Alien Romulus: perché potrà far brillare di nuovo la saga

Alien: Romulus può far davvero far tornare la saga ai fasti dei bei tempi andati? Ecco la nostra riflessione

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Ecco perché secondo noi Alien: Romulus sarà davvero imperdibile!

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A cura di Raffaele Mussini

Doveva esserci Ridley Scott alla regia di “Alien: Romulus” e i detrattori dell’ultima carriera del regista stanno tirando un sospiro di sollievo dal momento che il timone è passato a Fede Alvarez (il quale va però detto che, fino ad ora, ha azzeccato solamente l’ottimo “Man in the Dark”).

Non v’è saga leggendaria riesumata a posteriori nel cinema contemporaneo che abbia dato buoni frutti, salvo solamente “Mad Max” (ma già con “Furiosa” si inizia a vacillare), senza considerare i sequel tardivi, che sono tutta un’altra faccenda (tanto per dire, probabilmente “Top Gun: Maverick” supera addirittura il modello).

L’errore di Ridley Scott con “Prometheus” (poi, in misura minore, con “Alien: Covenant”) è paradossalmente quello di averci creduto troppo, di aver davvero ponderato la necessità di un approfondimento a una saga che aveva già dato tutto, e anche qualcosa di più. Per fare un confronto, si pensi alla giusta nonchalance senza pretese di “Predators” e “Prey”, filmetti che sono puro, sanissimo intrattenimento godereccio.

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Il trailer di “Alien: Romulus” è grintoso, promette bene, fa quasi paura e Cailee Spaeny è giovane ma già straordinaria (guardatela in “Civil War” e “Priscilla”). Lontanissima dalla prestanza agguerrita delle eroine che hanno attraversato il franchise, incuriosisce proprio in quanto scelta inusuale e inaspettata (d’altro canto, tornando sempre a “Predators”, vi sareste mai immaginati Adrien Brody pompato ad imbracciare un fucile mitragliatore?).

Sarà meglio di “Prometheus” e “Covenant”? Con il dovuto rispetto verso sir. Scott, speriamo in un ritorno alla qualità della vecchia quadrilogia. Segnerà il genere? Difficilmente. Ma per comprendere appieno l’eredità che si porta appresso, conviene ripassare i predecessori e la fama (o infamia) che si sono guadagnati nel corso degli anni.

Tutto iniziò nel 1979 con Alien di Ridley Scott il quale, reduce dal bellissimo “I duellanti” e i spirandosi alla lontana a quel capolavoro di “Terrore nello spazio” di Mario Bava, realizza un capodopera non meno seminale. Una concezione del genere che fonda un’idea di design architettonico spiazzante, un film dove tutto è (nella) scenografia (oltre al set dell’astronave aliena, è indicativa anche la sequenza della morte di Harry Dean Stanton), una concezione della visionarietà che oscilla tra l’adulazione e lo shock (la scena del “parto” di John Hurt, ma anche la testa di Ian Holm che si stacca).

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Passano sette anni e, nel pieno degli anni 80’ arriva James Cameron che – reduce dal successo di “Terminator”, realizza Aliens – Scontro finale (1986). Dicono che il miglior sequel della Storia del Cinema sia “Il Padrino – Parte II”, ma “Aliens” potrebbe strappare il primato a qualsiasi numero due.

Un film d’azione laddove il primo era un horror, eppure la tensione è ancora più dirompente. Pensate a “Terminator 2” e “Avatar – La via dell’acqua”: Cameron con i sequel ha sempre giocato al rialzo di tutto e fa lo stesso qui, come acquisendo metaforicamente la genitorialità del primo in un corto circuito tematico vertiginoso. Perché “Aliens” è prima di tutto un film di madri.