Neanche ai tempi della Civil War marvelliana, tanto per restare in tema, si era visto uno schieramento più polarizzato come con Superman e Fantastici Quattro: Gli Inizi.
Forse perché è da un bel po’ di tempo che da più parti si leva la voce circa un definitivo crollo del genere cinecomics, voci che vogliono puntare in maniera più o meno lineare a dire che i film prodotti dai Marvel Studios e/o dalla DC Warner sono scadenti o non incontrano più il favore del pubblico.
Allora Supermane Fantastici Quattro: Gli inizi hanno catalizzato l’attenzione del pubblico ma avrebbero dovuto attirare ancora di più l’interesse dell’azione critica, e non in quanto cinecomics (il genere cinecomics in sé non esiste, è piuttosto una comoda una etichetta che funziona tanto e non quanto, lascia il tempo che trova:
si può dire che Paz! di Renato De Maria tratto da Pazienza sia un cinecomics?), quanto perché sia il nuovo film di JamesGunn che quello di Matt Shakman sono stati giudicati dal popolo social in maniera così massiva da far sparire il pensiero critico, con un’azione ideologica che investiva non tanto il loro valore in sé per sé, quanto quello che hanno significato per un certo tipo di pubblico.
Cinecomics, chi sono costoro?
Tra le righe dicevamo sopra come il termine cinecomics sia più un’etichetta che un genere.
I film dei superumani esistono da cento anni quasi, perché tecnicamente il primo film tratto da un fumetto nella storia del Cinema è argentino e risale al 1929, Aventuras de Pancho Talero: il canone dei film serializzati in sala divenne all’epoca un’abitudine, come i serial cinematografici degli anni 40 come AdventuresOfCaptain Marvel (12 episodi, del 1941 prodotto da Republic Pictures e diretto da WilliamWitney e John English) e Batman, (15 episodi del 1943 prodotto dalla Columbia Pictures, diretto da LambertHillyer e interpretato da Lewis Wilson), rinasce negli anni ’80 con il Superman di Richard Donner e il Batman di Tim Burton, e solo si afferma definitivamente nel 2000 con Spider-Man di Sam Raimi.
Tutto questo non porta ad un genere, perché come Paz!, anche La Vita Di Adele (2013) di Abdellatif Kechiche è tratto da un libro a fumetti (Le bleu est une couleur chaude di Julie Maroh), così come Old Boy di Park Chan-wook (tratto dal manga omonimo di Nobuaki Minegishi e Garon Tsuchiya), giusto per fare due esempi lampanti di film che nessuno rubricherebbe come cinecomics.
Non si può comunque negare che dal 2000 in poi, dopo lo Spider-Man di Sam Raimi, i film tratti dai fumetti Marvel e DC abbiano ingranato la marcia con una produzione sempre più massiccia di fil legati al genere supereroico: un genere di letteratura che, si sa, produce opere inclassificabili, dal capolavoro assoluto Watchman di Alan Moore e Born Again di Frank Miller alle Tartarughe Ninja. Di pari passo, il successo travolgente che ha baciato queste produzioni è andato in crescendo, e nessuno può negare che l’accelerazione definitiva sia stata data dal 2008 in poi, con l’Iron Man di Jon Favreau.
Con buona pace dei critici da social e di Rotten Tomatoes, alla Marvel va riconosciuto un merito enorme, qualcosa che ha creato un vero e proprio prima & dopo nella storia del cinema postmoderno: ovvero il merito di aver fatto brillare la miccia con un’intuizione geniale, che poi è la stessa che Stan Lee ha inserito nei suoi fumetti, anzi nel suo universo a fumetti creato a partire dal 1962 con Fantastic Four #1.
La Marvel ha la capacità di costruire e creare universi narrativi coesi e coinvolgenti attraverso lA continuity
Parliamo della capacità di costruire e creare universi narrativi coesi, attraverso la continuity che si sviluppa di film in film a partire proprio da quel citato capostipite del 2008, una linea narrativa che ancora oggi non si è conclusa come, sui fumetti, non lo è dal 1962.
La familiarità con i personaggi che tornano da un film all’altro, da un anno all’altro, unita proprio a quegli universi fatti di storie coinvolgenti, il tutto condito dalla spettacolarità unica delle produzioni, sono gli elementi che hanno reso Avengers: Endgamedei fratelli Russo il film con maggiori incassi nella storia del cinema, secondo solo ad Avatar, con ben 2,79 miliardi di dollari.
Paradossalmente, il successo ciclopico dei primi film dei Marvel Studios conteneva già in sé la chiave per la sua (parziale) sconfitta.
Le montagne russe delle fasi Marvel con i suoi cinecomics
È ironico: dopo la fine della Fase Tre, che coincideva più o meno con il film dei Russo, proprio la Marvel ha cercato di differenziare i suoi prodotti, di mostrare al pubblico in sala quanto grande fosse l’offerta dei suoi albi a fumetti con i quali, in oltre 60 anni, ha creato un vero e proprio epos moderno.
Dopo la santa trinità composta da Iron Man, Captain America e thor, sono allora arrivati eroi ancora più problematici e “diversi”: da Ant-Man, ladruncolo divorziato e fallito, a Wanda e Visione, coppia che definire “diversa” è un eufemismo, da Moon Knight, schizoide paranoide con ben tre personalità differenti, a Daredevil, vigilante in piena crisi religiosa.
Il successo ciclopico dei primi film dei Marvel Studios conteneva già in sé la chiave per la sua (parziale) sconfitta.
Parallelamente, le tematiche si sono stratificate e rese più complesse, perché la Fase Quattro, da WandaVision a Black Widow, da Hawkeye a Ms. Marvel fino a Wakanda Forever, indaga la famiglia e tutto quello che implicano i legami familiari, mentre la Cinque rielabora la perdita e la diversità (Echo, Agatha AllAlong, Daredevil).
Temi difficili con storie abbordabili era il tentativo dei Marvel Studios: fallito, ma solo se si considera che l’impatto sul pubblico non è stato devastante come con Endgame, e se come obiettivo ci si pone nella misura dei miliardi di dollari.
La Fase 5 è stata allora la più viva e vivace, piena di sottotesti, di scritture intelligenti, di personaggi tridimensionali, da Guardiani della Galassia vol. 3 a Loki stagione 2, dai citati Agatha All Along a Daredevil fino all’exploit inaspettato dei Thunderbolts*. Il gradimento critico è stato sicuramente alto, come anche con l’ultimo arrivato Fantastic Four: First Step, eppure qualcosa si è inceppato.
Qualcosa che, si diceva sopra, è un seme piantato fin da Endgame: non solo l’altissima aspettativa dello Studios in merito agli incassi, ma forse l’eccessivo coinvolgimento dello spettatore nelle dinamiche creative.
La continuità di cui parlavamo prima è qualcosa che porta ad un’immedesimazione dell’utente, quasi un coinvolgimento nelle vite dei supereroi di cui segue le storie: proprio come una frontiera postmoderna dell’interattività al cinema.
Lo spettatore che va al cinema è coinvolto in prima persona nello sviluppo emotivo della storia; e la comunicazione delle produzioni Marvel (anche DC, ma in misura minore) punta molto sul fandom da tastiera, sperando di innescare un effetto valanga sul web. Peccato che ultimamente i risultati siano esattamente il contrario: perché a furia di accostare i film ai fumetti, si è perso di vista il fulcro creativo e l’indipendenza dei due media.
La continuità narrativa è la frontiera postmoderna dell’interattività al cinema
Il meccanismo in funzione adesso è inarrestabile, e porta a situazioni paradossali.
Avevamo iniziato parlando del Superman di James Gunn e dei citati Fantastici Quattro di Shakman, e a loro torniamo, due film che incarnavano, dal punto di vista produttivo, due speranze.
Per il primo, che la visione del pantheon di eroi DC di Gunn riuscisse a catturare le simpatie del pubblico, a fronte di un DC Universe che non è mai stato capace di innescare reazioni emotive forti come la Marvel di Kevin Feige; per il secondo, che il fandom adorante -magari sulla scia dell’entusiasmo per l’annuncio del ritorno di Robert Downey Jr nel ruolo del Dottor Destino- tornasse a riversarsi in massa in sala.
Speranze che si sono diluite in profluvi di giudizi contrastanti, basati però su premesse ormai troppo errate: il pubblico social dei cinecomics Marvel e DC è una massa informe completamente assuefatta alle dinamiche della comunicazione e delle tecniche pubblicitarie moderne.
I trailer sempre più rivelatori, la fruizione veloce di ogni tipologia di prodotto di consumo, la convinzione che la piazza social giustifichi e anzi legittimi ogni giudizio di valore anche dato da chi non ne ha le competenze: sono tutte le caratteristiche di una comunicazione liquida e sempre più veloce, basata sulle impression e reaction, non più su una reale consapevolezza dello sguardo e della visione.
Da quando un film non si giudica più in base a quello che offre la sua visione, la sua messa in scena, la sua narrazione, bensì su quanto uno dei personaggi sia fedele o meno ad una delle tante interpretazioni date di lui nel corso di 70 anni (parliamo di Superman, ovviamente)?
Il film di Gunn è pienamente un film di Gunn: un riconoscibile sguardo eccentrico su elementi comici e irriverenti che di punto in bianco possono scivolare in un registro epico e commovente, con un’attenzione particolare alla componente visiva. In ogni suo film, dall’esperienza Troma con Tromeo and Juliet e Slither fino alla trilogia marvelliana dei Guardiani Della Galassia, c’è una direzione fotografica ben precisa che si basa su contrasti cromatici forti e movimenti di macchina fluidi; e Superman non fa eccezione, a costo di reinterpretare Clark Kent e sminuirlo di fronte a Kal El, riscrivere le personalità dei genitori dell’eroe e tante piccole cosine.
Che rimangono totalmente ignote a chi non conosce il fumetto, e che alla fine dei conti fanno funzionare il film.
Peccato che nella discussione sul film la componente tecnica di un regista come Gunn è completamente scivolata di mano, fin da quando è stato presentato il teaser trailer (che ha provocato insulti e non finire per un fotogramma in cui David Corenswet appariva strabico) fino addirittura a giudicare il film dalla sola locandina.
La materia di cui sono fatti i sogni (e i fumetti, e i cinecomics)
I Fantastici Quattro non sono solo “la prima famiglia”, ma in assoluto il primo fumetto Marvel arrivato in edicola, almeno per come viene intesa la Marvel in senso moderno.
Un fumetto che per sette anni beneficiò delle trame rivoluzionarie di Stan Lee e dei disegni in un maestoso crescendo di Jack Kirby, e che in seguito ha avuto non poche difficoltà a tenere il passo con la sua stessa leggenda. Stesso discorso per i film: il primo, quello leggendario prodotto da Roger Corman, circola solo come stile bootleg tra gli appassionati duri e puri, conserva un effetto vintage che però difficilmente nasconde l’amatorialità degli effetti visivi; il secondo (e il suo seguito) forse è il più fedele al materiale narrativo, ma ha interpreti senza carisma; il terzo, oscuro e dark, aveva buone premesse ma svolgimenti disastrosi.
Probabilmente, il concept ideato da Lee era così basico nella genialità dell’intuizione, ma allo stesso tempo così difficile da mettere in scena in maniera avvincente, da far diventare il favoloso quartetto materiale incandescente da maneggiare. Ma miracolosamente i Marvel Studios sono riusciti a bypassare come in uno slalom i problemi e a restituire un film di fantascienza classicissimo, pieno di un’emotività che sa contrastare la grandeur degli effetti speciali, e risultando vincente proprio nella sua dimensione più intima.
Non tanto la sceneggiatura di Josh Friedman, Eric Pearson, Jeff Kaplan, Ian Springer, quanto probabilmente la forza produttiva di Feige, sono riusciti a produrre un film coraggioso nelle intenzioni e disteso nei risultati. Perché? Proprio perché per la prima volta in tanti anni, e proprio per le traversie che abbiamo elencato sopra, la Marvel con Fantastici Quattro ha trovato il coraggio di ragionare sul rapporto con il suo pubblico per capire cosa non funzionava nella sua formula, per restare fedele a sé stessa cercando però il giusto compromesso con il botteghino.
Perché deve essere ormai chiaro, a questo punto, che l’MCU funziona fintanto che funziona il rapporto con i suoi spettatori, in quell’equilibrio difficilissimo tra sforzo creativo e compiacimento pubblico.
First Step riflette sulle tensioni interne al (proprio) mondo, sulle dinamiche e sui segni di un intero sistema produttivo: ed è da queste premesse che First Step trova un nucleo emotivo fortissimo, da Golden Age, dove l’ingenuità si sposa con il retrofuturo, in quell’istante nel tempo dove con lucidità si accetta di diventare oggetto di sguardo altrui e quindi vulnerabili.
L’MCU funziona fintanto che funziona il rapporto con i suoi spettatori, in quell’equilibrio difficilissimo tra sforzo creativo e compiacimento pubblico
Ma anche in questo caso, la fragilità esposta del film, le belle caratterizzazioni, il cote visivo, si sono scontrati prima di tutto con quella guerra dei numeri di cui prima, con Superman; e poi con fan rancorosi che avevano ben in mente il loro Reed Richards, la loro Susan Storm, la loro Cosa, ignorando che esistono tanti Reed e tante Cosa quanti sono i loro appassionati. Ma di film può essercene uno solo.
Verso l’infinito… e oltre
Che futuro aspetta i film della Marvel e della DC, allora?
Chi scrive spera che chi legge non sia arrivato fin qui sperando di avere una risposta chiara, perché non c’è.
I prodotti dei Marvel Studios, e quelli della Warner DC (badate bene a come non si parli di cinecomics) sono tanti e con tante sfaccettature quanti sono gli eroi protagonisti: ma soprattutto, vivono in quell’equilibrio instabile che devono raggiungere con un pubblico ormai entrato a far parte dell’ingranaggio produttivo quando non creativo.
È pur vero che, proprio come non esiste un genere cinecomics, esistono tanti generi e la Marvel cerca di raccontarli tutti attraverso i suoi personaggi (l’heist-movie di Ant-Man; la blackexploitation di Black Panther; lo sword&Sorcery di Doctor Strange; l’horror di Licantropus; la sci–fi con Guardiani Della Galassia; e così via…); e la ricchezza e la vivacità produttiva dei loro film è assicurata.
Resta da vedere come decideranno di farlo, indipendentemente o meno dagli incassi, ridimensionando le spese, oppure decidendo di cambiare rotta e raccontare altre storie.
Probabilmente, però, è il pubblico il fattore che deve cambiare: un pubblico più consapevole, meno superficiale, meno social e più alla ricerca di un nucleo cinefilo vero in un film che deve vivere al di là delle sue ispirazioni letterarie.