Don’t Look Now – Recensione del cult horror

Don't Look Now
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Le chiese appartengono a Dio. Ma non sembra che lui se ne occupi molto. Forse non le giudica tanto importanti. Noi non sappiamo più ascoltare la sua voce.”

Autunno, in una casa di campagna due bambini giocano in giardino. Così ha inizio Don’t Look Now. I genitori, John Baxter e Laura (Donald Sutherland & Julie Christie) si sono costruiti la loro casa ideale e tutto va alla perfezione. Improvvisamente l’armonia si spezza. Mosso da un cupo presagio, John si precipita fuori, ma è troppo tardi. La piccola figlia Christine è morta, annegata nel laghetto. Nel tentativo di superare il lutto, la coppia di sposi parte per Venezia, dove John si occupa del restauro di una chiesa.

In un ristorante una sera incontrano una coppia di sorelle proveniente dalla Scozia (Hilary Mason & Clelia Matania) le quali fanno tornare alla mente ai due coniugi la morte della figlia. Una delle due sorelle è cieca e ha poteri extrasensoriali. Sorridendo racconta a Laura di essere entrata in contatto con Christine. In principio, Laura ha una crisi. In seguito comincia a credere nella visione tentando di convincere il marito che la figlia non è ancora perduta.

Il regista inglese Nicolas Roeg inizia la sua carriera alla fine degli anni Cinquanta come cameraman. Presto diventa uno dei professionisti più richiesti nel settore. Debutta nella regia con Performance (1969) e così come nel suo secondo film Walkabout (1971), è lui stesso che ricopre il ruolo di direttore della fotografia. Ed anche in A Venezia… un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now), Roeg appare nei titoli di testa come direttore della fotografia. Il film, ispirato a un’opera di Du Maurier, è un capolavoro di una bellezza senza tempo per le sue qualità visive.

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Don't Look Now

Come spesso accade al cinema il presagio di un’oscura minaccia genera una tensione maggiore piuttosto che l’immagine esplicita di un’efferatezza

Questo vale in particolar modo per quei film che interpretano le paure umane in un sistema simbolico, come appunto i film dell’orrore o i thriller. A Venezia… un dicembre rosso shocking, film contaminato da entrambi i generi, ne è un esempio lampante. La pellicola presenta tutt’ora un effetto inquietante e un’atmosfera opprimente, che il regista evoca attraverso l’utilizzo di immagini estremamente suggestive. In aggiunta utilizza anche una tecnica di montaggio quasi da cinema d’avanguardia. Fin dall’inizio della storia la dimensione temporale e il piano della realtà vengono frammentati da secchi tagli, lo spettatore viene continuamente spiazzato da passaggi improvvisi e rimandi enigmatici.

Ogni immagine che scorre sullo schermo sembra celare un significato diverso e in agguato c’è sempre qualcosa di incomprensibile o di inaspettato, che rimette tutto in discussione.

Alla stessa maniera dei mosaici che il protagonista ricostruisce nella chiesa, la realtà si cela in molteplici frammenti, in piccoli segni che logicamente sembrano non poter combaciare tra loro, vanificando ogni normale e schematica interpretazione. L’atmosfera illusoria e minacciosa viene efficacemente consolidata dall’uso del colore. Il rosso sopra tutti è quello che assume un rilievo particolare e costante: nella sequenza iniziale la piccola Christine corre per il giardino con un impermeabile rosso “shocking”. Il presagio del pericolo viene avvertito da John quando scopre sulla diapositiva di una chiesa una figura con una giacca rossa, contemporaneamente dall’immagine sgorga un liquido rosso, è il suo sangue. Allo stesso modo Laura indossa stivali e borsa rossa, suggerendo allo spettatore che i coniugi sono dominati dal pensiero della figlia morta.

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Don't Look Now

John è persino investito da visioni, vede continuamente spuntare fuori una piccola figura oscura con un impermeabile rosso, come la figlia. Man mano che si avanza nella storia il il film sembra assumere il punto di vista di John che, al contrario della moglie, è un razionalista convinto. Lotta contro le sue visioni a prima vista deliranti, ma è sempre più confuso. Venezia in inverno, grigia, dal cielo plumbeo e bagnata da acque infette, col suo labirinto di vicoletti, diventa così lo specchio del caos interiore del protagonista. Raramente ripresa così, la città di Venezia spettrale ed inquietante alla fine viene coperta di un alone gotico, e John allucinato la scambia per il regno dei morti.

Il film restituisce il suo senso nell’agghiacciante riflessione finale, uno specchio dal ghigno orrendo, tra i più spaventosi mai visti nella storia del cinema.