Fedez shock nell’autobiografia, parla del tentato s*icidio dopo gli psicofarmaci [FOTO]

Fedez
Credits: Rai
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L’anticipazione del nuovo libro autobiografico di Fedez promette di fare luce su alcuni momenti particolarmente oscuri della vita e della carriera del cantante

“Sto scrivendo un libro e lo sto scrivendo a quattro mani”, aveva raccontato Fedez qualche giorno fa. “La casa editrice voleva che io raccontassi i cavoli miei, invece io scrivendolo sto cercando di elaborare degli episodi della mia vita e di dargli un senso e sta venendo veramente bello”.

“Ero su quel palco, incapace di gestire il caos, ma anche in mille altri posti. In tutte le case dell’ultimo anno, su tutti i letti d’ospedale, sui divani dei litigi, nei locali dove mi sono rifugiato e ho fatto casini. Davanti alle facce che ho lasciato si coprissero di lacrime, le facce di chi, sfinito, sfinita, mi ha detto basta”, si confessa il rapper, mostrando alcune pagine d’anteprima via social.

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Credits: Fedez / IG

E sull’ultimo Sanremo poi, dove ha presentato Battito tra polemica e curiosità: “Ho tenuto gli occhi chiusi per non essere travolto, per arrivare alla fine della sola canzone che avrei potuto cantare in questo momento: tornare su quel palco, dove è iniziata la fine di tutto. Dove ho esagerato, mi è stato detto, urlato. Dove non ho avuto rispetto”.

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“Questa che leggerete è la storia di uno che non ce l’ha fatta. Le persone credono che io decida, pianifichi, organizzi: io sono il manipolatore, lo stratega, io sono la falena. Ma la verità è che, dall’inizio, c’è una parte di me che non ha deciso quasi niente. Sin dal principio è stata una corsa, una fuga”.

“La fama è simile a un girone infernale: c’è tanta luce ed è un massacro che tutti amano spiare. Ambizione? Narcisismo? Io so solo che ho quasi smesso di vivere: io non so quanto mi resta da vivere. Quando sto da solo, i demoni arrivano. Proprio i demoni, senza volto o con il mio: con gli occhi neri, come i miei a Sanremo. Dita lunghe e sguardi vuoti”, racconta Fedez.

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Credits: Fedez / IG

E poi la confessione, shock, sul tentato suicidio: “Del suicidio. Non è il salto. Non è il colpo. Non è l’atto in sé. È tutto quello che succede prima. È la gestazione. Figlia di un lungo periodo di progettazione di tale atto. Un feto che cresce nel buio del cranio, che ti sussurra piano, ogni giorno, ‘basta’”.

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“Io ci sono arrivato dopo aver mollato gli psicofarmaci di botto come si butta via un pacchetto di sigarette vuoto. Uno dice: ‘sono solo pillole’. Ma quelle bastarde erano diventate la mia pelle, la mia lingua, il mio pensiero. E quando le ho mollate il cervello ha cominciato a urlare. Come quando ti disintossichi dall’eroina. Dieci giorni. Crampi. Le gambe come blocchi di carne molle”.

“I sogni si mangiavano la realtà, mi svegliavo e non capivo se ero sveglio o solo in un altro livello di inferno. Un tunnel. Ma mica con la luce in fondo. Solo cemento e buio e i miei occhi. Il dopo è stato peggio. Perché il corpo ha smesso di tremare, la testa era una stanza chiusa a chiave. Il mio cervello gridava per avere la sua dose e non c’era nessuno“.

Una cosa è certa: il suo libro, come un po’ tutto quello che ha fatto negli ultimi anni, farò molto discutere.

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