I Migliori film a tema LGBT

Cinema LGBT
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Raffigurata in modalità diverse a seconda del periodo storico e della sensibilità del regista, l’omosessualità è riuscita nel corso degli anni ad evolversi enormemente, ritagliandosi una fetta all’interno del paesaggio cinematografico contemporaneo.

Argomento vasto, immenso, affrontato da numerose personalità, l’identità sessuale diventa fulcro dell’analisi di una miriade di lungometraggi, tra i quali abbiamo scelto quelli che reputiamo i dieci esponenti del cinema LGBT più rappresentativi, partendo dai titoli più classici e conosciuti – come Paris Is Burning – fino ad arrivare al cinema più sperimentale.

Le lacrime amare di Petra von Kant (Rainer Werner Fassbinder, 1972)

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Diretto nel 1972 dal fuoriclasse tedesco Rainer Werner Fassbinder e girato in soli 10 giorni, Le lacrime amare di Petra von Kant ruota attorno a tre donne, perennemente torturate nelle loro paure e nei loro desideri ed essenzialmente legate tra di loro da una catena di sadismo, masochismo, malattia: l’arrogante e gelida stilista berlinese Petra von Kant, la silenziosa assistente Marlene – oggetto delle tendenze sadiche della protagonista – e l’affascinante Karin, una ragazza di cui Petra si innamora follemente.

Ambientato in un’unica stanza, proiezione dell’asfissiante ossessione provata dalla protagonista nei confronti della giovane amante, il lungometraggio è la messinscena di uno scontro tra anime totalmente inconciliabili, destinate al dolore dell’autodistruzione e all’apatia dell’allontanamento. Con Le lacrime amare di Petra von Kant, Fassbinder riesce a dipingere fedelmente la complessità della psiche femminile, della quale vengono esplorate le più oscure profondità, della quale vengono rivelati i più nascosti desideri sessuali.

Je, Tu, Il, Elle (Chantal Akerman, 1974)

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Realizzato nel 1974 dalla regista belga Chantal Akerman, Je, Tu, Il, Elle è la rappresentazione visiva dell’autopsia di un amore, suddivisa in tre atti che conducono ad una crescita personale, ad un’evoluzione sentimentale e – infine – ad una consapevolezza amorosa a lungo cercata.

Rappresentando il debutto cinematografico – brillante e fulminante – dell’artista che lo ha realizzato, il film si caratterizza per l’esasperazione voyeurista del sentimento e della carnalità – che raggiunge il proprio apice in una lunga scena che mostra il momento dell’atto sessuale tra la protagonista e la fidanzata – e si presenta allo spettatore non solamente come una riflessione sull’identità sessuale, ma anche – e soprattutto – come un’analisi dell’alienazione, della disperazione e della solitudine che governano la contemporaneità.

Mala Noche (Gus Van Sant, 1985)

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Svegliarsi da un incubo che si materializza nella realtà come un lungo viaggio verso il settentrione, nascosto in un vagone merci, e iniziare a ballare, credendo di aver trovato la serenità. Una volta raggiunto l’Oregon, dopo aver abbandonato il Messico in compagnia dell’amico Roberto Pepper, Johnny diventa l’oggetto del desiderio di Walt, il gestore di un grocery store.

Mala Noche si presenta allo spettatore come la scomposizione di una passione amorosa non corrisposta che si declina nell’analisi di tre personalità diverse, tre anime che si presentano completamente nude di fronte alla lente osservatrice di Gus Van Sant.

Ispirato principalmente al romanticismo dei perdenti de Morte a Venezia, capolavoro del maestro Luchino Visconti, il primo lungometraggio mai realizzato dal regista statunitense propone scelte tematiche –quale il topos del viaggio– ed estetiche –come, per esempio, l’assillante presenza delle nuvole– che verranno di nuovo riprese nel corso della carriera, assumendo quasi le sembianze di una previsione della propria futura filmografia, assumendo i tratti di una profezia.

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La legge del desiderio (Pedro Almodóvar, 1987)

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Scritto e diretto da Pedro Almodóvar nel 1987, La Legge del Desiderio si focalizza sul triangolo amoroso tra due uomini e una transgender, un triangolo che trova i propri vertici in Pablo –un  celebre regista omosessuale–, nella sorella Tina e nel giovane Antonio.

Prima opera del regista ad essere incentrata sull’omosessualità, il film è un melodramma che riesce a proiettare realisticamente sullo schermo la complessità dell’animo umano e delle relazioni interpersonali, oscillando con naturalezza tra tematiche prettamente sentimentali e riflessioni riguardanti l’ambito artistico.

Con La Legge del Desiderio, considerata dallo stesso una chiave di lettura della sua intera produzione cinematografica, Almodóvar riesce a tessere un’opera che trova la propria vitalità nella vivacità della pop culture e che, con la sua carica erotica, riesce ad imprimersi in maniera decisa nella memoria dello spettatore.

Paris is Burning (Jennie Livingston, 1990)

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Opera dal sottotesto profondamente polico, Paris is Burning è un documentario che segue con fedeltà l’esperienza della comunità LGBT durante la fine degli anni Ottanta: senza indagare solamente le apparenze, i colori e gli eccessi dell’epoca, una giovane Jennie Livingston crea una narrazione diversificata che si sofferma ad analizzare problematiche quali il razzismo e l’omofobia, la violenza e l’AIDS.

La macchina da presa si trasforma in un osservatore silenzioso che registra la vita notturna delle ballroom newyorkesi ed esplora le sottoculture che ruotavano attorno ad esse, studiando la diversità etnica e, in particolar modo, sessuale della metropoli statunitense. Decidendo di superare ogni tabù, la regista americana –che, nel 1990, studiava presso la New York University– dona alla cultura omosessuale una dignità che, fino a poco prima, le era stata negata.

Happy Together (Wong Kar-wai, 1997)

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Futili litigi portano alla separazione di una coppia in viaggio verso l’Argentina, alla ricerca di una cascata dipinta su una lampada e di un futuro insieme.

Focalizzandosi sulla successione di incontri e scontri che coinvolgono due caratteri antitetici, Wong Kar-wai opera, attraverso Happy Together, un processo minuzioso di scomposizione analitica dell’amore, dalla quale emerge il concetto di sentimento come pura idealizzazione, come aspetto totalmete privo della concreticità del reale.

Senza mai abbandonare l’eleganza stilistica che lo caratterizza, il regista di Hong Kong confeziona un film che, con la sua trasparenza e la sua sincerità, è in grado di coinvolgere ed emozionare lo spettatore.

Tutto su mia madre (Pedro Almodóvar, 1999)

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La maschera cade, presentando la vera essenza di ciò che era stato precedentemente nascosto: tutte le sfaccettature dell’essere donna si manifestano, incuranti di essere osservate da occhi indiscreti.

Vincitore del premio per la Miglior Regia alla 52° edizione del Festival di Cannes, Tutto su mia madre segue la vita di Manuela, improvvisamente segnata dal lutto, dalla perdita del figlio diciassettenne, al quale aveva sempre nascosto l’identità del padre. Lasciando Madrid e raggiungendo Barcellona, la protagonista vaga per la città alla ricerca dell’ex compagno, mettendosi in contatto con altri che, come lei, hanno da sempre vissuto nella solitudine.

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Ancora una volta, Pedro Almodóvar si conferma capace di gestire brillantemente il genere del melodramma, sfruttandone la tradizionalità degli stilemi e interpretandolo secondo il suo personale punto di vista: in perfetta sintonia con la filmografia del regista spagnolo, Tutto su mia madre è un film in grado di empatizzare con il pubblico; un film maturo, carico di dolcezza, caratterizzato dalla consapevolezza dell’esperienza.

Il fantasma (João Pedro Rodrigues, 2000)

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Completamente alienato dal macrocosmo in cui vive ed agisce, la quotidianità di Sergio è scissa tra giorno e notte, tra dovere e piacere: durante la giornata, lavora come netturbino tra le strade di Lisbona, mentre, dopo il tramonto, cerca una consolazione nel sesso, nella violenza e in amanti sconosciuti.

Attraverso la creazione di Il fantasma, il regista portoghese João Pedro Rodrigues si avventura nelle profondità recondite della mente, dove vengono celate le ossessioni più oscure, le pulsioni più mostruose, dando vita ad un’odissea negli inferi della psiche umana.

Nato dal rifiuto di ogni singolo limite dettato dai tabù della società odierna, il lungometraggio è immerso in un’atmosfera asfissiante, carica di una brutalità e di un erotismo così intensi ed espliciti da sconvolgere  profondamente lo spettatore.

Ho ucciso mia madre (Xavier Dolan, 2009)

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Avere sedici anni e vivere nel più completo isolamento. Libero da ogni emozione, Hubert Minel conduce un’esistenza apatica, plasmata dal dolore per il divorzio dei genitori e l’odio per quest’ultimi.

Concepito e magistralmente realizzato da un vent’enne – che, oltre a curare la regia, ha recitato, sceneggiato e prodotto il film – , Ho ucciso mia madre di Xavier Dolan è l’accurata narrazione del rapporto tra madre e figlio, un rapporto dominato e rovinato dalla violenza dei contrasti e dei litigi.

Affiancandosi al tema familiare, quello dell’omosessualità diventa il fulcro del lungometraggio, rappresentando la causa di ogni dolore, di ogni disperazione, di ogni crisi. La tematica della sessualità viene analizzata e sviscerata, studiata accuratamente dal regista canadese con una potenza e una profondità di sentimento che affascinano e stupiscono lo spettatore.

Laurence Anyways e il desiderio di una donna… (Xavier Dolan, 2012)

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Trentacinque anni per conoscersi, per capirsi, per scoprire la propria essenza. Trentacinque anni per realizzare di essere altro, intrappolato in un corpo a cui non si sente di appartenere. Nel giorno del suo compleanno, Laurence accetta il suo desiderio di trasformarsi e diventare donna.

Seguendo e documentando ogni passaggio del cambiamento del protagonista, Laurence Anyways e il desiderio di una donna… è un poema personale che copre un lasso temporale di un decennio e che espone lucidamente i drammi che ogni individuo, ogni coppia, ogni famiglia e ogni società sono costretti ad affrontare.

Stupendo il pubblico con la sua giovane età –all’epoca, il regista era poco più che ventenne–, per l’ennesima volta Xavier Dolan mette in mostra la sua maturità non solo stilistica e registica, ma anche –e soprattutto– emotiva e personale, confezionando un melodramma fresco e anticonformista, in grado di simboleggiare un’intera generazione. Con la potenza della sua intimità, il film riesce senza ombra di dubbio ad elevarsi ad uno dei migliori lungometraggi dell’ultimo periodo.