28 Anni Dopo, Recensione del film di Danny Boyle

Ecco la nostra recensione di 28 anni dopo, nuovo film di Danny Boyle che continua la celeberrima saga iniziata nel 2002

28 anni dopo
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Il 18 giugno arriva in sala 28 Anni Dopo, terzo capitolo della saga iniziata con 28 giorni dopo, horror post apocalittico di Danny Boyle con Cillian Murphy del 2002 e proseguita a distanza di cinque anni dal primo film, con 28 settimane dopo. Nell’arco di questi oltre vent’anni il cineasta britannico ha pensato e riflettuto attentamento sul modo migliore per realizzare un sequel della sua opera.

E, senza timori di smentita, possiamo dire che ci è pienamente riuscito. Ecco dunque la nostra recensione.

28 anni dopo: La Trama

Sono trascorse quasi tre decadi da quando una catastrofe biologica ha trasformato il mondo. Un agente virale, nato in segreto tra le mura di un laboratorio militare, è sfuggito al controllo degli scienziati che lo avevano creato. In breve tempo, l’agente ha devastato intere città, corrotto corpi e menti, e spinto i governi superstiti ad adottare misure drastiche: zone interdette, confini armati e quarantene brutali.

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Nel mezzo di questo scenario apocalittico, alcuni sono riusciti a ritagliarsi nicchie di sopravvivenza. Tra questi, un piccolo gruppo ha trovato rifugio su un’isola al largo della costa, collegata al continente solo da un ponte rialzato, sorvegliato giorno e notte da vedette armate. Qui, isolati dal caos della terraferma, vivono secondo le proprie regole, coltivando ciò che possono e proteggendosi da chiunque o qualunque cosa osi avvicinarsi.

Ma la tranquillità dell’isola è fragile. Un giorno, uno dei membri più esperti del gruppo (Aaron Taylor-Johnson) decide di intraprendere una spedizione oltre il ponte, nelle profondità della zona contaminata portandosi dietro suo figlio di soli 12 anni (Alfie Williams). Lo scopo è chiaro: recuperare risorse rare e informazioni vitali. Ciò che trova, però, supera ogni previsione. In mezzo a rovine soffocate dalla natura e alle ombre dei mutati, emergono verità dimenticate, creature deformi nate da una lunga convivenza col virus, e sopravvissuti che si sono evoluti in modi tanto affascinanti quanto spaventosi.

28 anni dopo: La Recensione (Senza Spoiler)

A ventitré anni dal glorioso 28 giorni dopo, Danny Boyle torna a dirigere l’Apocalisse, questa volta con un approccio decisamente più maturo e consapevole. Sebbene, come da tradizione per il regista britannico, i tagli siano repentini e il montaggio frenetico—soprattutto nelle scene d’azione—la narrazione è più pacata, più lenta.

Il fulcro del racconto è infatti mostrare come il mondo, e in particolare la Gran Bretagna, si sia adattato a convivere con gli infetti, che a loro volta hanno trovato un equilibrio.
Il virus è mutato, si è evoluto, dando vita a diverse tipologie di mostri. Ci sono i bassi e lenti, che strisciano cibandosi di vermi; ci sono i classici “corridori” del franchise; e infine ci sono gli Alfa.
Questi ultimi sono, senza dubbio, l’elemento più affascinante del film: infetti più veloci, forti e resistenti, capaci di sopravvivere a decine di frecce e di staccare la testa a un essere umano senza apparente sforzo.

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Fin dalle prime inquadrature, Boyle vuole chiarirci un concetto fondamentale: nel mondo di 28 anni dopo, il dominio appartiene agli infetti, non più agli uomini. I pochi superstiti vivono in villaggi isolati, protetti da complessi e pericolosi sistemi di difesa. Ma è evidente, sin dall’inizio, che le creature a dominare le terre selvagge sono gli infetti, che vagano liberamente nei boschi incontaminati della brulla Scozia che il film ci mostra.

Boyle costruisce con cura l’atmosfera giusta per muovere i suoi personaggi. Musica e regia sono pienamente funzionali a questo scopo. Fin dall’inizio, quando risuona nelle nostre orecchie la poesia Boots di Rudyard Kipling, è chiaro che la colonna sonora non è solo un accompagnamento, ma uno strumento per scolpire il mondo di 28 anni dopo, rendendolo reale e tangibile.

La ricerca musicale è infatti articolata e complessa, con una varietà di generi che vanno dalle melodie orchestrali all’hip-hop. Ogni contesto che ci viene mostrato—diverso in base a come l’uomo si è adattato—richiede una musica diversa. Lo stesso vale per la regia.
Il film è stato girato interamente utilizzando iPhone, droni e tecnologie moderne e peculiari.

Come ha spiegato lo stesso Boyle durante la presentazione a Roma, questa scelta non nasce dal desiderio di ottenere l’immagine perfetta, bensì dalla volontà di servire la narrazione.
Il regista britannico riesce, con grande maestria, a trasmettere una miriade di informazioni evitando dialoghi superflui, lasciando allo spettatore il piacere di mettere insieme i pezzi.

La storia è molto più intima e umana di quanto si possa pensare. Gli infetti, con la loro violenza cieca, sono lo sfondo su cui si staglia l’umanità che cerca di convivere con l’epidemia. Non si parla mai di governi, guerre, aiuti o grandi sistemi: la narrazione si concentra, in modo concreto e delicato, su una famiglia. In particolare sul piccolo Spike, che deve trovare la sua strada nel mondo.

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Eviteremo ogni tipo di spoiler, ovviamente. Ma sappiate solo che il percorso del ragazzo—dall’idolatria verso il padre fino al suo progressivo distacco—è l’elemento più interessante ed emozionante di 28 anni dopo.

Un plauso assoluto va al cast. Boyle dirige con la solita classe un gruppo di attori che danno davvero il massimo: da Aaron Taylor-Johnson a Jodie Comer, passando per l’intramontabile Ralph Fiennes, fino ad arrivare alla vera rivelazione del film, il giovanissimo Alfie Williams, che a soli 14 anni regge la scena con una maturità sorprendente, mostrando una gamma di emozioni davvero notevole.
Lo stesso Boyle, durante la conferenza romana, ha lodato la bravura del giovane attore, sottolineando come, a suo parere, il livello degli interpreti più giovani si sia alzato notevolmente negli ultimi vent’anni.

Anche il ritmo del film è un punto di forza. In meno di due ore, Boyle riesce a raccontare tutto ciò che lo spettatore deve sapere, e lo fa bene. Inserisce brevi momenti di respiro o di commozione nei punti giusti, mantenendo sempre alta l’attenzione.
Perché 28 anni dopo è uno specchio dell’umanità: non è un film di zombie assassini, ma di persone. E questo è, senza dubbio, il suo grande valore.

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Insomma, 28 anni dopo è un film che Danny Boyle ha pensato, sul quale ha riflettuto a lungo, che ha studiato in ogni dettaglio, e solo dopo ha deciso di girare. Lui stesso ha raccontato di essere stato influenzato da eventi come la pandeamia da Covid o la Brexit per il film. Tutti elementi che si notano in modo deciso e cocnreto.

In un mondo che corre sempre più veloce, vedere e percepire l’amore che un cineasta mette nella propria opera è un balsamo per l’anima, anche per chi magari non apprezzerà appieno il film.

Tuttavia, è innegabile: il design impeccabile degli infetti, la regia attenta a valorizzare ogni elemento a cui il regista tiene, uno studio dei colori e della musica realizzato con cura maniacale—tutto questo rende 28 anni dopo un film semplicemente grandioso. Tutti in sala.

28 anni dopo: Il Cast

  • Jodie Comer: Isla
  • Aaron Taylor-Johnson: Jamie
  • Ralph Fiennes: Dr. Kelson
  • Jack O’Connell: Jimmy Crystal
  • Alfie Williams: Spike
  • Erin Kellyman: Jimmy Ink
  • Edvin Ryding: Erik Sundqvist

28 anni dopo: Il Trailer

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RECENSIONE
VOTO:
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Matteo Furina
In teoria sono un giornalista. In pratica scrivo di cose belle su un sito bellissimo. Perchè dai, nessuno è più fico della Scimmia.
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