Fino all’Osso – Recensione film Netflix

Il film più impegnativo in cui la Collins si sia mai cimentata. Purtroppo non ne è degna, rovina un film di cui avrei preferito guardare soltanto il trailer.

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Generalmente quando vedo titoli di questo genere, che si prefiggono di portare avanti un sentimento sociale/morale mi spavento. Credo sempre che siano di un’inutilità e di una superficialità unica. Con Fino all’Osso avrei voluto fosse diverso. Già dall’interessante trailer, che troverete in fondo all’articolo, ho pensato che potesse uscirci qualcosa di buono.

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È stato il film prodotto da Netflix che ho più aspettato, insieme ad Okja (di cui troverete la recensione a questo link). Non nascondo un po’ di delusione percepita nella parte centrale del film, dove tutto sembrava fosse sempre più scontato, sempre più banale.

Partiamo con ordine però; Fino all’Osso è la storia di una ragazza, interpretata da Lily Collins, che attraversa il mare impetuoso che solcano tutte le persone con disturbi alimentari (anoressia, bulimia, ecc…). In generale, tutte le persone con disturbi psicologici. Per interpretare un personaggio simile, un po’ come fece Matthew McCounaghey in Dallas Buyers Club, Lily ha dovuto perdere moltissimi chili. Già non è molto grande di suo, ha dovuto comunque buttar giù altri 10 chili. Le doti recitative della Collins non soddisfano, come non soddisfano i dialoghi. Una delle scene che mi hanno fatto più riflettere sulla banalità e l’assoluta noncuranza per alcune parti di copione, è stata sicuramente quella in cui il dottore (Keanu Reeves) che ha in cura Ellen (Lily Collins) invita la paziente a gridare:”F*** alla voce che mi dice di non mangiare”. Quanto basic e scontata è questa cosa? I personaggi, davvero troppo poco caratterizzati. Keanu Reeves si limita ad entrare ed uscire dal set. La sorella di Ellen è la classica sorella della famiglia americana che purtroppo soffre perché vede la sorella anoressica, allo stesso modo la famiglia che invece di stare attorno ad Ellen pensa ai propri problemi. Ma questi problemi si rivelano essere di un’oscenità quasi imbarazzante: la madre è lesbica mentre il padre non viene mai inquadrato. Si limita a partecipare al film attraverso alcune telefonate.

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Forse l’unica nota positiva arriva dalla fotografia, che riesce a regalare bellissimi scorci di L.A. in alcuni casi oppure interessanti grandangoli interni che tendono ad ingigantire ancora di più l’ambiente per far sembrare i personaggi ancora più piccoli davanti ai tanti problemi che hanno da affrontare. Ottimo lavoro è stato fatto qui.

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Questo film si incanala perfettamente in quel percorso che sta inseguendo Netflix da ormai un paio di produzioni. Le tematiche adolescenziali, nonostante Lily Collins abbia superato da tempo quel periodo di vita, attraversano tutta la pellicola: dalla sindrome dell’abbandono, all’anoressia, al vizio del fumo e al divorzio dei genitori. Ad un certo punto sembrerà di trovarsi all’interno di un gigantesco cliché sui problemi adolescenziali.

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