Bastardi senza gloria – recensione

Bastardi senza gloria è un opera ucronica unica nel suo genere e che ha goduto di un notevole successo di critica e pubblico. Ecco la nostra recensione

Tarantino
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Bastardi senza gloria (stasera alle 23.14 su Canale 20) non è “solo” un film ma una “soddisfazione”, una di quelle che solo la più fervida immaginazione, la più temeraria fantasia, può regalare. Quante volte ci siamo trovati a vendicarci, negli angoli più remoti della nostra mente, dei soprusi subiti; quante battute taglienti sono nate sotto la doccia in risposta a un casuale bullo, consapevoli di averla partorita troppo tardi ma soddisfatti della nostra personalissima piccola vittoria.

Ecco, ingrandite questo concetto, trasportatelo ad un livello superiore, sostituite voi stessi con la Storia (difficile farla entrare in doccia, ma provateci lo stesso), sostituite il bullo di turno con l’apparato nazionalsocialista ed avrete Bastardi senza gloria. Una rivincita dolce, violenta, fredda, crudele contro il cattivo storico per eccellenza. Una “soddisfazione”, appunto.

E noi, questa piccola soddisfazione ce la vogliamo cullare, la vogliamo osservare all’infinito, la vogliamo sviscerare, per convincerci che sia vera, o almeno per sospendere la realtà per qualche secondo, ne vogliamo trarre energia, sentimento di rivalsa. Ne vogliamo ricavare adrenalina! e ciò lo possiamo fare efficacemente attraverso l’analisi approfondita di questa grande pellicola (ops, soddisfazione) firmata Quentin Tarantino.

Capitolo I – C’era una volta, nella Francia occupata dai nazisti…

«Perché so di quali imprese incredibili un uomo sia capace una volta abbandonata la dignità»

Il primo capitolo di Bastardi senza gloria è un confronto tra due uomini molto diversi tra loro, un confronto, questo, diretto magistralmente da Tarantino. Sia per dialoghi che per i dettagli scenici, il regista, riesce a creare, forse, l’atto più intenso del film, meno giocherellone, più focalizzato a ciò che la seconda guerra mondiale e il terrore nazista sono stati per la storia.

Ad ornare ulteriormente la scena di valore artistico sono le due interpretazioni attoriali. Christoph Waltz  nei panni del colonnello Hans Landa (personaggio “filo rosso” del film e della nostra recensione) e Denis Ménochet in quelli di Monsieur LaPadite sono messaggeri perfetti dei tòpoi che rappresentano: il tiranno e il suddito.

il tiranno a differenza dell’aguzzino o del carnefice sa che non può governare solo con il terrore, ma deve tentare almeno di rivestirlo, formalmente, di gentilezza o perlomeno di apparente partecipazione (la propaganda). Landa decide di prendere la prima via, in uno sbuffo di gentilezza e buone maniere, il colonnello pone il suo potere in quella stanza da fattoria.

Ma la sociopatia latente del colonnello è percepibile già dall’entrata teatrale –le entrate sono un punto di forza della pellicola, cercheremo di elencarle via via– e crescerà lungo tutto il dialogo fino all’inevitabile attuazione del potere tirannico, con cui Landa dà sfogo prima alla sua natura egoista e violenta (natura che troverà il suo apice verso la fine del film) e poi ai suoi motivi politici e ideologici. Quest’ultimi rappresentati benissimo dal dialogo del falco, il topo e lo scoiattolo.

«Se dovessimo determinare quali attributi gli ebrei condividono con le bestie,  sarebbero quelli del ratto. La propaganda del Führer e di Goebbels ha detto più o meno la stessa cosa. Ma le nostre conclusioni differiscono. Nel fatto che io non considero il paragone un insulto»

L’intero dialogo, di cui sopra abbiamo letto uno stralcio, è la dimostrazione della natura di Landa. Il suo pensiero ideologico e sociologico è subordinato alla psicopatia e non ad un comando politico. Landa non è un nazista per motivi politici, Landa è un nazista per affinità e per opportunismo. Tutto confermato dall’assenza di paura nel contraddire i suoi diretti superiori su un punto chiave della loro malata ideologia.

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LaPadite, invece, partecipa al dialogo più con i gesti che con le parole. Il contadino cerca di dissimulare il suo nervosismo attraverso gesti quotidiani (la pipa).

Ma nulla può modificare la natura di quel confronto costituito da due uomini divisi sia dal ruolo che dall’indole, separati da un intero mondo. Visivamente –e qui azzardiamo una riflessione– la distanza incolmabile tra i due sembra venire rappresentata dalla finestra che sta nel mezzo. Questa, sembra ricordare che nonostante si stia vivendo l’inferno, il mondo continua ad esistere. E nulla come uno scorcio naturalistico alla Monet può rafforzare questo concetto, perlomeno in Francia.

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Tale terribile randez-vous non poteva finire che con delle lacrime, la tirannia appena accennata nelle frasi dell’ospite Landa “si accomodi” “è casa sua si metta comodo”, irrompe prepotente sulla scena, spogliando la gentilezza, lasciandola a nudo, mostrando la sua natura di subdola strategia. Il tutto seguito da una colonna sonora che “esplode” proprio nel momento in cui il colonnello getta la maschera. Le lacrime finali di LaPaditte non sono altro che il segno dell’impotenza verso la tirannia.

Waltz dà vita ad un perfetto sadico sociopatico e Ménochet una credibilissima vittima, una vittima che cede.

Il primo capitolo si chiude con la crudeltà che la fa da padrone e neppure il mancato colpo sparato da Landa verso Shosanna può cambiare ciò. Nessun atto di pietà, solo l’estrema fiducia in se stesso, nel “cacciatore di ebrei”.

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Capitolo II – Bastardi senza Gloria

«Con la punta dei nostri coltelli, con il tacco dei nostri stivali»

Nel secondo capitolo “entra prepotente” il Quentin Tarantino che tutti noi conosciamo, lo spaghetti western ambientato nella Francia occupata dai nazisti inizia a prendere forma.

Il faccione “brandoniano” di Brad Pitt (tenente Aldo Raine) ci introduce nella squadra speciale dei Bastardi. A loro è affidata la missione di introdursi in incognito in Francia e di uccidere più nazisti possibili, missione, questa, che devia sensibilmente dalle logiche di guerra e che assomiglia molto di più ad una calcolata vendetta. “Otto soldati americani e ebrei” a caccia di nazisti, naturale pensare ad un regolamento di conti. E il sorriso di Donnie Donowitz al discorso ce lo conferma.

Bastardi senza gloria

Tale caratteristica è confermata, ancor di più dalle parole del tenente Raine (qui il discorso intero), capo della spedizione e primo sostenitore della missione:

«Ho una parola di avvertimento per gli aspiranti guerrieri. Quando sarete al mio comando avrete un debito, un debito con me personalmente. Ogni uomo sotto il mio comando mi dovrà cento scalpi di nazisti e io li voglio i miei scalpi! E ciascuno di voi mi darà cento scalpi nazisti strappati dalla testa di cento nazisti morti. O ci resterà secco nel farlo…»

Crudeltà mossa da rabbia e odio personali. Giustizieri, no soldati. La loro vendetta seguirà a passo talmente spedito che Tarantino ci propone i risultati con uno dei suoi famosi stacchi improvvisi.

 

La superstizione e la paura stanno corrodendo uno già instabile Hitler (siamo nel ’44), mentre, parallelamente, assistiamo al modus operandi dei Bastardi, in cui la scena dell’entrata dell’Orso Ebreo (eccone un’altra) è girata in modo da donarle una solennità simile a quella che c’è quando un boia entra in piazza. Eli Roth ha il carisma giusto per il ruolo e con l’esplosione di parole che seguono all’esecuzione esprime tutta la rabbia, l’odio, l’incoscienza di quella missione.

«Quello stronzo di Teddy Williams la spara fuori dallo stadio, tutto Fenway Park è in piedi! Per Teddy ballgame! Ho fatto un home-run con quella, è arrivata fino a Landown Street!».

Ma la cosa che ci è rimasta più nel cuore di questo secondo capitolo è l’intermezzo pulp per presentare il sergente Hugo Stiglitz.

inutile aggiungere altro, perché tutti nell’esercito tedesco conoscono Hugo Stiglitz, e anche voi dovreste.

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Capitolo III – Serata tedesca a Parigi

Ovvero, quella volta che si presentò l’opportunità di porre fine alla guerra.

In questo terzo capitolo, Tarantino mette da parte nuovamente l’azione e torna ai confronti tra personaggi.

Uno dei più interessanti è il soldato di prima classe Frederick Zoller, interpretato con naturalezza da un bravo Daniel Brühl. Zoller è la star del film propagandistico Orgoglio della Nazione, in cui  interpreta se stesso durante la sua impresa da cecchino su una torre campanaria, nella quale riuscì ad uccidere la maggioranza dei soldati nemici.

Zoller è interessante per due aspetti: il primo riguarda la rappresentazione della forza della propaganda in un regime totalitario; il secondo, invece, riguarda il tema del metacinema che Tarantino introduce per vie diverse lungo tutto il film. Sia il cinema di Shosanna sia il ruolo di Zoller permettono a Tarantino di porre l’accento sull’importanza del cinema, che sia esso propaganda o motivo di svago, la settima arte ha una diretta influenza sull’opinione pubblica. Concetto rafforzato ancor di più dall’approfondimento del personaggio Goebbels (un camaleontico Sylvester Groth), Ministro della Propaganda e signore delle arti del Terzo Reich, unico capo nazista ad essere effettivamente sviscerato e psicanalizzato, poiché utile come mezzo nel delineare l’aspetto del metacinema.

A proposito di Goebbels, lo stacco improvviso, che apre la finestra su un ricordo, che ci mostra lo squallido atto sessuale con la sua interprete Francesca Mondino (Julie Dreyfus) e la commozione per i complimenti di Hitler alla proiezione (che vedremo nel quinto capitolo), delineano efficacemente il profilo psicologico del ministro. Tarantino con pochi frame riesce ad entrare nell’anima dello squilibrato braccio destro del Führer.

Il fastidioso confronto a tavola tra Zoller, Goebbels e una sfortunata Shosanna (che ancora non sa di star per avere l’opportunità di attuare la sua vendetta) viene interrotta dalla seconda magistrale entrata di Hans Landa.

Qui, si sviluppa la scena più interessante del capitolo. Infatti, quando Landa vorrà trattenere Shosanna per discutere dei piani di sicurezza del suo cinema, Zoller, con un atto di insubordinazione, chiederà al colonnello i motivi di quel colloquio. Tarantino, in questo confronto, riesce ad esprimere molto bene l’impotenza di Shosanna nel proseguire la sua vita secondo le proprie scelte, rispettando la propria libertà.

Come potete notare, mentre i due tedeschi parlano, la camera è puntata dritta sul viso della giovane ebrea, consapevole che come in quelle poche battute dipenda il suo destino.

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«Attenda la panna!»

Il capitolo si conclude con una delle classiche scene feticcio di Tarantino. Il dialogo tra una sospettoso Landa ed una spaventata e scossa Shosanna viene intervallato dal vero protagonista della scena: lo Strudel.

Tarantino riesce ad equilibrare una scena chiave della pellicola con un atto quotidiano come il gustare un dolce. Il regista riesce abilmente a spostare la nostra attenzione dal film allo Strudel. Quest’ultimo monopolizza l’attenzione dello spettatore al punto da far venire voglia di mangiare il tipico dolce austriaco. Ovviamente, se non volete incorrere in un atto di insubordinazione, aspettate la panna.

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