Perché guardare un film di Luchino Visconti nel 2024?

Visconti
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Luchino Visconti non è certo un regista contemporaneo, ma i suoi film possono e anzi devono essere riscoperti anche oggi. Ecco perché

Avete mai visto un film di Luchino Visconti? Se no, non è poi così strano, poiché sono ormai in tanti, soprattutto coloro i quali appartengono alle nuove generazioni, a lasciare andare il suo cinema, convinti sia ormai “invecchiato”. Ma è davvero così? I suoi film hanno effettivamente smesso di parlarci?

Luchino Visconti è stato un cineasta che ha operato in un’epoca in cui il modo di fare e vedere il cinema stava cambiando. Ha iniziato con il teatro ed è poi passato dietro la macchina da presa, ma portando sempre con sé quel gusto “teatrale” nella messa in scena, molto legata al melodramma.

Sembra così lontano da noi, in quanto ormai abituati ad un cinema dinamico, veloce sotto ogni aspetto e, soprattutto, ricco di artifici che si discostano dalla semplicità del cinema neorealista, fatto di gente comune, di luce naturale, di presa diretta e di riprese “on location”. Ieri, 17 marzo, sono passati 48 anni dalla sua morte e, per questo motivo, ci viene posta una domanda: perché vedere un film di Visconti nel 2024?

La risposta non è semplice. È un po’ come quando ti chiedono perché sia utile fare il Liceo Classico e tu, come tutti prima di te, rispondi: “Ti apre la mente”. Ed è sicuramente vero, ma non si tratta solo di questo. Luchino Visconti è una personalità interessante, perché è un regista metodico, rigoroso, sempre preparato, che sul set pretende silenzio e attenzione. Insomma, tutto il contrario di certi registi caotici e “pagliaccioni” come Fellini, la cui arte si sviluppa in un contesto rumoroso e disordinato.

Visconti nasce nel 1906, vive entrambi i conflitti mondiali e porta sullo schermo storie di miseria. Quando esce “Ossessione” nel 1943, Visconti scrive su una rivista che la sua idea di far cinema è venuta con “l’impegno di raccontare storie di uomini vivi: di uomini vivi nelle cose, non le cose per sé stesse”.

Il suo è un realismo fatto di corpi, della fisicità degli attori, e la sua macchina da presa allunga i tempi classici delle inquadrature. Il cinema del neorealismo chiede infatti di essere “guardato”, non semplicemente “visto”. Questo è sicuramente uno dei motivi che spinge la nostra generazione ad allontanarsi da Visconti, ma in generale da questo tipo di cinema.

La New Hollywood di Scorsese, di Francis Ford Coppola, di Spielberg, Lucas e De Palma ha plasmato uno spettatore impaziente, a cui viene somministrata una storia carica e densa di narrazione. Eppure, credo sia fondamentale evidenziare come il cinema di questi autori americani derivi direttamente (e prenda ispirazione) dai grandi maestri neorealisti, come Rossellini, Antonioni, Fellini e, appunto, Visconti.

Hanno saputo prendere dai loro film quegli elementi utili alla propria idea di cinema, senza abbattere la tradizione, ma citandola costantemente, cosa che sarà ancora più evidente nell’era post-moderna con registi come Tarantino e i fratelli Coen.

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Se si pensa a Visconti, il primo film che torna in mente è sicuramente “Il Gattopardo”, del 1963. Dopo questo film, Visconti si avvicina ad un mondo aristocratico ormai perduto, quello da cui lui stesso proviene. Don Fabrizio, il principe di Salina, guarda al passato con la consapevolezza di un uomo che si sta avvicinando al “tramonto”.

Al suo tramonto, ma anche a quello, minaccioso come inevitabile, della nobiltà siciliana che del film è protagonista. La fine deve necessariamente arrivare e puntualmente arriva, in quanto “tutto deve cambiare, perché tutto resti come prima”. Quante volte ci è capitato di riflettere su come ogni cosa sia momentanea? E quante volte ci è invece capitato di pensare che vorremmo che qualcosa non finisse mai? Bene, questo è un pensiero immortale.

Ed è la dimostrazione stessa di come tutto cambi, ma allo stesso tempo rimanga uguale. La formula del cambiamento rimane invariata (rimane quindi la stessa, mentre cambiano le circostanze in cui si verifica) e ciò che cambia davvero è il tempo, il luogo e noi stessi nei tempi e nei luoghi. Se volete dunque scervellarvi con questo tipo di ragionamento, vi invito a guardare “Il Gattopardo”, film classico e imperdibile. È attualmente disponibile su RaiPlay, perciò recuperatelo!

Altro film da considerare decisamente attuale è “Rocco e i suoi fratelli”, una storia tragica e commovente, che porta sullo schermo una famiglia lucana che si trasferisce al Nord alla ricerca di una vita migliore, più agiata, maggiormente ricca di soddisfazioni. Anche qui, il concetto di cambiamento torna.

È una questione delicata, dove si parla di casa, di origini, del concetto di appartenenza ad un luogo, più che di semplice provenienza. L’idea di lasciare tutto poiché si ha bisogno di qualcosa in più, quel “più” che la propria terra non può o non sa offrire. Ed è lì che avviene la scoperta più angosciosa: anche la tua casa, quella che hai lasciato alle spalle, sta cambiando senza di te.

E chi sa se ti riconoscerà, quando tornerai. È proprio quello che Ciro dice al fratello minore, nella scena finale del film, quando il piccolo Luca gli confessa che vorrebbe tornare al Paese: “Ma cosa credi di trovare di diverso laggiù? Pure al Paese nostro la vita cambierà per tutti, perché pure laggiù gli uomini stanno imparando che il mondo deve cambiare”.

Che tu abbia provato questa sensazione sulla tua pelle o meno, ti consiglio comunque di recuperare “Rocco e i suoi fratelli”, un “must” della filmografia di Luchino Visconti. Dobbiamo dunque tanto a questo grande regista, che ha saputo dare vita a dei film immortali nel cambiamento.

Di Laura Macaluso

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