La Favorita: recensione di una regale farsa grotesque

La Favorita
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L’omaggio di Lanthimos al passato.

La categoria Musical e Commedia dei Golden Globes 2019 contava 2 strani rivali: Vice – L’uomo nell’ombra di Adam McKay e La Favorita di Yorgos Lanthimos. Queste 2 folgoranti commedie nere, per quanto lontane nello spazio e nel tempo, conservano qualcosa in comune: sfidano la più perversa immaginazione, ma sono storie di potere, e sono storie vere. Lanthimos e La Favorita avevano già conquistato Venezia 75, ottenendo il Gran Premio della Giuria e la Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione Femminile, assegnata a Olivia Colman per la sua imponente Anna di Gran Bretagna. Lungo la strada, La Favorita ha dominato anche i British Independent Film Awards: ben 10 premi, tra cui Miglior Film, Miglior Regista, Migliore Sceneggiatura e migliori interpreti Olivia Colman e Rachel Weisz.

Ora, anche i Golden Globes 2019 hanno incoronato Olivia Colman Migliore Attrice di questa superba farsa grottesca. E con 10 nomination in tutte le categorie principali, La Favorita procede agli Oscar 2019 con passo marziale.

Più che “dramma da camera”, Lanthimos definisce La Favorita “una farsa da camera da letto”.

Al centro del triangolo d’amorosi sensi: Anna Stuarda (Olivia Colman), sovrana instabile e malatissima, ma abbastanza potente da unificare i regni di Scozia e Inghilterra, o proseguire la Guerra di successione spagnola: il più rovinoso conflitto nell’Europa del ‘700. Per la Regina Anna il rumore di fame, miseria e conflitti è al massimo un’eco lontana. Piuttosto, deve occuparsi del Parlamento, dove iniziano a delinearsi le opposte fazioni di Whigs e Tories. Senza dimenticare la vivace vita di Corte: un tripudio di intrighi, balli di gruppo, giochi con pistole, conigli e anatre al guinzaglio.

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La Favorita

Il corpo mastodontico della sovrana, tormentato dalla gotta, minato da 17 gravidanze fallite, era da sempre oggetto delle cure di Lady Sarah Churchill, Duchessa di Malboroug (Rachel Weisz): amica fin dall’adolescenza, complice e amante dopo l’ascesa al trono. Era Lady Sarah a determinare ogni scelta della Regina. Almeno, fino all’arrivo della sventurata cugina Abigail (Emma Stone).

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La Biennale di Venezia – Foto ASAC

L’intraprendente Abigail, nobile decaduta ormai ridotta a sguattera, in breve tempo stravolge gli equilibri. Perduta a carte dal padre, giunta a corte dopo orribili avventure, saprà conquistare i favori e il corpo della Regina Anna: sempre bisognosa di nuove cure. La generosità di Lady Sarah non sarà ripagata: La Favorita diventa così una danza macabra e una guerra senza esclusione di colpi, dove i riferimenti storici superano ampiamente i limiti del teatro dell’assurdo.

Con La Favorita Yorgos Lanthimos realizza il suo primo film in costume: paradossalmente è anche il primo che presenti riferimenti reali.

Dal futuro distopico di The Lobster (2016) all’alterazione iper-realista de Il sacrificio del cervo sacro (2017), Alps (2011) e Dogtooth (2009), ogni singolo film di Lanthimos si configura come un universo parallelo, dove la crudeltà insita nella natura umana assume i contorni più estremi. Volgendo lo sguardo indietro al ‘700, in questa regale lotta alla sopravvivenza, l’impossibile accade: sulla scena risplende perfino un lampo di compassione.

La Favorita

La Favorita si consuma come una surreale partita a scacchi per 3 giocatrici, dove la Regina Anna, Abigail e Lady Sarah invertono incessantemente i ruoli di vittima e carnefice.

Allo spettatore il piacere di sperimentare tutte le facce della medaglia: l’onestà brutale di Sarah, la disonestà amorevole di Abigail, la bulimia disperata della donna che ha ricevuto il potere come una condanna. Tra i punti di riferimento de La Favorita, qualcuno é chiaro come il sole: Il re muore di Eugéne Ionesco sul versante teatrale, per il cinema Barry Lindon di Stanley Kubrick. Il riferimento a Barry Lindon non è puramente concettuale: Lanthimos infatti ha scelto di girare in 35 millimetri, eliminando ogni forma di illuminazione artificiale.

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Nel 1975 Kubrick e la sua troupe realizzarono un’impresa senza precedenti: grazie agli obiettivi Zeiss Planar sviluppati per la NASA, montati sulle nuove cineprese Panasonic, girarono Barry Lindon con la sola illuminazione naturale.

Data l’ambientazione settecentesca, significava poter contare solo sulla luce delle candele. Per La Favorita Lanthimos applica la stessa formula magica. Una scelta che esaspera luci e ombre, rivelando tutta la miseria e la sofferenza dipinta sui volti dei grandi nobili, sovrastati dalle parrucche, martoriati dalla cipria e dal trucco: realizzato con prodotti tossici, pare causasse orribili danni dalla pelle, da coprire con altri strati di belletto.

Ma la vera svolta horror, nella parabola pre-illuminista de La Favorita, è affidata alle passioni che mutano forma, alla furia dei sentimenti e del cuore, che scontra chi non ne possiede alcuno. Così Lanthimos trasforma una farsa in maschera nel più umano dei suoi film: una charade sul potere, i peggiori istinti e le più scomode verità sulla natura femminile, per un’esperienza cinematografica che non somiglia a nessuna. In attesa della consacrazione agli Oscar, noi vi consigliamo di non perderla.

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