Downton Abbey, recensione del film tratto dalla serie di Julian Fellowes

Alla Festa del Cinema di Roma è stato presentato il film di Downton Abbey: una pellicola che non mancherà di sedurre i fan dello show firmato da Julian Fellowes

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Era il 2010 quando Downton Abbey, serie firmata da Julian Fellowes, faceva il suo debutto sul piccolo schermo. Negli anni successivi, con le sue sei stagioni, Downton Abbey è riuscito a ritagliarsi una fetta cospicua di affetto da parte di un pubblico che ha penato insieme alla famiglia Crowley e ai suoi domestici dei piani bassi.

A tre anni di distanza dal series finale, Lord Grantham e il suo esercito di familiari e domestici sono tornati a vestire i loro abiti più eleganti per il film di Downton Abbey, che ben si sposa a questo periodo nostalgico che molte produzioni stanno vivendo, e che è stato presentato all’interno della 14a edizione della Festa del Cinema di Roma.

A pochi giorni dalla presentazione di El Camino, film che concludeva le vicende raccontate in Breaking Bad, di certo non sorprende che Julian Fellowes abbia scelto di portare la sua serie sul grande schermo, facendo affidamento sui fan, che all’estero hanno già accolto il film con molto entusiasmo.

Downton Abbey: la trama del film

Downton Abbey si apre a due anni di distanza dalla fine della serie e in questo senso potrebbe rappresentare una comoda season premiere, se si trattasse di un prodotto pensato per la televisione.

Downton Abbey si staglia ancora sul piccolo paese che collabora a mantenere in vita e tutti gli abitanti della casa sembrano aver trovato il loro lieto fine. La quotidianità della loro vita viene però messa in subbuglio quando arriva la notizia che il re e la regina di Inghilterra passeranno una notte a Downton Abbey, portando con sé il proprio esercito di valletti e domestici.

Spaventata dall’idea che il maggiordomo Thomas Barrow (Robert James-Collier) non abbia le forte di fronteggiare un evento tanto unico, Lady Mary (Michelle Dockery) decide di chiedere aiuto al vecchio maggiordomo ormai in pensione James Carson (Jim Carter), affinché prenda di nuovo in mano le redini di Downton.

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Intanto Anna (Joanne Frogatt) ha tutta l’intenzione di non farsi mettere i piedi in testa dai valletti reali, mentre Lady Violet (Maggie Smith) vuole affrontare la cugina Maud (Imelda Staunton), rea di non voler lasciare a Lord Grantham (Hugh Bonneville) la propria eredità in favore di una cameriera che cattura l’attenzione di Tom (Allen Leech). Ad aiutare Violet nello scontro ci sarà sempre la sagace Isobel (Penelope Wilton).

Un film pensato per i fan

A voler elencare i pregi di Downton Abbey, bisognerebbe partire dal presupposto che si tratta di un film pensato per i fan dello show. In questo senso il regista Michael Engler si è mostrato senz’altro abile nell’avere la determinazione di scegliere una via precisa da seguire.

Invece di creare un mélange di spiegazioni per i nuovi e fan-service per gli appassionati, il regista ha scelto di dedicare la propria arte a chi aveva già seguito le vicende della famiglia Crowley, dall’affondamento del Titanic, fino ai ruggenti anni Venti, senza preoccuparsi di creare un background per coloro che si avventuravano a Downton per la prima volta.

Downton Abbey si presenta allora al pubblico come un atto di gratitudine, uno slancio narrativo che sceglie di non cambiare la propria formula e di rimanere coerente con la struttura tanto apprezzata in passato. Proprio come fa la conservatrice Lady Violet, che non accetta di piegarsi ai cambiamenti dei progressi, così Downton Abbey non sfoggia pretese di diventare ciò che non è. Dietro la realizzazione della pellicola, infatti, non si nasconde nessuna velleità artistica, nessun bisogno di chiamare al botteghino più fan di quelli necessari.

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Ed è proprio nella sua onestà che Downton Abbey riesce dove altri prodotti con la medesima strategia hanno sbagliato: perché sfruttare il senso nostalgia non serve poi a molto se si sceglie di cambiare ciò che è stato, di snaturarlo per cercare di renderlo più appetibile per un pubblico diverso rispetto a quello che, nel 2010, scelse di seguire le vicende di Lord Grantham e delle sue tre figlie.

Questo non vuol dire che Downton Abbey sia un film scialbo, un mero esercizio di stile che si contenta di dare al pubblico quello che vuole vedere. Michael Engler porta sullo schermo un film dal ritmo perfetto, dove l’ironia sotterranea che da sempre contraddistingue la scrittura di Julian Fellowes fa da raccordo tra i vari personaggi, legando il destino di ognuno a quello della casa e dei personaggi che si muovono intorno. Ci si trova davanti ad un puzzle che sebbene non abbia nulla di misterioso, rimane comunque un piacevole passatempo in grado di toccare anche corde più intime e nascoste. Corde che si allungano verso temi più delicati, quale ad esempio l’accettazione della diversità e, in particolare, dell’omosessualità sempre rappresentata dal personaggio di Thomas Barrow, portatore dell’arco narrativo più interessante.

Downton Abbey è dunque un film non pensato per tutti: ma al target di riferimento. Julian Fellowes e il regista Michael Engler si sono dedicati con dovizia di particolari, facendo sì che la pellicola rappresentasse il meglio per ciò che doveva essere: un inchino riconoscente a coloro che, negli ultimi nove anni, hanno camminato negli ampi saloni di Downton.

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