Loro – La recensione del dittico di Sorrentino

Loro 1 e 2, ovvero "come l'occhio distaccato di Paolo Sorrentino ha deciso di descrivere Berlusconi".

Loro
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Fiches multicolori, abbandonate caoticamente sulla superficie del tavolo, e ghirigori tortuosi emanati dal fumo. Calici bronzei traboccanti di pregiato champagne e i loro occhi commossi.

Loro.

Volti attenti e affascinati, che si susseguono, accomunati dalla direzione verso cui sono rivolti, annebbiati dall’oggetto del loro desiderio. Sguardi nella cui monotonia si scorge la medesima ammirazione, la medesima incontrollabile volontà di raggiungere lui, stagliato di fronte all’azzurro dell’orizzonte, all’immensità del cielo e del mare, distese dai confini confusi che si confondono, diventando tutt’uno. Lui, Silvio Berlusconi, perennemente solo di fronte a Loro, occhi penosi che trasfigurano il patetico anfitrione in divinità onnipotente.

Paolo Sorrentino dà vita ad un’opera che, ritraendo poeticamente il microcosmo berlusconiano, riesce ad incantare profondamente lo spettatore, immergendolo in un clima di erotica dissoluzione.

Loro

Orbitano vorticosamente, incessantemente. Turbinano seguendo la scia sfuggente del loro idolo, del loro sole. Primo capitolo del dittico del regista napoletano, Loro 1 esamina il mondo della corte, il mondo della dissimulazione e dell’adulazione.

Un complesso sistema la cui labile struttura è unicamente determinata dalla precaria stabilità delle interdipendenze delle relazioni interpersonali. Un microcosmo definito dal feticcio del prestigio. Il mondo di Loro è ri-plasmato da Sorrentino attraverso la lente del proprio gusto retorico, attraverso una finzione che, sebbene lontana dal rigore realistico della narrazione storica, si fa portatrice di verità.

Tra la sfrenata ostentazione di virtù viziose, slogan logori e programmi politici sussurrati esclusivamente in prossimità di orecchie fidate, il fantasma di lui, Silvio Berlusconi, ombra avvicinabile, ma irraggiungibile; soggetto invisibile verso il quale Loro sono assiduamente tesi.Loro

In bilico tra tragico e ridicolo, il sistema che circonda il Cavaliere assume, in questa prima sezione, le sembianze del protagonista assoluto dell’opera, diventando il motore immobile, causa prima del successo berlusconiano.

Nulla sarebbe senza Loro. I lussi delle ville sarde sarebbero disutili, gli spazi di quest’ultime del tutto vuoti, disabitati. Il microcosmo di denaro e potere – dove la presenza di Loro diventa necessaria a legittimare la sovranità berlusconiana –, di lussuria e disinibizione – dove ogni moralità viene abolita, bestialmente sorpassata – si sgretolerebbe all’istante: non resterebbe nient’altro che cenere.

L’ambiguità e l’inautenticità dilaganti nella società dipinta da Paolo Sorrentino vengono restituite allo spettatore attraverso un processo inventivo e re-interpretativo – come ribadisce il regista stesso nei titoli di testa di ambedue le pellicole –, attraverso lo studio del marciume che caratterizza tale ambiente, intimamente degradato. 

Il regista partorisce un quadro in cui le tinte foche prevalgono nettamente sulle luci, in cui l’illusione diventa più importante della realtà. Un quadro abitato da fantasmi, simulacri e doppi.

Attraverso la perfezione chirurgica che caratterizza la forma della sua cinematografia, attraverso i movimenti incessanti della macchina da presa, Sorrentino restituisce il nulla. Tutto è semplice illusione. Un gioco di luci e di ombre, in cui lo spettatore non può far altro che immergersi.

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Loro

In un’età in cui la gente si logora per ambizione, per nervosismo, per avidità“, lui riposa.

In un universo governato dalla manipolazione e dalla seduzione, abitato da figure che perdono la loro umanità per trasformarsi in meri oggetti, Silvio Berlusconi si erge imponente sopra tutti: un sovrano dal potere assoluto e perpetuo, una divinità onnipotente, ma anche un essere amorale alla ricerca di una personale umanità, ormai andata distrutta.

Miraggio che aleggia per la gran parte della durata del primo capitolo, descritto ricorrendo alla caratterizzazione indiretta, Silvio Berlusconi si mostra al pubblico solo nell’ultima parte della pellicola, sotto forma di personaggio fortemente caricaturale, dal volto perennemente teso in un sorriso, una personalità priva della complessità psicologica che denota l’uomo, una maschera fredda e inerte.

Il Berlusconi di Sorrentino, selvaggiamente estroverso e tragicamente introverso, viene descritto abilmente dall’occhio distaccato del regista.

È come se non ci fosse il bisogno di criticarlo aspramente, in modo esplicito e plateale. La ridicolezza di questo personaggio è intrinseca nel suo essere, ne è l’essenza. Sarebbe inutile e ridondante soffermarsi su giudizi politici e morali, inutile ricorrere ad una retorica moralista. Sorrentino lascia parlare i fatti.

Immerso nel vortice della mondanità, il protagonista trova il senso del vivere nella soddisfazione del proprio mutevole desiderio, nella vacuità dell’illusione. Il suo desiderio di potenza – o, con più precisione, di onnipotenza – altera e distorce la realtà, creando una nuova dimensione immateriale e allucinata, lontana dalle responsabilità del quotidiano. L’ego prende il sopravvento sulla sua vita,  allontanandosi dal carattere tangibile del reale, facendo di lui uno schiavo.

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Il mondo di Berlusconi, in cui tutto è “sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore”, diventa un palcoscenico sul quale prende luogo il conflitto corrosivo tra vita pubblica e vita privata, tra dimensione interiore e dimensione sociale.

Nella realtà del Cavaliere, proiezione della sua interiorità, domina la futilità del capriccio, la perversione del desiderio. È il mondo dell’effimero, mostrato in tutte le sue evidenti contraddizioni, un mondo al di fuori della normalità, in cui la sua persona diviene feticcio di un’ammirazione religiosa ma pagana, lontano dalla purezza della fede sincera, per Loro – e per lui – impossibile da provare.

Loro trovano il loro senso in lui, lui non lo trova in nulla. Berlusconi sembra essere immerso in una ricerca spirituale, incessante, ma irrealizzabile. Cerca Dio, lo brama; lo vuole raggiungere; desidera trovarlo, negarlo e superarlo.

LoroLui è un altro.

È un Lui su cui lui – Berlusconi, quello con la lettera minuscola – non ha alcuna influenza. Il Cavaliere, lui, è uno di Loro, soppresso da un Lui che lo sovrasta impercettibilmente. Come Loro, diventa marionetta di un potere superiore, di un destino a cui ogni uomo deve obbedire, del volere di Dio.

La sua mente è perseguitata da un ricordo, da una visione che si ripropone ai suoi occhi continuamente. In una piazza Duomo notturna, dominata dal silenzio delle ore più buie, una giovane Veronica cammina verso la chiesa, per poi girarsi verso di lui, sorridendogli. Veronica diventa simbolo di una bellezza dalla purezza ormai perduta, di una bellezza religiosa. Veronica, la cui sagoma si staglia di fronte alla magnificenza del Duomo, diventa simbolo della ricerca di Dio: un dio che, come la giovane, si gira verso di lui, gli sorride, gli sussurra di amarlo. Il successo di Berlusconi è dovuto all’amore di quel Dio, all’agire di quel Dio, al volere di quel Dio. Un dio che egli non riuscirà mai a raggiungere.

Ecce homo.