Il protagonista è Alvin Straight, un anziano di 73 anni che vive con la figlia Rose a Laurens, piccolo centro agricolo dell’Iowa. Presto la tranquilla quotidianità di Alvin verrà interrotta dalla notizia che Lyle, suo fratello, ha avuto un infarto. Il protagonista decide così di fargli visita per appianare un decennio di divergenze passate. Non ha la patente, ma non vuol farsi aiutare da nessuno, mettendosi in viaggio su un tagliaerba a motore.

Il binomio Disney/Lynch appare blasfemo, eppure è riuscito a dar vita ad uno dei migliori film degli anni ’90. La piccola odissea di cento miglia di Alvin Straight viene narrata nel modo più lineare e delicato possibile, in un’atmosfera bucolica segnata dai tempi dilatati e dalle musiche di Badalamenti. Fra i colori dell’autunno, gli immensi paesaggi contemplativi, le perle di saggezza nelle parole del protagonista, la gentilezza degli stranieri e i curiosi incontri fatti lungo il viaggio con i personaggi più disparati, è uno di quei film che fanno riflettere e riacquistare la fiducia nell’umanità.

Cuore selvaggio (Wild at Heart,1990)

Wild at Heart

Wild at Heart è basato sull’omonimo romanzo di Barry Gifford, uscito lo stesso anno del film di Lynch. Il manoscritto passò per parecchie mani fino a quando non raggiunse quelle di Monty Montgomery, il nuovo produttore di Lynch, con il quale egli lavorò anche durante Twin Peaks. Inizialmente ingaggiato come produttore esecutivo, Lynch finì per amare il libro e si offrì di scrivere la sceneggiatura adattata e di dirigere il film lui stesso, cambiandone alcune parti, tra le quali il finale, adattandolo alla sua visione dei personaggi principali di Sailor e Lula.

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Come molti altri film del regista, anche Wild at Heart si erige su una strana mescolanza di più generi. Infatti, il film è un road movie, un dramma psicologico, una commedia violenta e allo stesso tempo una modernissima storia d’amore ambientata in un mondo violento, un film su un amore trovato all’inferno. L’esteriorità variopinta e luccicante, la fotografia da urlo e il frastuono visivo che genera costituiscono quasi una singolarità nella filmografia di Lynch, esattamente come il forte ma sano abbandono sessuale al quale il film indulge.

Wild at Heart è una cupa e feroce love story che gioca con i codici narrativi di molteplici generi. David Lynch crea un mondo ultraviolento con personaggi ai limiti del grottesco e musiche di ogni genere: un limpido esempio di cinema, che parallelamente alla creazione di Twin Peaks, detta le basi di una personale cifra stilistica di enorme forza espressiva.

The Elephant Man (1980)

john hurt and anthony hopkins in the elephant man 1980 album

Pellicola del 1980 diretta da David Lynch, tratta la storia del così soprannominato uomo elefante Joseph Merrick (John Hurt), vissuto in età vittoriana in Inghilterra. Uomo deforme affetto dalla Sindrome di Proteo, egli è condannato a prestare servigio presso il teatrino del signor Bytes (Freddie Jones), uomo crudele che lo tratta come un vero e proprio animale. Joseph ha, infatti, varie deformazioni lungo tutto il corpo che fanno inorridire la gente alla sola vista. Nonostante sia zoppo e abbia varie protuberanze, soprattutto sul viso, questo non gli preclude la lettura e la facoltà di parlare, vedere ed intendere. Viene scoperto dal chirurgo Frederick Treves (Anthony Hopkins) che, incuriosito, decide di presentarlo ai suoi colleghi medici come un caso esemplare. Il medico, di buon animo, scopre in Merrick una persona gentile, emotivamente sensibile e capace di piccoli virtuosismi artistici. L’ospedale presso cui è ospite lo prende in affetto e decide di curarlo con il massimo delle proprie capacità. Il caso dell’uomo elefante fa eco e raggiunge anche la ricca borghesia inglese.

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The Elephant Man è il secondo progetto del regista statunitense, e tra quelli che più si discosta dal resto della sua filmografia: partendo da una dimensione povera e indipendente, Lynch è arrivato, grazie a quest’opera, a guadagnarsi ben otto nomination agli Oscar. The Elephant Man è un esempio lampante dell’arte e della bravura di Lynch. Una storia commovente e straziante, narrata a passo lento e riflessivo con una straordinaria forza registica da un autore che ancora ricorre al bianco e nero per poter conferire ai suoi lavori una drammaticità superiore. Straordinarie le interpretazioni di Anthony Hopkins e di John Hurt (reso irriconoscibile grazie al make-up di Christopher Tucker), aiutati da una sceneggiatura intelligente che sa emozionare senza scadere mai nel patetico. Magnifica l’ambientazione nella Londra vittoriana, ricostruita con una grande attenzione per scenografie e costumi (due tra le tante nomination).

Manca forse il tocco geniale dell’artista, ma si notano tuttavia dei tratti lynchiani caratteristici, molto affini al precedente Eraserhead: i fumi, il lavoro in fabbrica meccanico e ripetitivo, le scene buie e introspettive accompagnate da suoni a dir poco dissonanti (il sound design venne curato direttamente dal regista). Così come ritornano alcuni temi e lo stile tipici del regista: qui in particolare, si indagano la diversità ed il suo rapporto con essa.