Jane Campion, i migliori film della regista neozelandese

Un'analisi dell'evoluzione della figura femminile del cinema di Jane Campion, in occasione del suo settantesimo compleanno.

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Bright Star (2009)

Bright Star

Trascorsi sei anni dall’uscita In the Cut, Jane Campion decide di tornare alle origini e gira un dramma in costume: Bright Star. Il film, il cui titolo viene preso da una delle più celebri poesie di John Keats, rievoca la storia d’amore tra il poeta romantico(interpretato da Ben Whishaw) e la vicina di casa Fanny Brawne(Abbie Cornish), la quale è la vera protagonista del film.

Più che un film biografico o di un film sulla poesia, è più giusto parlare di un film di poesia, dove le immagini e le inquadrature di Jane Campion cercano di non viaggiare mai in parallelo con le parole ma di fondersi con le stesse, creando un mondo sognante, non immune ai problemi dell’epoca(economici in primis), ma incapace di ingabbiare i sentimenti di due giovani innamorati.

Da incorniciare la fotografia di Greig Fraser(premio Oscar 2022 per Dune) che dà vita a dei veri e propri quadri in movimento(memorabile una sequenza svolta in uno splendido prato fiorito) e le interpretazioni dei due attori protagonisti, perfetti a delineare, rispettivamente, la fragilità fisica ed emotiva del giovane poeta e la forza d’animo della ragazza.

Anche se non ha l’iconicità e la forza di un Lezioni di piano o Ritratto di Signora, Bright Star è un prodotto davvero ben fatto e meritevole dell’attenzione degli appassionati del genere.

Il potere del cane (2021)

Il potere del cane 1

Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Thomas Savage ed ultimo film, per ora, della cineasta neozelandese, Il potere del cane segna il ritorno della regista dopo 12 anni da Bright Star e un altro successo di critica e pubblico, premiato con il secondo premio Oscar(il primo come regista).

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Phil(Benedict Cumberbatch) e George(Jesse Plemons) sono due fratelli che gestiscono un ranch nel Montana. Durante la transumanza, George incontra e sposa Rose(Kirsten Dunst) vedova di un suicida, la quale si trasferisce nel ranch con il figlio Peter(Kodi Smit-McPhee). Convinto che Rose stia raggirando George per i suoi soldi, Phil incomincerà a tormentare la giovane donna e suo figlio.

Non poteva esserci ritorno più bello e potente per l’autrice neozelandese, che qui riprende le sue ossessioni e le inserisce in un contesto Western, dove i protagonisti sono perseguitati da morte, passioni represse e ricordi dolorosi. Come nei suoi migliori film, Jane Campion destruttura il genere per sottolineare come certi retaggi, per secoli compagni di viaggio tossici del genere maschile, siano oramai anacronistci come il West.

Il West di Jane Campion è privo di saloon e duelli con la pistola; il mito della frontiera(rappresentato dalla sella di Bronco Henry, mentore di Phil)sono un ricordo ormai fuori fuoco, perchè non stanno al passo dei tempi e del progresso, il cui avanzare ha reso quel mondo null’altro che uno splendido simulacro.

Non è ovviamente il primo Western a parlare di figure dolenti e sconfitte(Gli spietati; Sentieri Selvaggi; Johnny Guitar; Il texano dagli occhi di ghiaccio), ma al contrario di questi film, l’approccio di Jane Campion è sussurato, volto più a far emergere le emozioni dei personaggi, perennemente intrappolati dal dover mostrare davanti a terzi ciò che non sono e condannati a non far emergere la loro vera natura, se non quando sono soli: nel caso di Rose, è l’alcolismo, come nel caso di Phil è la sua latente e repressa omosessualità.

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Le immagini delle praterie del Montana fanno da perfetto contraltare all’inquietudine delle persone che le guardano, le allietano ed allo stesso tempo le illudono dell’esistenza di un mondo che oramai non solo non esiste più, ma le cui scorie sono rimarranno sempre presenti sottopelle.

Obbligatorio per noi citare una sequenza da antologia girata da Jane Campion, raffigurante un vero proprio duello tra Phil e Rose, dove le Colt sono sostituite dal pianoforte di lei e dal banjo di lui, e i proiettili sono le note della marcia di Radetsky. La tensione, gli sguardi, gli zoom accompagnati da pochi istanti di puro silenzio fanno sì che in quei 20 secondi riescano a dire molto di più di tante sceneggiature. Un momento di altissimo cinema.

Doveroso, ma quasi inutile, sottolineare la bravura eccelsa di Benedict Cumberbatch nel calarsi in personaggi così sfaccettati e complicati, come Kirsten Dunst dà vita, forse, al personaggio più martoriato che abbia mai portato sul grande schermo.

Saremo estremamente diretti: se non avete visto il potere del cane, guardatelo.

Speriamo che questo viaggio vi sia piaciuto e vi invitiamo a dirci la vostra nei commenti.

Ah, quasi ci scordavamo della cosa più importante: Auguri, Jane Campion!

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