Petra: la terza stagione è una conferma | RECENSIONE

Petra è la serie prodotta da Sky e interpretata da Paola Cortellesi. Ecco la recensione della terza stagione

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Prima di essere una serie televisiva di successo, Petra è il personaggio letterario di una serie di romanzi noir scritti da Alicia Gimenez-Bartlett: dal 2020, Sky ha prodotto lo show affidando la regia alla brava Maria Sole Tognazzi, mentre la protagonista Petra Delicato è Paola Cortellesi, affiancata da un perfetto Andrea Pennacchi nel ruolo del vice ispettore Antonio Monte.  

Nel 2020, la prima stagione ha debuttato con quattro episodi: Riti di morte, Giorno da cani, Messaggero dell’oscurità, Morti di carta; la seconda, di due anni dopo, ne ha presentate altre quattro, Serpenti nel paradiso, Un bastimento carico di riso, Carnevale diabolico, Nido vuoto: mentre nel 2025, per gli impegni della protagonista, che sta lavorando sul suo secondo film da regista, gli episodi della terza stagione sono solo due, Il silenzio dei chiostri e Gli onori di casa.  

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Ad una prima visione, Petra Delicato è scostante. Non solo: si fa difficoltà ad empatizzare con il personaggio e di conseguenza si fa fatica a rimanere coinvolti nelle trame gialle d’altronde perfettamente congegnate.

Bisogna armarsi di pazienza, anzi bisogna capire che Petra non è un prodotto per tutti, così come Petra Delicato non è un personaggio facile: a maggior ragione, è proprio per questi motivi che di Petra -la serie- non possiamo più fare a meno.

Petra: una novità davvero reale

Il crime femminile all’italiana è un luogo molto affollato: senza andare molto lontano, basterebbe la presenza ingombrantissima di Imma Tataranni a scoraggiare chiunque voglia dire qualcosa di nuovo nel canone. Eppure, per quanto il personaggio creato da Mariolina Venezia e pubblicato da Sellerio sia anche lei una donna non facile, scontrosa anzi scorbutica, le sue storie nella serie di RaiUno sono colorate, appassionanti, subito affascinanti, bastassero solo i completi colorati del sostituto procuratore e quella location immediatamente riconoscibile come Matera.

Non era allora un compito facile, quello della regista Maria Sole Tognazzi, dei suoi sceneggiatori Furio Andreotti, Giulia Calenda, Ilaria Macchia, e la stessa Paola Cortellesi sia come autrice sia come attrice protagonista. La strada era allora una sola: il coraggio.

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I primi quattro episodi di Petra, allora, erano davvero scoscesi: Genova, una protagonista silenziosa e sempre silenziosa, un passato che faticava ad emergere, colori desaturati quando non spenti. Ma alla fine il risultato è davvero esplosivo: un’esplosione a diesel, si potrebbe dire, a rilascio lento ma inesorabile. È allora con la seconda stagione che si mostra evidente, con forza, lo spessore di questi minifilm: evidenti segni di maturità, innovazione reale, un’ambientazione suggestiva per come è luminosa eppure notturna. E poi, l’equilibrio tra indagini e vissuto personale, ma soprattutto l’interessantissima dinamica tra Petra e il suo collega Monte, uno straordinario Andrea Pennacchi.

Perché una volta che il disagio di Petra Delicato ti entra sottopelle non ti esce più, e le perdoni quella sua chiusura, anzi ti incuriosisce ancora di più: al centro, l’interpretazione della Cortellesi. Che è incredibilmente anche realistica nel suo mostrarsi quasi emotivamente amorfa, senza sorrisi, senza nessun tipo di espressione sul volto.

Che è brava in tutto, e si sa, ma con Petra si supera, con quello sguardo basso ma sempre ribollente, oscuro quasi, quei movimenti felpati e misurati, quei dialoghi scarni. il lavoro sui personaggi è il punto di forza, soprattutto perché decostruisce i canoni del giallo e in qualche modo ne lascia inalterati gli stilemi e ricostruisce in maniera sorprendente altro.

Petra diventa allora un oggetto altero e silenzioso, probabilmente consapevole del suo valore mentre ribalta con intelligenza acuta e sottile i clichè e i generi e in un’epoca in cui tutto deve essere urlato mette al centro il rifiuto della protagonista delle relazioni umane, ponendosi ben al di là della comfort zone di tantissime fiction, e scrivendo storie con al centro una complessità emotiva per nulla facile.

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Petra: la recensione della terza stagione

Se le prime due stagioni sono state larghe quattro episodi, la terza è breve quanto intensa, costruita su soli due episodi (per gli ovvi impegni della Cortellesi che sta lavorando sul suo secondo, difficile film da regista) che valgono però per molti di più.

Se nel primo, Il Silenzio dei Chiostri, l’emotività di Petra inizia a schiudersi timidamente, quando l’ispettrice viene a contatto con la vita monastica; nel secondo, Gli Onori di Casa, ci si addentra in territori introspettivi sbirciando, più che in altre occasioni, nel passato privato di Petra, rivelando dolori, drammi, abbandoni che spiegano le spigolosità ma anche le insicurezze e le fragilità di un personaggio sempre più complesso.

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Gli Onori di Casa, ambientato a Palermo, è un po’ la resa dei conti di Petra con sé stessa: perché se la stagione si era aperta (nell’episodio precedente) con lei alle prese con la convivenza difficile -impossibile?- con il suo fidanzato Marco –Francesco Colella, sempre delicato nelle sue descrizioni dei personaggi- e i suoi tre figli, si chiude invece con una svolta narrativa inaspettata, che prende in contropiede lo spettatore ma che fa della protagonista una persona reale, tangibile, imperfetta e per questo profondamente umana.

In ogni caso, Liguria o Sicilia, Petra Delicato è “ai limiti del tollerabile” come carattere, chiusa però nella prigione che lei stessa si è creata; e la forza della serie si conferma essere l’attenzione ai difetti di tutti i suoi personaggi, con una fusione perfetta di due anime che era difficile far conciliare, ovvero quella gialla che viene dall’architettura narrativa dei libri di Gimenèz-Barlett, e quella emotiva che è dovuta al team di sceneggiatori.

Una serie inquieta, stretta nelle geometrie che Tognazzi sa osservare e restituire in maniera efficace, nella quale è bello perdersi come in un labirinto.

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