The Wolf of Wall Street, la Recensione del film di Martin Scorsese

La nostra recensione di The Wolf of Wall Street. Scorsese e DiCaprio liberano tutta la propria energia e regalano una pellicola frenetica.

The Wolf of Wall Street jordan belfort
The Wolf of Wall Street
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The Wolf of Wall Street — Parliamoci chiaro, è impossibile affrontare la filmografia di Martin Scorsese e trovare una pellicola oggettivamente brutta. Non esistono. Alcuni suoi lavori possono non piacere, perché non si è interessati all’argomento trattato oppure perché lo si ritrova ripetitivo in alcuni film, ma bisogna ammettere, però, con fermezza, che l’aggettivo brutto e Martin Scorsese si sono incontrati davvero raramente nel campo artistico.

Eppure di continuo si sente dire che l’ultimo film di Scorsese non è stato all’altezza oppure che è stata un’occasione mancata, e via discorrendo. Ciò è capitato a Silence nel 2016 e capitò anche a The Wolf of Wall Street nel 2013 o almeno in parte, perché il film fu un successo di pubblico e critica. A distanza di quattro anni, però, per molti cinefili,  non sembra rientrare tra le opere migliori del grande regista italoamericano. Perché? Viene da chiedersi. Noi una risposta ce la siamo data, ovvero: The Wolf of Wall Street è un film che trasuda antipatia, sia chiaro non nei confronti del regista e degli attori, ma nei confronti dei personaggi e dell’argomento trattato.

Come è stato per La Grande Scommessa o Wall Street, parlare dei broker e del mercato finanziario ispira tanta invidia, rabbia e rifiuto.  I protagonisti di questi film dovrebbero essere presi a cazzotti da buona parte del pubblico della settima arte (attento a te Michael Douglas/Gordon Gekko).

Si esce sempre un po’ nervosi dalla sala dopo aver visto tali film. Irrita la consapevolezza di essere dominati, ormai da decenni, da grossi palloni gonfiati che giocano con i numeri e che hanno il senso morale dell’anticristo.

Soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, queste pellicole potrebbero davvero innalzare l’aggressività del cinefilo medio, o almeno, il cinefilo, che oltre a guardare film, mette la testa fuori dalla finestra per osservare la camminata claudicante della struttura economica mondiale.

Precisamente cos’è The Wolf of Wall Street? È la rappresentazione del lato oscuro del sogno americano. La pellicola è un fulgido esempio di storia che racconta della più grande promessa fatta dalla cultura americana dalla guerra civile ad oggi: se sei in gamba e hai tenacia puoi diventare qualsiasi cosa nel paese dello zio Sam. Andando avanti col tempo questa promessa è diventata: se sei in gamba e non hai peli sullo stomaco ed imbrogliare, per te, non è un problema, allora puoi diventare qualsiasi cosa nel paese dello zio Sam.

Pertanto, The Wolf of Wall Street è un film sul sogno americano, ma purtroppo tale sogno è stato partorito da un folle, avido figlio di puttana. Se ci aggiungiamo il fatto che la storia tratta della vera vita di un broker di nome Jordan Belfort -che ha guadagnato 1 milione di dollari dalla vendita dei diritti della storia- allora il fastidio aumenta, fino a non riuscire a distinguere la finzione dalla realtà. Infine, si resta con il dubbio atroce e  una domanda assillante: siamo veramente comandati da questo branco di deficienti criminali?

Purtroppo, non sapremo mai tutta la verità, ma possiamo accontentarci di vedere Scorsese massacrarli a colpi di Cinema.

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un sobrio Leo DiCaprio in una scena di The Wolf of Wall Street

Ora, concentriamoci sul film

La povertà è brutta, e su questo siamo tutti d’accordo, anche Scorsese, che dipinge di tinte anonime e spente la prima parte del film, in cui DiCaprio/Belfort non ha ancora sfondato nel mondo dell’economia. Poi, una volta che il protagonista è diventato uno dei re di Wall Street, ecco trovarsi dinanzi ad una esplosione di colori, verve e apparente felicità.

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Ma l’idillio non può durare a lungo, e la felicità, ben presto, lascia il posto al kitsch, una sorta di felicità e benessere grossolani, oltre che uno stile di vita.

Il tutto diviene di cattivo gusto, palesemente frutto di artifici e imbrogli (economici e sentimentali) che rendono il tutto finto, confezionato con una bella copertina patinata.

I personaggi

La trasformazione estetica del film si rispecchia anche sull’interpretazione degli attori. Leonardo DiCaprio, ad esempio, nella prima parte della pellicola appare come sì un personaggio con ambizioni e speranze, ma anche un professionista ancora ingenuo e alle prime armi. Nella seconda parte, invece, la mitomania si riversa sul tutto il film e Belfort esplode in un delirio di onnipotenza che lo trascina verso il lato opposto da cui era partito. Ciò lo rende sfacciato, scorretto, ipocrita e senza nessun senso della morale.

Tale trasformazione è ancora più evidente con il personaggio di Jona Hill, ovvero l’assistente di Belfort Donnie Azoff. Nella prima parte, Azoff è una macchietta triste, grottesca e manipolabile. Nella seconda, invece, diviene una macchietta esaltata dalla ricchezza e dalle droghe. Azoff pur evolvendosi nel corso della trama resta pur sempre una macchietta, quanto DiCaprio/Belfort, che pur cambiando profondamente, resta un meschino.

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Jona Hill in una scena memorabile di The Wolf Of Wall Street

L’ unica differenza sostanziale non è la natura del loro essere, che rimane costante pur se espressa in maniera diversa lungo il film, ma è la questione che nella prima parte i personaggi perdono, nella seconda vincono, e nella terza crollano. Stessa personalità collocata in tre situazioni diverse. Qui si vede la grande abilità di Scorsese, ovvero quella di accompagnarci attraverso l’evoluzione di un uomo che in fin dei conti non ce l’ha contata giusta fin dall’inizio. DiCaprio/Belfort non è stato corrotto, si è corrotto.

« Ero affascinato dalla loro ignoranza, e volevo sapere perché avevano agito in quel modo » (Martin Scorsese)

Ciò che Scorsese ha voluto rappresentare è il cambio di atteggiamento che hanno le persone quando passano da uno stato all’altro. In questo caso da poveri a ricchi. Due condizioni che rappresentano perfettamente i diversi atteggiamenti che una persona può avere nei confronti dell’esistenza.

Infatti, quando ci si ritrova in condizioni di povertà generalmente si china la testa schermando la propria vera natura; mentre quando si domina si ha la possibilità di esprimere il proprio essere in tutte le sue sfaccettature. Esempio lampante di ciò lo ritroviamo nel rapporto tra Belfort e la sua prima moglie. Quest’ultima viene scaricata alla prima occasione utile, segno che un amore esisteva solo perché in quel momento appariva necessario al protagonista.

Le trasformazioni di cui abbiamo parlato ci vengono anticipate dal personaggio interpretato da Matthew McConaughey. La scena che lo vede protagonista nei panni del potente broker Mark Hanna, oltre ad essere entrata di diritto nella storia del cinema, è anche un anticipo di ciò che vedremo accadere a DiCaprio/ Belfort. Una frase, col senno di poi, appare profetica:

“non è un consiglio, è una ricetta, fidati. Se non lo fai, non hai più equilibrio, ti spacchi il culo e crolli come uno stronzo. O peggio ancora, l’ho visto succedere, implodi”.

Il primo ad implodere è proprio Mark Hanna, simbolo della fragilità del potere finanziario, stupido e tronfio, effimero. Il sistema finanziario prevede che alla perdita di un potere subito entri un altro a rimpiazzarlo. Il sistema ti mastica e poi ti sputa. A questo punto del film Hanna è il potere passato, mentre Belfort è pronto a raccoglierne l’eredità e riuscirà a trasformare tale potere in qualcosa di nuovo.

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Droghe e Lamborghini (The Wolf of Wall Street)

Le droghe

Avete tutti presente quando il Drugo ne Il grande Lebowski dice: “Sai, questo… questo è un caso molto, molto complicato, Maude. Un sacco di input e di output. Sai, fortunatamente io rispetto un regime di droghe piuttosto rigido per mantenere la mente, diciamo, flessibile“. Bene! tale concetto in The Wolf of Wall Street è portato all’esasperazione.

Scorsese fa della droga un tema centrale, facendoci porre una domanda: quanto l’uso delle droghe ha contribuito alla trasformazione dei personaggi? Ovviamente molto, anzi si può dire che ogni azione affrontata dai protagonisti è veicolata da qualche stupefacente. Però, siamo dell’idea che la droga ampli le personalità dei protagonisti e che partecipi all’evoluzione solo indirettamente. Si può dire che la droga li abbia aiutati ad essere ancora più sporchi e meschini, ma non che li abbia fatti diventare in questo modo. Per quanto la scusa della droga possa reggere per un po’, alla fine del film è chiaro che non si possa dare totalmente la colpa a quest’ultima.

Discorso leggermente diverso per la droga che Belfort considera centrale, ovvero il denaro. Quest’ultimo davvero contribuisce all’emersione del lato oscuro del broker, poiché essi non sono una droga “classica”, ma una droga legata ai concetti di potere ed avidità, pertanto la sua “assunzione” provoca danni ben diversi rispetto alle droghe “classiche”.

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DiCaprio giganteggia (The Wolf of Wall Street)

«Ma di tutte le droghe sotto l’azzurro immenso cielo ce n’è una che è in assoluto la mia preferita. In quantità sufficiente questa ti rende invincibile, capace di conquistare il mondo e di sventrare i tuoi nemici. E non sto parlando di cocaina. [mostrando una banconota] Sto parlando di questi. I soldi non vi comprano solo una vita migliore, cibo migliore, macchine migliori, fiche migliori. Vi rendono anche un persona migliore. Potete essere generosi con la chiesa, o con il partito politico che preferite, potete anche salvare quel cazzo di gufo maculato. Io ho sempre voluto essere ricco»

Più chiaro di così, non si può.

Un film che non stanca mai

Oltre a ciò che abbiamo detto, il successo della pellicola è dovuto alla sua freschezza e al suo umorismo. Ogni visione diverte, coinvolge ed il tempo scorre via piacevolmente, cosa rara per un film che originariamente durava ben quattro ore. Tantissime le scene memorabili, dalla festa in ufficio fino alla masturbazione di Jona Hill in pubblico, passando per il discorso di un esaltato Belfort ai suoi dipendenti e il viaggio in Lamborghini imbottito di droga.

Infine, lo spettatore non può far altro che reagire come il personaggio di Margot Robbie (Naomi Lapaglia). Ha goduto della frenesia, della ricchezza e dell’ambizione, per poi, a festa finita, andare via con un profondo senso di disgusto. Elemento coadiuvato dalle innumerevoli scene in cui DiCaprio rompe la quarta parete e parla con lo spettatore. Ci sentiamo ammaliati, conquistati dal suo parlare con noi, per poi rifiutarlo totalmente alla fine del film, sentendoci, come la Robbie, un po’traditi e presi in giro.

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sua maestà Margot Robbie (The Wolf of Wall Street)

Indubbiamente, Scorsese ha fatto centro, raccontandoci perfettamente le origini di un mondo che ancora oggi ci domina e condiziona.

 

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